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L'uomo e la tecnologia. (Il rifinanziamento delle cosiddette “missioni militari all’estero”)

di Stelvio Dal Piaz - 25/03/2007

 
Il rifinanziamento delle cosiddette “missioni militati all’estero” e, soprattutto, l’affare Mastrogiacomo con tutto quello che ha comportato, hanno riportato l’attenzione dell’opinione pubblica sull’Afghanistan, un paese asiatico dalle caratteristiche etniche ed ambientali molto particolari e che, come unità politica distinta, esiste da meno di un paio di secoli avendo fatto parte per lungo periodo dei grandi imperi che dominarono la zona tra l’altipiano iranico e l’India.

Detto ciò, e facendo astrazione dalle motivazioni politiche e geostrategiche che hanno indotto gli Stati Uniti ad invadere questo Paese (la favoletta dell’11 settembre e di Bin Laden la devono raccontare allo scemo del villaggio...) quello che interessa in questa sede mettere in evidenza è il fatto che lo stato maggiore americano e il ministero della Difesa hanno dimostrato, fin dall’inizio, una sottovalutazione delle caratteristiche oroidrografiche del territorio e della popolazione che lo abita.

Dal punto di vista geografico l’Afghanistan, che non ha sbocchi al mare, è per la maggior parte un dedalo di aspre e nude montagne, cui fanno corona a nord e a sud-ovest due larghe depressioni: quella che guarda al corso dell’Amu-Daria lungo il confine dell’ex Unione sovietica, ed il basso bacino dell’Hilmend, per metà deserto e per l’altra metà steppa salina. Il rilievo consta del lungo cimale del Hindu-kush che sale da 2.000 ad oltre 7.000 metri da ovest ad est sul quale si innestano altri allineamenti montuosi, disposti a mo’ di ventaglio con il cercine in corrispondenza alla strozzatura che si disegna tra gli alti bacini dell’Amu-Daria e dell’Hindo. Nonostante la loro notevole altezza si tratta di montagne non comparabili con le nostre Alpi; selvagge d’aspetto, ammantate a lungo da nevi, ma senza il tipico scenario di vette e di guglie che ci è abituale, anzi di regola con ampie superfici livellate, smembrate e rotte da gole profonde. Le valli, per questo loro carattere, dividono più che non uniscano i diversi compartimenti, determinando anche qui la formazione non di larghe unità antropiche, ma piuttosto di oasi, i cui reciproci rapporti non possono essere assicurati se non attraverso difficilissime scarse vie di comunicazione. Il clima è caratterizzato da forti escursioni. termiche annuali e diurne ed è in genere assai asciutto o, addirittura, arido. L’aridità viene temperandosi solo man mano che ci si avvicina al rovescio meridionale dell’Hindu-kush dove giunge - sia pure attenuato – l’effetto dei monsoni. Ne consegue una vegetazione spontanea piuttosto povera, poche e poco estese le foreste (e di ciò si rammaricano certamente gli statunitensi, che nell’occasione non possono utilizzare il famoso e “democratico” defogliante che tanto beneficio ha portato nel Vietnam…) eccetto nell’impervio Kafiristan; diffusissime la macchia, la steppa e il deserto. C’è anche l’enorme palude del Hamun, sul confine con l’Iran, e tutto intorno una cornice di calve e desolate montagne. La popolazione è assai varia etnicamente: pathani o afghani, tagichi di ceppo iranico, i kafiri, i citrari, i dardi di stirpe indo-ariana, gli hazara e gli usbechi appartenenti al gruppo turco-mongolo. Elemento unificante la religione musulmana di rito sunnita. Non è stato mai consentito alle missioni cristiane di penetrare nel Paese. Le leggi poggiano sul diritto musulmano e sulle tradizioni delle varie tribù.

Gli statunitensi, nel gettarsi con tanta arroganza nell’avventura afghana, hanno sottovalutato la tipicità del territorio e le caratteristiche delle popolazioni, abituate da sempre a sopravvivere e combattere in quell’ambiente inospitale ed hanno - di contro - sopravvalutato la loro capacità offensiva basata sulla sofisticata tecnologia militare e sulla potenza distruttiva dell’armamento (le famose armi di distruzione di massa), armamento che provoca effetti collaterali devastanti sulla popolazione civile ma che, in questo caso, non è vincente sul piano strettamente militare. Anche nel terzo millennio, purtroppo per loro, l’ “uomo con le palle” è ancora vincente. La disfatta della potente “armata rossa” che, tra l’altro, poteva contare sulla vicinanza delle fonti di rifornimento e delle relative basi logistiche, non ha insegnato nulla ai politici e allo stato maggiore statunitense.

Ancora meno ha insegnato alla classe politica italiana di tutte le varie parrocchie che - anche in questa circostanza - ha riconfermato il proprio ruolo di vassallaggio lasciandosi trascinare in una operazione militare contraria agli interessi nazionali e in aperta violazione del dettato costituzionale.