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“Siamo tutti schedati” Il grande incubo Usa

di Paolo Mastrolilli - 27/03/2007

 
 

Si chiama Tide, come la marea che alza tutte le barche, ma dietro questa sigla poetica si cela il più grande archivio antiterroristico del mondo. Una specie di «Grande Fratello» planetario, che ogni giorno aggiunge alle sue liste nere circa 1500 persone. Il velo lo ha alzato il Washington Post, rilanciando il dibattito che dall'11 settembre del 2001 obbliga i cittadini Usa ed europei a riflettere: quanta privacy e libertà siamo disposti a perdere, in cambio della sicurezza? I nomi di alcuni terroristi a bordo degli aerei dirottati erano noti e ricercati, ma non erano stati passati a chi avrebbe dovuto bloccarli all'imbarco. Per evitare di ripetere questo errore è stato creato il Terrorist Identities Datamart Environment (Tide), ossia la banca dati degli individui sospettati di voler colpire gli Stati Uniti. Il problema è che la lista è diventata così lunga da essere quasi ingestibile, mentre gli sbagli d'identità e il sospetto di violazioni della privacy spingono i critici a rimetterla in discussione. Nel 2003 Tide aveva circa 100.000 files: oggi sono 435.000. Riguardano in prevalenza stranieri, ma includono anche un 5% di americani con collegamenti internazionali sospetti. Ogni giorno le agenzie Usa mandano informative al National Counterterrorism Center di McLean, in Virginia, sede del progetto. Ottanta analisti ricevono migliaia di messaggi, che spesso riportano solo voci. Le verificano, per quanto possono, e alle 10 di sera riversano le informazioni nel Terrorist Screening Center dell'Fbi.

Il Bureau ci somma i nomi degli americani senza connessioni internazionali che preoccupano lo stesso, e alla fine di ogni giorno tra mille e millecinquecento persone vengono aggiunte all'archivio dei soggetti pericolosi. Questi dati poi passano alle varie agenzie competenti su settori specifici, tipo la Transportation Security Administration, che li usa per aggiornare la sua lista di circa 30.000 individui a cui è vietato salire su un aereo. I guai più frequenti sono legati agli errori di identità. Ad esempio Catherine Stevens, moglie del senatore repubblicano dell'Alaska Ted, è finita sulla lista nera perché il computer pensa che sia Cat Stevens. Il famoso cantante non può volare negli Usa per motivi mai rivelati, e questo è un altro problema serio: le modalità della proscrizione sono segrete e i critici temono abusi della privacy. Per un errore simile, provocato da informazioni sbagliate fornite dal Canada, il siriano Maher Arar si è fatto un anno di prigione. Ottawa però ha riconosciuto la colpa e lo ha risarcito con nove milioni di dollari. L'archivio, infine, sta diventando così grande, che lo stesso direttore Russ Travers ammette di avere difficoltà nell'usarlo. Il dilemma fra libertà e sicurezza si è ingigantito dopo l'11 settembre, e lo aggravano anche notizie come quella pubblicata ieri dal New York Times, secondo cui la polizia della città spiò migliaia di persone in America ed Europa prima della Convention repubblicana del 2004, in cui vennero arrestati 1806 dimostranti. Sotto la lente finirono anche gruppi musicali e artisti, mentre lo studente Joshua Kinberg andò in prigione, colpevole di aver progettato una bicicletta burla per andare in giro a fare scritte cancellabili sui muri.