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Quanto è predittiva la scienza moderna? Il caso imbarazzante della meteorologia

di Francesco Lamendola - 23/10/2011





Gran parte del paradigma scientifico moderno e gran parte dell’autorità riconosciuta che la scienza moderna gode nella nostra società poggiano sulla capacità predittiva della scienza stessa, sulla sua efficacia nel formulare predizioni.
Infatti, la scienza moderna si basa sull’idea del progresso: ma come potrebbe esservi progresso, se non vi fosse la capacità di predire efficacemente il verificarsi dei fenomeni naturali, raggruppandoli in leggi matematiche, fisiche e chimiche?
Come potrebbe esistere una scienza astronomica, se non si potessero predire le posizioni dei corpi celesti, il verificarsi delle eclissi; come si potrebbe fondare la scienza della botanica, se non si potesse predire che, in presenza del sole e di una sufficiente quantità di acqua e sali minerali, le foglie delle piante verdi metteranno in opera la funzione clorofilliana?
Anche il prestigio di quel ramo della magia e dell’astrologia che coltivava la precognizione si fondava sullo stesso principio, ossia sulla capacità di fornire predizioni veridiche circa l’avvenire; così come, prima ancora, gli oracoli dell’antica Grecia e dell’antica Roma, ove i sacerdoti o le sacerdotesse, ispirati dal Dio, fornivano responsi sul futuro.
Il mago, nell’antichità, era anche astrologo e quindi astronomo: anch’egli poteva predire le eclissi, così come poteva formulare predizioni sugli eventi umani, sia collettivi che individuali: si pensi all’importanza attribuita, nell’antico Egitto, a colui che sapeva predire il futuro, analizzando il contenuto dei sogni (come fece il patriarca ebreo Giuseppe alla corte del Faraone); oppure, in Etruria, ai sacerdoti che predicevano il futuro, osservando il volo degli uccelli o le linee del fegato di un animale appositamente sacrificato.
E che dire delle visioni dei veggenti, dei presagi, delle rivelazioni da parte di esseri soprannaturali, di cui sono piene le cronache delle diverse religioni?
In pieno XVI secolo, Michel de Nostradamus, stimato sia come medico che come astrologo, previde una serie di fatti realmente verificatisi, come l’incidente mortale occorso al re di Francia, Enrico II, nel 1559; e poi si chiuse nella sua stanza, una sera dopo l’altra, per anni ed anni, a scrivere le sue famose centurie, con la profezia della storia futura dell’umanità.
Oppure che dire della cartomanzia, della chiromanzia e di altre tecniche divinatorie, proprie di una tradizione antichissima, che perdura imperterrita anche ai nostri giorni, benché spesso degradata a semplice gioco, a fenomeno folcloristico o a professione venale?
E che cosa delle previsioni dei contadini in base alle lunazioni, per quanto riguarda la semina ed altri lavori agricoli, specialmente nel campo dell’orticoltura? Quale contadino di una certa età seminerebbe, ad esempio, con la Luna calante?
La scienza moderna si è presentata come un sistema di pensiero e di ricerca dotato di un più efficace potere predittivo e questo le ha consentito di mettere in ombra quelle forme di sapere, come l’oracolo, la magia e l’astrologia, che, nei secoli passati, erano stati interpellati dagli uomini per conoscere lo sviluppo delle cose future.
È questa la ragione per la quale, oggi, nel caso di una prolungata siccità, si preferisce affidarsi alle tecniche della scienza, per produrre la pioggia artificiale, piuttosto che alla magia e alle sue danze della pioggia (oppure alla religione e alle sue preghiere e rogazioni): si ha più fiducia nell’efficacia di questo tipo di interventi rispetto a quelli che chiamano in causa le forze invisibili del preternaturale o del soprannaturale.
Ma siamo proprio sicuri che il potere predittivo della scienza moderna sia così grande e così sperimentato come generalmente si pensa?
Siamo proprio sicuri che, in un gran numero di casi, medicina compresa e per non parlare della psicologia, la scienza moderna non sia stata che l’artefice interessata della propria leggenda, autocertificando la propria capacità predittiva e la propria efficacia operativa, più di quanto non stiano a dimostrare i fatti nudi e crudi?
