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Bill Gates e la nemesi tecno-medica (II)

di Bianca Bonavita - 16/08/2020

Bill Gates e la nemesi tecno-medica (II)

Fonte: Sinistra in rete

Il cambiamento del comportamento è un’argomentazione utilizzata ossessivamente da media e governanti fin dai primi giorni successivi alla dichiarazione dello stato di emergenza.

Al di là del fatto che è difficilmente dimostrabile che vi sia una correlazione tra questo cambiamento del comportamento e la stabilizzazione e il declino della curva dei contagi (in questo possono contare tanti fattori tra cui l’alzarsi delle temperature e l’indebolirsi del virus stesso), interessa piuttosto far notare che questo cambiamento del comportamento è stato presentato fin da subito in maniera troppo insistente, quasi fosse una preparazione a un mutamento antropologico che in parte era già in atto prima dell’evento Covid-19.

Questo cambiamento del comportamento, qui non meglio specificato, ha significato per miliardi di persone lo stravolgimento delle proprie vite, la segregazione coatta nelle abitazioni, la sospensione a tempo indeterminato di libertà fondamentali, la telematizzazione ulteriore delle relazioni, del lavoro, della conoscenza e, attraverso il principio del “distanziamento sociale”, l’imporsi di un nuovo livello di intensità nel regime di separazione che già prima divideva gli umani.

La forma di vita che ci si prospetta dietro questo eufemistico “cambiamento del comportamento” è una forma di vita ancora più separata dalla natura e dal prossimo e ancora più catturata dai dispositivi di controllo del regime di “biosicurezza” che va delineandosi. In virtù di questo riesce difficile pensare, come alcuni auspicano, che questo “cambiamento del comportamento” di cui parla Gates, possa essere trasformato da molte persone, nell’istante di verità che aprirebbe, in un cambiamento della propria forma di vita in chiave destituente. Ciò che stiamo osservando in questa fase di normalizzazione dei dispositivi di emergenza è piuttosto l’adeguamento diffuso, benché non totale, ai dispositivi atti a realizzare questo mutamento antropologico.

Abbiamo reagito in maniera sproporzionata?

È ragionevole che le persone si chiedano se il cambiamento di comportamento fosse necessario. La risposta è si, in modo schiacciante. Ci sarebbero potute essere poche aree nelle quali il numero di casi non avrebbe mai raggiunto grandi numeri di contagi e morti, ma non c’era modo di sapere in anticipo quali sarebbero state queste aree. Il cambiamento ci ha permesso di evitare molti milioni di morti e un carico estremo degli ospedali, che avrebbe anche aumentato le morti per altre cause.

Il costo economico che è stato pagato per ridurre il tasso di contagio è senza precedenti. Il crollo dell’occupazione è stato ed è più veloce di ogni altra cosa di cui abbiamo avuto esperienza. Interi settori dell’economia sono chiusi. È importante capire che questo non è solo il risultato delle politiche di governo che hanno limitato le attività. Quando le persone sentono che una malattia infettiva si sta diffondendo largamente, cambiano il proprio comportamento. Non c’è mai stata scelta: non si poteva avere nel 2020 la stessa economia forte del 2019.

Molte persone avrebbero scelto di non andare al lavoro o al ristorante o a far viaggi, per evitare di contagiarsi o contagiare le persone più anziane della loro famiglia. I dettami del governo si sono assicurati che abbastanza persone cambiassero il proprio comportamento per portare la percentuale di riproduzione sotto 1.0, che è quella necessaria per avere poi la possibilità di riaprire alcune attività.

I paesi più ricchi stanno vedendo una riduzione dei contagi e stanno pensando a come riaprire.

Anche se un governo allentasse le restrizioni al comportamento, non tutti riprenderebbero immediatamente le attività permesse. Ci sarà bisogno di molta buona comunicazione per far capire alle persone quali sono i rischi e per fare in modo che si sentano a proprio agio a tornare a lavoro o a scuola. Sarà un processo graduale, con alcune persone che immediatamente faranno tutto ciò che è permesso e altre che lo faranno più lentamente. Alcuni datori di lavoro necessiteranno di un certo numero di mesi prima che possano richiedere ai dipendenti di tornare a lavorare. Alcune persone vorranno che le restrizioni siano rimosse più rapidamente e potranno scegliere di infrangere le regole, il che metterà tutti a rischio. I leader dovrebbero incoraggiare l’obbedienza.

