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Intellettuali, politica e metapolitica. Una riflessione.

di Carlo Gambescia - 21/03/2007

 

Oggi, in Italia, quale tipo di rapporti può intrattenere l’intellettuale con la politica? Non è facile rispondere. Per una serie di ragioni. Elenchiamole.
In primo luogo, il potere della politica è enorme e condizionante. E dal momento che è strettamente collegato al potere economico, controlla carriere e mobilità professionale, soprattutto ai livelli più alti. Si tratta di un potere trasversale. Ad esempio, si diventa direttori di giornali o manager di grandi imprese solo se si ha il placet di quei pochi che contano e che appartengono a una melmosa oligarchia politico-economica.
In secondo luogo, il coacervo di interessi politici ed economici di cui sopra, controlla l’apparato mediatico. Di qui l’impossibilità di poter lavorare, all’interno delle alte sfere del mondo giornalistico, se non si ha il salvacodotto rilasciato da chi conta.
In terzo luogo, per accedere alle carriere universitarie è necessario fare atto di pubblica sottomissione agli idola del nostro tempo (a cominciare dal filo-occidentalismo). O comunque mostrare un atteggiamento da professori weberiani, tormentati da chissà quali dubbi, ma in realtà ben lontani dal rinunciare a un impiego sicuro… Oppure, e questo capita soprattutto nel giornalismo, rifugiarsi nel raffinato cinismo da vecchia terza pagina, che non scontenta nessuno. In genere, però, tra la massa dei docenti e dei giornalisti, prevale il nicodemismo. Vincono, insomma, i Farisei.
In questa situazione, qualsiasi tentativo, da parte di un intellettuale, di “remare contro”, viene subito bloccato. O consentito, ma solo attraverso rivistine e libri pubblicati in non più di mille copie. Regolarmente ignorati dai grandi media. Perciò al giovane intellettuale di belle speranze, non restano che due strade: o schierarsi con il potere, o scegliere un vita, piuttosto grama, tra i (pochi) veri oppositori del sistema.
A questo aspetto se ne aggiunge un altro, altrettanto grave. L’intellettuale di opposizione (chiamiamolo così), a destra come a sinistra, si trova a vivere in un mondo dove regna la più totale frustrazione. Perché tutti i compagni di cordata (soprattutto i più anziani), ritengono di essere vittime (e in parte è anche vero) di grandi ingiustizie. Ma al tempo stesso, si mostrano fieri di aver rifiutato qualsiasi compromesso col potere (sempre ammesso che si siano mai realmente trovati nella condizioni di scegliere...): una miscela esplosiva. E umanamente composta di invidia verso chi è “arrivato” e di fierezza per essere restati “duri e puri”. In realtà, si tratta di una fierezza, sempre pronta a trasformarsi in cupezza ( secondo l’umore prevalente del giorno...). Di qui, e dal momento che capi e capetti, per compensazione psicologica, devono sentirsi uno più intelligente e più puro dell’altro, l’ ulteriore divisione in gruppi e sottogruppi “metapolitici”, sempre in lotta fra di loro. E prontissimi, non solo a non collaborare (preferendo coltivare il proprio microscopico orticello), ma anche a censurarsi a vicenda: uno spettacolo patetico e volgare al tempo stesso. Perché spesso dietro i veti e le censure si nascondono le stesse debolezze umane, che innervano le scelte degli intellettuali organici al principe. Gli stessi intellettuali che secondo i “duri e puri” avrebbero tradito la rivoluzione o la ricerca di sintesi diverse.
E così, chiunque sia in buona fede, e soprattutto tenti di ricercare liberamente una “Terza Via” intellettuale, basata sul rapporto intelligente con le persone e sulla possibilità di potere usare spazi, altrimenti non accessibili, finisce per vivere molto male. Perché gli intellettuali schierati col potere lo considerano un intruso poco affidabile, e quelli non schierati un traditore della causa. E così l’intellettuale veramente libero, perché paga di tasca propria, finisce per ritrovarsi isolato, proprio sul piano della lotta metapolitica. E per giunta senza gli stipendi dei professori weberiani e le ricche prebende degli organici. Di più: al primo “passo falso” (che in realtà non è tale), viene subito censurato da tutti: dagli "appagati" (organici al potere) e dai "frustati" (disorganici al potere). I quali non capiscono che così si facilita solo la vittoria degli organici (al potere), e quel che è peggio il conservatorismo politico.
Ed è un peccato perché come nota Alain de Benoist, nella bellissima introduzione alla riedizione dei “Cahiers du Cercle Proudhon" (Avatar Editions 2007 – http://www.avatareditions.com/ ), “ i rivoluzionari, pur di diversa appartenenza, sono più vicini far di loro, di quanto mai potranno esserlo i riformisti” (p. 92).
Giusto. Ma dovrebbero capirlo…