Un caso addirittura lampante è quello della meteorologia: una scienza che vanta il proprio rigore metodologico, così come la propria efficacia a livello predittivo: eppure constatiamo tutti, con evidenza perfino imbarazzante, che essa non è in grado di fare delle predizioni certe nemmeno sul breve periodo, per non parlare di quello medio e del lungo.
Quante volte constatiamo il clamoroso fallimento delle previsioni atmosferiche; quante volte verifichiamo personalmente e tocchiamo con mano che la pioggia annunciata non arriva, o arriva con molto ritardo; che l’innalzamento o l’abbassamento della temperatura, preannunciati con sicurezza, non si verificano affatto nei tempi previsti; che il bello ed il brutto tempo, in parole povere, se ne infischiano allegramente di tutti i mezzi più sofisticati di cui si serve la scienza della meteorologia, e che molte delle sue predizioni si risolvono in altrettanti, clamorosi buchi nell’acqua?
Gli scienziati si fanno beffe dell’astrologia e dei suoi oroscopi; e può darsi che, in un grandissimo numero di casi, abbiano ragione (ma forse più per l’incompetenza e la cialtroneria dei sedicenti astrologi, che non per la mancanza di efficacia predittiva dell’astrologia in se stessa); ma che cosa dovrebbe dire il pubblico davanti allo spettacolo della quasi quotidiana, palese impotenza della meteorologia nel formulare predizioni veritiere?
Il filosofo francese Bertrand de Jouvenel, che si è particolarmente interessato al problema del futuro e della predittività, coniando il concetto di “futuribili” per le cose future che potrebbero accadere, svolge la seguente riflessione a proposito della meteorologia (in: «L’arte della congettura»; titolo originale. «L’art de la Conjecture, Futuribles» Monaco, Éditions du Rocher, 1964; traduzione italiana di  Franco Viciani, Firenze, Vallecchi, 1967, pp.  115-17):

«È sorprendente che la scienza, così prodigiosamente progredita, quasi non sia in gradi di predire “che tempo farà”, nonostante le osservazioni moltiplicatesi da tre secoli a questa parte - intendo dopo l’invenzione del barometro di Torricelli nel nel1643 - e nonostante il successivo perfezionamento dei mezzi di misurazione impiegati. Non è difficile enunciarne la ragione. La conoscenza della situazione iniziale  attuale della quale s vuol predire il seguito  rimane molto imperfetto; altrettanto imperfetta è la conoscenza delle situazioni iniziali passate di cui sono stati constatati gli sviluppi. D’altra parte l’uso relativamente recente delle radiosonde, facendo conoscere  l’importanza delle correnti d’aria ad elevata altitudine, ha rivelato che le osservazioni da terra lasciano sfuggire dei dati forse determinanti; ed in ciò ritroviamo un caso analogo a quello dell’alchimista. Gli enormi progressi compiuti nella conoscenza dei fatti sono ancor ben lontani  dal fornire un quadro adeguato. Credo di non sbagliare dicendo che una teoria dei fenomeni meteorologici sarebbe impossibile se dovessimo partire dai dati meteorologici, e che le teorie meteorologici e sono state costruite sul fondamento della fisica, di un scienza, cioè, utilizzata per la possibilità di osservazioni complete in esperimenti circoscritti e controllati.  Ma attraverso tecniche di simulazione si possono stabilire solo certe conseguenze risultanti da certi fattori identificati, conseguenze che possono essere smentite dall’intervento di fattori non sufficientemente identificati.
Le possibilità predittive di questa scienza sono limitatissime. Il consiglio direttivo della Società meteorologica americana ha reso noto ai suoi utenti che non dovevano aspettarsi troppo dalle sue previsioni:
“[…] Si può predire abbastanza dettagliatamente il tempo che farà durante i prossimi due o tre giorni. Ma la sicurezza di queste predizioni diminuisce progressivamente dopo il primo giorno. […]
Secondo no si mette fuori strada il pubblico quando gli si forniscono predizioni a più di un mese di distanza senza informarlo che il valore di queste predizioni non è affatto provato.  Altrettanto dicasi per la predizione dettagliata per più di due o tre giorni che non è giustificata dall’attuale stadio delle nostre conoscenze.” [Cit. in “Long Range Weather prediction”, Pep, vol. XXVIII, n. 458.]