Gates si chiede retoricamente in questo paragrafo se non ci sia stata una reazione sproporzionata e in poche righe risolve la questione senza portare alcuna prova sostanziata alle sua tesi.

Di fatto interi paesi sono stati paralizzati preventivamente in base alla “logica del peggio”, e molto spesso attraverso misure totalmente illogiche, irrazionali e dannose, in virtù di un altissimo rischio ipotetico che non si è realizzato nemmeno dove le misure sono state blande o quasi nulle.

Gates cita poi il costo economico del cosiddetto “lock down” e lo definisce senza precedenti e sembra voler convincere chi legge che in assenza delle misure estreme e liberticide adottate dai governi le persone si sarebbero comportate ugualmente e che quindi la grave crisi economica sarebbe comunque stata inevitabile.

Sappiamo che il capitalismo ha bisogno di periodiche crisi per potersi rigenerare e risulta difficile pensare che l’attuale crisi provocata dell’evento Covid-19 non sia stata in alcun modo voluta, se non programmata, e ora gestita con enorme profitto, da alcuni grandi attori del capitalismo transnazionale.

Più che un “lock down”, uno “shock down”, una “economia dello shock”, un “ctrl alt canc” del sistema capitalista per farlo ripartire con ancora più rapacità, tagliando senza pietà il superfluo e lanciando, col beneplacito della finanza, alcuni settori chiave (farmaceutico, tecnologico, biotecnologico) a traino del grande calcolatore-mondo.[23] Saranno loro, essendo determinanti nel controllo del virus e quindi potendo decidere sulla fine dell’emergenza, a guidare e a controllare di fatto tutti gli altri settori.

Nel “costo economico” di Gates non c’è alcun riferimento al costo sociale del “lock down”, che avrà gravi ricadute anche sugli stessi sistemi sanitari in nome dei quali sono state giustificate le misure di contenimento. La crisi economica e sociale può diventare per molte persone crisi esistenziale e porterà con sé inevitabilmente, e ha già iniziato a farlo, depressione, angoscia, malattie e suicidi.

Gates accenna poi alla questione della “riapertura”, soffermandosi sulle diverse reazioni psicologiche ad essa. Predicendo che “anche se un governo allentasse le restrizioni al comportamento, non tutti riprenderebbero immediatamente le attività permesse” inquadra con esattezza un fenomeno sociale già in corso che si potrebbe chiamare “lock down interiore”.

Il “terrore sanitario” interiorizzato ha fatto sì che molte persone continuino a rifiutare come pericolose o inutili le dosi di libertà loro concesse e ad interpretare in maniera più restrittiva le disposizioni dei governi. Che bisogno c’ è di uscire di casa esponendosi a mille rischi di varia natura quando si possono vedere gli amici in videochiamata?

All’estremo opposto dei comportamenti, Gates punta il dito contro i trasgressori, gli untori che infrangendo le regole metteranno tutti a rischio e su cui ricadrà la responsabilità di nuove possibili chiusure. Gates conclude il paragrafo dicendo eufemisticamente che i governanti “dovrebbero incoraggiare l’obbedienza”. Conosciamo con quali misure fino ad ora i governanti italiani hanno, attraverso lo stato di polizia, “incoraggiato l’obbedienza”.

Per incoraggiare l’obbedienza, peraltro già introiettata da molti, nell’attuale fase di normalizzazione dei dispositivi di emergenza si ventila in Italia l’ipotesi della costituzione di un corpo volontario di vigilanti che avranno tra i loro compiti quello di segnalare alle forze di polizia eventuali assembramenti e inosservanze del distanziamento. Una sorta di corpo civico della delazione, pratica già tristemente diffusa, ancorché informale, nella prima fase acuta dell’evento Covid-19.

Differenze tra i vari paesi

La pandemia non ha colpito egualmente tutti i paesi. La Cina è stato il luogo dove è avvenuto il primo contagio. Sono stati in grado di utilizzare una quarantena inflessibile e un uso esteso dei tamponi per fermare la diffusione. In un secondo tempo sono stati i paesi più ricchi, che hanno più circolazione di persone che vengono da tutto il mondo, ad essere contagiati.

I paesi che hanno reagito rapidamente, hanno fatto tanti test e usato l’isolamento, hanno evitato il contagio su larga scala. I vantaggi di questa precoce reazione ha anche significato che questi paesi non hanno dovuto chiudere le proprie economie in maniera totale come altri. L’abilità di fare tamponi spiega bene molte differenze. È impossibile sconfiggere un nemico che non possiamo vedere. E quindi fare test è fondamentale per mettere sotto controllo la malattia e cominciare a riaprire l’economia.

