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Europa dei popoli contro lo stato globale

di Giuseppe Reguzzoni - 13/04/2014

Fonte: Insorgente

 
   
 
 
 
Europa dei popoli contro lo stato globale

C’è un bel libro di Carl Schmitt, scritto nel 1942, dal titolo assai suggestivo Terra e mare. La storia del mondo spiegata a mia figlia Anima (traduzione italiana, Adelphi 2002, quinta edizione) in cui il pensatore tedesco, in una Berlino che di lì a poco sarebbe stata devastata dai bombardamenti alleati alla fine della seconda guerra mondiale, ritrova una delle coordinate essenziali della storia umana nella contrapposizione tra terra e mare, tra potenze della terra e potenze del mare. «L’opposizione elementare fra terra e mare è stata rilevata fin dai tempi antichi, e ancora verso la fine del XIX secolo era consuetudi¬ne raffigurare le tensioni in atto fra la Russia e l’Inghilterra come la lotta fra un orso e una balena. La balena è qui il grande pesce mitico, il Leviatano (…), mentre l’orso è uno dei molti animali simbolici della fauna terrestre. Se¬condo le interpretazioni medioevali dei co¬siddetti cabbalisti, la storia del mondo è una lotta fra la possente balena, il Leviatano, e un animale terrestre altrettanto forte, Behe¬mot, che ci si immaginava come un toro o un elefante. Entrambi i nomi, Leviatano e Behemot, derivano dal Libro di Giobbe (capp. 40 e 41).


I cabbalisti dicono che Behemot si sforza di dilaniare il Leviatano con le corna o con le zanne, mentre il Leviatano serra con le pinne la bocca e il naso dell’animale terrestre, in modo che non possa più man¬giare né respirare. Ora, questa è – icastica come solo un’immagine mitica può esserlo – la rappresentazione del blocco di una po¬tenza terrestre da parte di una potenza ma¬rittima, che taglia i rifornimenti alla terra¬ferma per affamarla. Le due potenze in lotta si annientano così reciprocamente» (p.18). Nella prima metà del Novecento Behemot, la potenza della terra, fu rappresentata principalmente dalla Germania e Leviathan, la potenza del mare, dall’Inghilterra, ma, continua Schmitt, è ora evidente che gli attori sono cambiati. Sulla scena della storia si affacciano nuovi dominatori, gli Stati Uniti con i suoi satelliti e la Russia, non più solo attori, ma registi e protagonisti di un nuovo dramma. A distanza di qualche decennio, il quadro si va delineando con sempre maggiore precisione e la crisi seguita al processo di autodeterminazione della Crimea lo rivela con chiarezza. La Russia, infatti, contrariamente alle verità ufficiali del Minculpop “de noantri”, non è affatto isolata a livello internazionale, dal momento che, al suo fianco, si sono schierate, più o meno apertamente, due altre potenze “continentali” non indifferenti, quali l’India e la Cina. Anche la Germania, ufficialmente parte del blocco occidentale, in realtà si sta muovendo con estrema prudenza, sotto la pressione di due forze divergenti, quali la sovranità limitata che le deriva dai trattati postbellici e la spinta geopolitica verso il blocco eurasiatico. La caduta del muro di Berlino e la riduzione del ruolo internazionale della Russia ha fatto pensare a un mondo che cessava di essere bipolare, lasciando libero spazio alla fantasia, tutta squadra e compasso, dello stato mondiale globale. Gli avvenimenti di queste settimane, con la solidarietà russa al processo di autodeterminazione della Crimea e delle minoranze russe dell’Ucraina, con la ricomparsa di una Russia tornata forte e decisionista sulla scena internazionale, sia sul piano politico che su quello finanziario, lascia intuire nuovi scenari. L’asse eurasiatico, riproponendo un mondo multipolare, manda in frantumi uno dei grandi miti massonici, quello di una società globale organizzata secondo i principi dell’architetto universale. È difficile dire fino a che punto la Russia sia sincera nell’affermare l’essenzialità del principio di autodeterminazione. Di fatto, la vera reazione politica alle “sanzioni” della Nato è la decisione russa di sostenere i processi di determinazione delle aree regionali e nazionali oggi ancora soffocate dal sistema europeo degli stati. Lo spazio informativo che un’emittente ufficiale, con tanto di sito web, come “La Voce della Russia”, sta dedicando a Catalani, Scozzesi, Veneti … è lì a dimostrarlo ed è un vero calcio negli stinchi all’eurocrazia senz’anima che oggi comanda in Europa. E a noi tutto questo dice un’altra cosa: non sono le costituzioni e le leggi che fanno i popoli ma i popoli che fanno le costituzioni e le leggi, a meno che si giochi con l’ambiguità del termine “fare”, ma anche in questo caso le cose cambiano poco: i popoli sono all’origine delle costituzioni, attraverso le figura dei loro padri costituenti, poi, talvolta, le costituzioni aiutano i popoli a specificare e mantenere la propria identità.


Questo, in ogni caso, è vero quando lo stato e la costituzione non sono il prius, il principio di tutto, ma l’espressione di ciò che viene prima, vale a dire del binomio popolo e diritto naturale. D’altra parte, poiché i popoli non sono idee astratte, ma realtà vive della storia nella sua complessità, il loro agire e il loro essere sono inevitabilmente condizionati da numerosi fattori, tra cui i giochi e gli equilibri di potere politico ed economico. Il problema del diritto internazionale è che o esso è un aspetto del diritto naturale (e dunque si ammette l’esistenza di un diritto naturale!!!) o esso è una pura convezione dettata da rapporti di forza. In questo secondo caso è conforme al diritto ciò che è sostenibile con un rapporto di forza, che è poi la logica su cui si è mossa in questi anni l’amministrazione USA/NATO… Nel primo caso, invece, la logica del diritto naturale è quella del principio di autoderminazione. Gli stati non sono eterni. Alla faccia delle costituzioni di carta. I concetti di uno e indivisibile sono concetti metafisici non politici, né, tanto meno, storici. Chi non ne è convinto dia un’occhiata a che fine hanno fatto stati come la Prussia, la DDR o, perché no, l’Impero Romano o la stessa URSS. Gli stati sono espressioni storiche e geoculturali, se pretendono di essere qualcosa di più, sono strumenti nelle mani di poteri forti, transnazionali e occulti. Un paese in cui il popolo non può pronunciarsi sulle direzioni della politica estera è una democrazia dimezzata, se non apparente. Il grido “Lo vuole l’Europa!”, a giustificazione dell’ingiustificabile, assomiglia sempre più a un secolarissimo “Deus lo vult!”, per cui le libertà fondamentali non sono nulla e il diritto di cittadinanza si esercita solo e soltanto come assenso a quello che è già stato deciso ai tavoli dei vari Bilderberg. Del resto è proprio questo che vogliono i ministri squadra e compasso del nuovo ordine europeo.


Giuseppe Reguzzoni