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Mario Capanna, oggi è un contadino

di intervista - 28/11/2005

Fonte: Il giornale


La strada verso la rivoluzione è assai «scivolosa».
Infatti il tratturo che ci conduce alla fattoria di Mario Capanna è pieno di neve.
Lui - dall'alto del balcone - dirige la manovra di avvicinamento della Panda su cui arranchiamo nella tormenta che flagella la campagna attorno a Badia di Petroia, linea di confine tra Umbria e Toscana.

Qui, in un podere di 2 ettari, vive un contadino speciale che la rivoluzione l'ha messa sottovuoto,  nel senso che l'ha chiusa in buccacci di vetro contenenti salsa, miele, funghi e ogni ben di Dio, anzi di Bio (inteso come abbreviazione di biologico); questo coltivatore che oggi ara la terra, un tempo fu l'icona del mitico '68, perché quando si parla di '68 l'aggettivo «mitico» è d'obbligo, esattamente come l'uso di «vertiginoso» per definire la scollatura o la minigonna di una donna.

Da allora sono trascorsi quasi quarant'anni, l'Italia non è più la stessa, gli italiani neppure e Capanna,  dal megafono col quale incendiava le piazze, è passato al ciocco di legno che brucia nel camino del salotto: «È stata una scelta di vita», come dicono i calciatori dei grandi club quando decidono di giocare in provincia.

E così, davanti al cancello di casa Capanna, l'ex fondatore di Democrazia Proletaria si materializza in tutto il suo splendore: stivali di gomma infangati, giaccone verde sdrucito, maglione nero di lana, camicia di flanella a quadri e jeans da lavoro.

Un abbigliamento pratico, si direbbe; più o meno come quello che nei «formidabili» anni della contestazione - e per «formidabile» vale lo stesso concetto del «mitico» - l'allora giovane Capanna usava per arringare gli studenti del Movimento o lanciare uova contro le impellicciate signore milanesi colte da fregola scaligera.

Potesse riorganizzarli oggi quei blitz, Capanna sostituirebbe certamente le uova con i suoi pomodori Ogm-free, che solo a dirlo ti senti pervaso di genuinità.

Caro Capanna, l'abbiamo lasciata che coltivava il sogno rivoluzionario e la ritroviamo a coltivare pomodori.  ..
«Non solo pomodori, ma pure zucchine, melanzane, peperoni e ortaggi vari. E poi alberi da frutta, 200 ulivi che danno un olio eccezionale, 3 alveari. Tutto rigorosamente biologico».

Ma il contadino lo fa davvero?
«Mi sveglio la mattina alle 8 e sgobbo sui campi fino a sera. Quando vado a letto sono distrutto. Ho comprato addirittura il trattore».

Il trattore?
«Fin da piccolo ero attratto da queste macchine meravigliose guidate dai contadini che abitavano nei dintorni.  Io sono nato in quella casa laggiù, per me è stato un ritorno alle origini. Due anni fa io e mia moglie abbiamo deciso di trasferirci qui, a Milano è rimasto mio figlio che studia all'università».

La politica le manca?
«Il Capanna contadino di oggi non è altro che la naturale evoluzione del Capanna di ieri».

In che senso?
«Ho scoperto una nuova frontiera della politica: le biotecnologie, la clonazione, l'ingegneria genetica, gli organismi geneticamente modificati (Ogm). Il mio ultimo libro è L'uomo è più dei suoi geni, la verità sulle biotecnologie (Rizzoli)».

Ma secondo lei il tema degli Ogm è in cima alle preoccupazioni degli italiani?
«Ne sono convinto. E non è un caso se la Coldiretti (1.700.000 associati) pratica, rispetto alle sementi Ogm, la linea della “tolleranza zero”; stesso discorso per la Coop (5 milioni di soci) che garantisce nei suoi punti vendita prodotti Ogm-free; inoltre il 70-75% dei cittadini europei è contraria gli Ogm».

È per questa ragione che è diventato presidente del Consiglio dei Diritti Genetici? 
«Un'esperienza entusiasmante: studiosi laici e cattolici di altissimo livello per reclamare insieme più scienza e più ricerca. Il nostro obiettivo fondamentale è evitare che le uniche cinque multinazionali del settore assoggettino, attraverso il monopolio dei brevetti, le biotecnologie alle regole del profitto».

Le multinazionali replicano che grazie alla loro opera si può combattere la fame nel mondo.
«La verità è esattamente l'opposto. Dovendo ricomprare ogni anno i semi geneticamente modificati e i pesticidi cui le piante resistono,  i Paesi poveri si indebitano due volte».

Sta di fatto che gli Ogm sono una realtà; inoltre la mondializzazione dell'economia ci ha ormai trasformati da produttori per il consumo in consumatori per la produzione. Lei si illude di chiudere il cancello quando i buoi sono già scappati.
«Bisogna comunque sforzarsi di porre dei paletti. Per la prima volta nella storia dell'uomo la tecnica può innestare geni di specie diverse. In tempi brevissimi si possono sconvolgere equilibri che la natura ha impiegato milioni di anni a creare. Chiunque desideri un'informazione rigorosa e veritiera può collegarsi al sito
www.consigliodirittigenetici.org».

In una mano la zappa e nell'altra il mouse del computer.
«Non sono contrario alla modernità, anzi la nostra iniziativa è quanto di più moderno possa essere concepito. Ho scritto a Prodi e Berlusconi per chiedergli di esprimersi chiaramente sugli Ogm. Finora non mi hanno risposto».

Anche per loro, forse, il tema non è cruciale.
«Se fosse così commetterebbero un grave errore:  la qualità di ciò che finisce nei nostri piatti non può essere sottovalutata. Inoltre...».

Inoltre?
«Suggerirei a entrambi una parentesi di vita in campagna, condividere il valore del sudore sui campi garantirebbe risultati politici migliori».
Ma se li vede Prodi e Berlusconi che raccolgono le olive nel suo podere?
«Eppure è proprio da qui che bisogna ricominciare. Oggi la politica nel nostro Paese si è ridotta a un ruolo ancillare. Mentre la destra si preoccupa di leggi ad personam,  la sinistra ha rinunciato a un vero progetto di cambiamento sociale in grado di camminare su solide gambe».

Destra e sinistra senza slanci ideali, così cresce il partito dell'astensione.
«È un processo inevitabile. A invertire la tendenza potrà essere solo il ritorno di grandi e durevoli movimenti di massa. Qualche segnale positivo arriva dalla Val di Susa con il popolo anti-Tav».

Che fa, ricomincia con la sindrome da corteo?
«È assurdo pensare di stravolgere un'intera valle per consentire ai treni di arrivare appena 10 minuti prima rispetto all'orario attuale».

Caro Capanna, ci dia un valido motivo per rimanere qui con lei.
«Diceva Buñuel: “Felicità è guardare un bosco di querce”. Io il bosco di querce ce l'ho dietro casa».