Finora, i paesi in via di sviluppo come l’India e la Nigeria, hanno avuto una piccola percentuale del contagio globale registrato. Una delle priorità della nostra fondazione è stato aiutare questi paesi ad incrementare i tamponi affinché possano conoscere la loro reale situazione. Con un po’ di fortuna, la comprensione di alcuni fattori che ancora non ci sono noti, come per esempio l’influenza che il clima può avere sulla diffusione del virus, preverrà contagi in larga scala in questi paesi.

Comunque noi dobbiamo supporre che le dinamiche della malattia siano le stesse che in altri paesi.

Anche se la loro popolazione è sproporzionatamente giovane – che tenderebbe a significare meno morti da COVID19 – questo vantaggio è quasi certamente controbilanciato dal fatto che i sistemi immunitari delle persone dei paesi a basso reddito sono indeboliti dalla malnutrizione o dall’HIV. E meno l’economia di un paese è sviluppata, più è difficile la modifica dei comportamenti che riducono il tasso di riproduzione del virus. Se vivi in una periferia (slum) urbana e fai un lavoro informale per guadagnare abbastanza per nutrire la tua famiglia ogni giorno, non troverai facile evitare il contatto con altre persone. In più il sistema sanitario in questi paesi ha molta meno capacità, quindi sarà difficile anche solo fornire un trattamento di ossigeno a chiunque ne abbia bisogno.

Tragicamente è possibile che le morti totali nei paesi in via di sviluppo saranno molto più alte che nei paesi sviluppati.

In questo paragrafo Gates loda esplicitamente la Repubblica Popolare Cinese per la gestione efficiente e, aggiungiamo, totalitaria: la “quarantena inflessibile” e “l’uso esteso dei tamponi”. Si tratta del primo di una serie di riferimenti alla Cina, il cui modello di gestione del contagio viene elevato a modello governamentale da imitare.

Gates si sofferma sull’importanza dei test, su cui ritornerà più avanti in maniera più dettagliata, vincolando ad essi la “riapertura dell’economia”, e ritorna sul nemico da combattere mettendo l’accento sulla sua invisibilità. Solamente i test, ci dice Gates, possono smascherare il nemico che si cela in ogni persona, che è dunque ogni persona. Di qui l’uso massivo dei tamponi (che sappiamo avere una percentuale significativa di falsi positivi) che nella fase acuta dell’evento Covid-19 sono serviti, insieme al terroristico conteggio quotidiano dei morti “positivi al virus”, ad ingigantire la percezione del fenomeno[24]. Tamponi che peraltro, insieme all’uso indiscriminato dei termoscanner, hanno abituato le persone ad accettare piccoli Tso quotidiani preventivi in nome di un presunto bene collettivo. Misure, in questo caso esenti da effetti collaterali, che possono però essere lette anche come preparazione simbolica di massa all’accettazione di altre future imposizioni di trattamenti sanitari ben più invasivi. A ben guardare l’evento spettacolare Covid-19 può essere letto fino ad ora come un gigantesco trattamento sanitario obbligatorio di prevenzione agito sull’intera popolazione di molti paesi.

Nella seconda parte del paragrafo, Gates accenna alla questione della diffusione del virus nei cosiddetti paesi in via di sviluppo assicurandoci di fatto che un’eventuale bassa diffusione registrata sarà illusoria perché dovuta a una difficoltà logistica nell’effettuare test sulla popolazione, dovuta all’impreparazione dei governi e dei loro sistemi sanitari, e che probabilmente ci saranno più morti nei paesi in “via di sviluppo” che in quelli “sviluppati”.

Ricordiamo che buona parte delle attività della Fondazione Gates è proprio rivolta ai cosiddetti paesi in via di sviluppo attraverso il finanziamento a progetti mirati dell’OMS e della sua partner GAVI, che si occupa di diffondere in essi campagne vaccinali di massa.

Attraverso la definizione “sproporzionatamente giovane”, riferita alla popolazione dei “paesi in via di sviluppo” Gates tradisce la vocazione malthusiana della sua fondazione e dell’istituto per la “salute riproduttiva”[25] ad essa collegato.

