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La Legler e i mammut

di Simone Olla - 21/03/2007

   
    
Quando scrivo, ho da poco terminato un bellissimo libro di Antonio Pennacchi che parla di operai e di una fabbrica: la Fulgorcavi di Latina. Quando scrivo, centinaia di famiglie sarde sono in apprensione per il loro futuro, non lo sanno decifrare. Quando scrivo, la Legler esiste solo sulla carta. 

Quando scrivo, centinaia di famiglie sarde sono in apprensione per il loro futuro, non lo sanno decifrare, mancano troppi pezzi nel loro puzzle. Sardegna e Industria è un amore che non è mai sbocciato. E come sarebbe potuto sbocciare? Siamo in pochi che viviamo questa terra, appena un milione e mezzo. E siamo circondati dal mare. Come sarebbe potuto scoppiare questo amore? Non c’erano mica i presupposti, non ci sono mai stati. Oggi, nel conclamato mercato globale, dove il profitto prima di tutto, l’industria in Sardegna costa troppo: i lavoratori vogliono essere pagati come si deve (e ci mancherebbe pure) e i trasporti costano cari, che siano via mare o via cielo. Altri tempi quando la Cassa del Mezzogiorno regalava bigliettoni un po’ a tutti, e le credenziali si trovavano, mica c’era bisogno di Yunus e del suo microcredito.
L’industria quindi. E la Sardegna. L’industria in Sardegna uguale riscatto del popolo sardo. (A dirlo oggi sembra una bestemmia.) L’industria in Sardegna che promette emancipazione e sicurezza economica e magari il sol dell’avvenire. Via dalle campagne quindi, niente più agricoltura e allevamento. L’industria promette soldi sicuri ogni mese, un posto al caldo dove lavorare, e i riposi garantiti e le ferie pagate. La vacanza è un diritto. Sissì, se sei un operaio la vacanza è un diritto: te ne vai a Roma, in Agosto, a passeggiare in Piazza Navona con i panini imbottiti e l’acqua fresca nella borsa frigo. Ah, se si potesse piazzare un bell’ombrellone, proprio qua, davanti la fontana del Bernini.
Dicevamo dell’industria in Sardegna e di questo sogno di plastica che la classe politica ha creato a tavolino. E noi ce lo siamo bevuto questo sogno avvelenato, altro che cicuta. Abbiamo venduto campagne e dimesso vigneti, abbiamo venduto bestiame e sos pinnetos se li sono mangiati gli inverni freddi. Abbiamo creduto, sciocchini, che il Padrone lo facesse per noi. Anzi i Padroni: politici e industriali alla conquista della Sardegna, allegramente insieme. Hanno illuso il popolo sardo con il tessile e i poli chimici.
Ma come fai oggi a dirlo ai tuoi bambini che devono mangiare? Come fai? Gliene frega un cazzo a loro delle politiche del lavoro e dell’industria. Cazzo gliene frega ai tuoi bambini dei terreni fertili e delle spiagge incontaminate, del mirto che solo da noi, dei carciofi con le spine e del miele di corbezzolo e dei fichi d’india? Se sei un operaio della Legler passa tutto in secondo piano. Devi fare casino, occupare le discariche, gli aeroporti, la Regione. Se sei un operaio della Legler devi dire basta!
Quando scrivo, ho da poco terminato un bellissimo libro di Antonio Pennacchi che parla di operai e di una fabbrica: la Fulgorcavi di Latina. La vita di operaio di Benassa raccontata da un suo collega: il turno di notte e le giornate passate a dormire, sveglio solo per il pranzo portato a letto dalla moglie, poi una sigaretta e di nuovo a dormire; la crisi e le manifestazioni, la cassa integrazione e le occupazioni della fabbrica, l’incubo della chiusura. E Benassa sempre in prima fila, sempre in lotta per la classe operaia, anche a costo di scontrarsi con il sindacato. Fino a quando… Fino a quando la vita cambia, e l’artefice è sempre e solo lui. Benassa nell’ultima assemblea prima dell’addio ai colleghi afferma che la classe operaia è una specie in via di estinzione. Come il mammut. È un sogno che finisce.
Il sogno della classe operaia e dell’industria in Sardegna invece non è mai esistito. Ci hanno preso per il culo e continuano a farlo.