Che società potrà mai nascere da chi adotta quel motto?
di Antonio Catalano - 13/04/2025
Fonte: Antonio Catalano
Bella (e coraggiosa) la riflessione di Marcello Veneziani sul caso della ragazza vigliaccamente uccisa a Messina dall’ennesimo ragazzo “incapace” di sopportare (per assenza di virilità) il diniego di lei. Veneziani sfida il neo conformismo imperante, naturalmente dopo aver espresso pietà per l’assurda morte, per la giovane vita spezzata da un ragazzo che pretendeva di essere amato.
La riflessione ruota intorno alla frase che Sara Campanella aveva scelto come biglietto da visita del suo profilo, una frase che viene presentata dal pensiero medio dominante come messaggio di indipendenza e autodeterminazione che ogni donna libera dovrebbe poter seguire: «Mi amo troppo per stare con chiunque». Frase affissa alle fermate dei bus di Messina, sventolata nei cortei di piazza…
Secondo M.V. questa è una frase terribile, una dichiarazione di solitudine narcisistica, di egoismo e di egocentrismo assoluto. Una frase che proclama la rottura con il mondo e con gli altri, la rinuncia a priori a ogni vero amore, a ogni legame affettivo, e in prospettiva a ogni dedizione e proiezione verso la famiglia, i figli, gli amici, la società. Un amarsi troppo per cui non rimane né tempo né spazio per gli altri. La variante peggiorativa di un’altra frase che troppo spesso si ama ripetere: l’importante è stare bene con se stessi.
E se invece fosse vero il contrario, si domanda M.V, che l’importante è stare bene con gli altri, ossia trovare un giusto equilibrio tra la propria vita e quella di chi sta intorno, dare e ricevere, scambiarsi i doni dell’amicizia e dell’affetto, curarsi di chi ci è accanto? Perché un conto è vivere solo per noi stessi, un altro è vivere a partire da se stessi e poi allargarsi al mondo, a cominciare d chi ci è più vicino.
Amare se stessi, scrive M.V., vuol dire non buttare via la propria vita, non sprecarla, rispettarsi, curarsi, avere anche un po’ di fierezza e amor proprio: ma la proclamazione di un amore esclusivo di sé e autoreferenziale, in cui non c’è posto per gli altri, è l’inizio del male, il passaggio dalla solitudine benefica all’isolamento. Che società potrà nascere da chi adotta quel motto?
Viviamo nell’epoca dell’individualizzazione tragica, l’io si sradica, non si sente erede di nessuno e rifiuta di essere padre/madre di nulla al di fuori di se stesso; perde la realtà, il mondo, la natura, la storia, la società. Si inabissa nella sua solitudine, munita solo di connessione tecnologica.
Queste uccisioni, conclude M.V., sono aberrazione di singoli che hanno perso la testa e non vittime di uno scontro sociale di genere. Non c’è nessun esercito nemico da battere ma ci sono solo individui solitari che uccidono per incapacità di vivere, dipendenza assoluta dalla loro partner e fragilità distruttiva e autodistruttiva.
Uomini-narciso che vivono specchiandosi nell’altro e quando lo specchio si rompe le schegge diventano coltelli per uccidere chi ha infranto la loro immagine proiettata nella vita di lei.
Il vero nemico è l’egolatria di massa. Viva Io, a morte l’Io altrui. Così muore una società, non solo un individuo.