Il filantropismo farmaceutico dei magnati alla Gates è, a dir poco, in odor di imperialismo e ancora una volta tornano utili le parole di Illich quando rileva come la medicina moderna occidentale agisca da colonizzatrice nei confronti delle culture tradizionali, esportando medicalizzazione e ospedalizzazione laddove andrebbero soltanto rimosse condizioni strutturali dannose per la salute spesso provocate dallo stesso colonialismo economico e culturale occidentale.

“Quando una cultura si medicalizza, in qualunque parte del mondo, la struttura tradizionale delle usanze, che possono diventare esercizio consapevole nella pratica personale della virtù dell’igiene, viene progressivamente paralizzata da un sistema meccanico, un codice medico in forza del quale gli individui si rimettono alle istruzioni emanate dai loro custodi sanitari. (…) Gli obbiettivi della civiltà medica metropolitana sono così antitetici a ogni programma sanitario culturale ch’essa incontra sulla via della progressiva colonizzazione”.[26]

Cosa dobbiamo imparare

La nostra conoscenza della malattia ci aiuterà con strumenti e politiche. Ci sono numerose questioni chiave che ancora non capiamo. Si stanno facendo numerosi studi per rispondere a queste domande, incluso uno a Seattle fatto dall’Università di Washington. La collaborazione globale su questi aspetti è impressionante e dovremmo riuscire a sapere di più entro l’estate.

    • La malattia è stagionale o dipendente dal clima? Quasi tutti i virus respiratori sono stagionali (un gruppo che include anche il COVID-19). Questo significherebbe che ci sono meno infezioni in estate, il che potrebbe cullarci in una falsa sicurezza e noncuranza fino all’autunno. È un problema che dipende dal punto di vista. Noi vediamo che il nuovo coronavirus si sta diffondendo in Australia e altri luoghi dell’emisfero sud, dove le stagioni sono opposte alla nostra, e quindi già sappiamo che il virus non è stagionale come l’influenza.
    • Quante persone asintomatiche hanno abbastanza virus da contagiarne altre? Le persone che sono guarite e hanno ancora del virus residuale – quanto sono contagiose? Modelli fatti al computer dimostrano che se ci sono molte persone asintomatiche ma contagiose, è molto più difficile riaprire senza una recrudescenza dei casi. C’è molto disaccordo su quanti contagi vengano da queste fonti, ma noi sappiamo che molte persone con il virus non hanno sintomi, e una porzione di queste può finire col trasmetterlo.
    • Perché i giovani hanno un minore rischio di ammalarsi gravemente quando si contagiano? Comprendere le dinamiche di questa cosa ci aiuterà a soppesare i rischi della riapertura delle scuole. È un tema complicato perché anche se i giovani non si ammalano, potrebbero comunque diffondere la malattia ad altre persone.
    • Quali sintomi indicano che dovresti essere testato? Alcuni paesi misurano la temperatura di molte persone, come screening iniziale. Se fare questo ci aiuta a trovare più potenziali casi, potremmo usarlo agli aeroporti e ai grandi raduni. Dobbiamo fare i test che abbiamo a disposizione alle persone a più alto rischio, perché non abbiamo test per tutti.
    • Quali attività causano il rischio più alto d’infezione? Le persone mi fanno domande sull’evitare cibi preparati o i pomelli delle porte o i bagni pubblici, così possono minimizzare il rischio. Vorrei sapere cosa rispondere loro. Dovranno essere prese delle decisioni sui differenti tipi di raduni, come la scuola, o la chiesa e se dovrà essere richiesto un qualche tipo di distanziamento. Nei luoghi senza una buona sanificazione, ci potrebbe essere diffusione da contaminazione fecale perché le persone contagiate disperdono il virus.
    • Chi è più sensibile alla malattia? Sappiamo che le persone anziane corrono i maggiori rischi di grave malattia o morte. Comprendere come il genere, la razza e le co-morbilità interagiscono con questo è un work in progress.

In questo paragrafo costellato di banalità come “Sappiamo che le persone anziane corrono i maggiori rischi di grave malattia o morte”, Gates si premura di avvisarci che l’estate ci darà l’illusione erronea di essere al sicuro e che in autunno probabilmente ci sarà una recrudescenza dei casi.

L’allarme deve dunque essere tenuto alto anche durante l’estate perché questo virus, a differenza evidentemente di altri virus che provocano sindromi influenzali e che ogni anno vengono, vanno o ritornano mutati, sarà sconfitto solo attraverso le innovazioni tecnologiche che ancora non possediamo. Quali? Ci arriveremo.