Fa piacere che degli esperti si accordino in tal modo per precisare i limiti della loro sicurezza. In questo caso la capacità predittiva è molto corta. Tutto ciò ci fa tornare in mente l’espressione di Maupertuis: “Il primo modo che si presenta [per prevedere l’avvenire] è quello di trarre dallo stato presente le conseguenze più probabili per lo stato futuro: ma questo sistema non va lontano; non siamo in grado di arrivare per questa via a una scienza sicura” (Maupertuis, Lettres, XVIII).
I meteorologi ci spiegano la ragione per cui questo tipo di previsione “non va lontano”. Per la predizione delle condizioni del tempo nel prossimo futuro è essenziale l’accertamento dio forti depressioni che, in un brevissimo volgere di giorni faranno sentire i loro effetti. Ma attualmente non è possibile dire quali altre depressioni succederanno alle prime, perché “le forti depressioni future derivano da un’immensa folla di “piccole depressioni attuali” e di queste non siamo in grado di affermare quali si svilupperanno. Dunque, riguardo a una data futura sufficientemente lontana, lo stato attuale è carico di possibilità non enunciabili.»

Questa pagina è stata scritta circa mezzo secolo fa, ma da allora le cose non sono cambiate molto, a dispetto dell’introduzione di tecniche di previsione sempre più sofisticate, a cominciare dai satelliti che inviano immagini fotografiche dagli strati più alti dell’atmosfera.
La meteorologia, come scienza predittiva, è ancora ferma al palo e non può vantare progressi significativi; la sua efficacia nelle previsioni a medio e lungo termine continua ad essere bassissima e perfino quella a breve e brevissimo termine appare quanto meno aleatoria, a giudicare dalla frequenza con cui essa fallisce le sue predizioni.
Tutto questo dovrebbe non solo insegnare un po’ di maggiore umiltà agli scientisti arrabbiati, convinti che «nulla salus extra Scientiam», ma anche ridimensionare l’idea della scienza moderna, meccanicista e galileiana, come brusca e radicale rottura con il paradigma scientifico pre-moderno, caratterizzato ancora da una certa persistenza e compresenza di saperi quali la magia, l’alchimia e specialmente l’astrologia.
Uno dei pilastri della tesi secondo cui vi sarebbe stata una rottura radicale ed esisterebbe una sostanziale differenza qualitativa tra scienza moderna e scienza pre-moderna è il metodo sperimentale; ma, come abbiamo visto, nel caso della meteorologia esso deve rifarsi alla fisica, e l’estrapolazione degli esperimenti fisici in chiave di previsione meteorologica è una operazione assai problematica, con un alto e imbarazzante tasso di arbitrarietà.
Anche per la geologia e la paleontologia non è possibile l’esperimento, nel senso proprio del termine: nessun esperimento, ad esempio, potrà mai confermare o smentire l’ipotesi evoluzionistica di Darwin, dal momento che l’esperimento si basa su fenomeni attuali e non su resti fossili che possono venire datati e interpretati, perfino ricostruiti, ma pur sempre in condizioni totalmente diverse da quelle originarie.
E che dire dell’astronomia e specialmente della cosmologia? Quando si cerca di risalire indietro all’età dell’universo, nessun esperimento è possibile: si procede per via deduttiva, esattamente come faceva Aristotele, e non per via induttiva, come auspicava Galilei: da ciò che sappiamo in generale al caso particolare; non dal particolare al generale.
Un altro pilastro della visione storiografica oggi imperante è, appunto, il valore predittivo della scienza moderna: ma vi sono scienze della natura, come la meteorologia, e scienze umane, come la psicologia, che possiedono una modestissima capacità predittiva, e nulla lascia pensare che le cose cambieranno nel prossimo futuro.
Un terzo pilastro è, poi, il rifiuto del cosiddetto principio di autorità (quasi che gli scienziati pre-galileiani non facessero altro che citare Aristotele e rifiutare sistematicamente lo studio della realtà; e come se lo stesso Aristotele non fosse stato autore di svariati esperimenti naturalistici, a cominciare da quello della pesatura dell’aria); ma abbiamo visto, proprio in questi giorni, che sono stati necessari quasi cento anni per liberarsi dal principio di autorità einsteniano, secondo il quale nessuna velocità sarebbe possibile in natura, che sia maggiore di quella della luce…