Ci pare interessante far notare come Gates, dall’alto della sua auto-investitura, si senta in diritto di poter dire che dovranno essere prese delle decisioni su raduni quali quelli delle scuole e delle chiese. Vale forse la pena sottolineare, come peraltro è già stato fatto altrove, che durante l’evento Covid-19 esse sono state entrambe minate alle fondamenta: la scuola e l’università essendo immediatamente assorbite nella spettralità degli schermi; la religione avendo definitivamente ceduto il governo delle anime ridotte a nuda vita alla medicina come avanguardia mascherata del capitalismo.

Il ruolo della fondazione Gates

In tempi normali, la Fondazione Gates mette più della metà delle sue risorse nella riduzione delle morti da malattie infettive. Queste malattie sono la ragione per la quale un bambino in un paese povero ha 20 volte la possibilità di morire prima dei 5 anni che uno in un paese ricco. Noi investiamo nell’invenzione di nuove terapie e vaccini per queste malattie e nel fare in modo che questi siano distribuiti a chiunque ne abbia bisogno. Le malattie includono HIV, malaria, tubercolosi, polio e polmonite. Tutte le volte che c’è un’epidemia come Ebola, SARS o Zika, lavoriamo con i governi e il settore privato per aiutare a fare un modello dei rischi e a incentivare le risorse per creare nuovi strumenti per fermare l’epidemia. È stato per questo che nella mia TED talk del 2015 parlai del fatto che il mondo non era pronto per un’epidemia respiratoria. Sebbene non sia stato fatto abbastanza, alcuni passi sono stati fatti per prepararsi, incluso la creazione della CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovation), di cui parlerò più sotto nella sezione vaccini.

Ora che l’epidemia ha colpito, stiamo usando la nostra esperienza per trovare le idee migliori in ogni area e far sì che vengano implementate velocemente. Ci sono molti sforzi in atto. Più di 100 gruppi stanno lavorando sulle terapie e altri 100 sui vaccini. Stiamo finanziando una parte di questi ma li stiamo seguendo tutti quanti da vicino. La chiave è guardare ad ogni progetto per vedere non solo la sua possibilità di funzionamento ma anche le probabilità che possa essere implementata per aiutare l’intero mondo.

Un’attività urgente è raccogliere soldi per lo sviluppo di nuovi strumenti. Penso a questo come ai miliardi che abbiamo bisogno di spendere adesso per poter poi risparmiare migliaia di miliardi in un secondo tempo. Ogni mese che ci vuole per avere il vaccino è un mese nel quale l’economia non può ritornare alla normalità. Però non è chiaro come i paesi si uniranno per coordinare i finanziamenti. Alcuni fondi potrebbero andare direttamente al settore privato ma i paesi che li erogano esigono che i loro cittadini abbiano la priorità nel ricevere il vaccino. C’è molta discussione tra i governi, l’OMS, il settore privato e la nostra fondazione sul come organizzare questi sforzi.

In questo paragrafo Gates dopo averci informato dell’impegno filantropico profuso dalla sua Fondazione nella produzione e diffusione dei vaccini su larga scala e dopo averci ricordato il suo profetico (o programmatico?) discorso del 2015[27], entra nel vivo del suo programma di governo attribuendo chiaramente alla sua Fondazione, non si capisce sulla base di quale legittimità politica, un ruolo di coordinamento tra governi, OMS e settore privato (presumibilmente non solo case farmaceutiche e industrie biotecnologiche ma anche colossi dell’hi-tech fornitori delle tecnologie per i tracciamenti).

Per la prima volta dall’inizio della sua trattazione, Gates dichiara senza mezzi termini che soltanto l’arrivo di un vaccino (come nel film hollywoodiano “Contagion”) consentirà il ritorno alla normalità: “ogni mese che ci vuole per avere il vaccino è un mese nel quale l’economia non può tornare alla normalità”. Ecco cosa, quindi chi, deciderà sulla sospensione dello stato di emergenza.

Di fatto attraverso CEPI[28] e la già citata GAVI, viene lanciata una sorta di gara o di bando globale per la preparazione di un vaccino salvifico in grado di riavviare il sistema. Ingenti somme di denaro pubblico stanno già confluendo al settore privato attraverso questi due grandi contenitori a partecipazione mista, entrambi promossi e largamente finanziati dalla Fondazione Gates.[29] Lo stesso governo italiano, che dovrà affrontare la crisi economica più devastante del dopoguerra, ha stanziato 140 milioni di euro per il vaccino, di cui 10 a CEPI, 10 all’OMS e 120 a Gavi in cinque anni.[30]