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Ci salverà soltanto la virtù della moderazione

di Claudio Risé - 09/04/2018

Ci salverà soltanto la virtù della moderazione

Fonte: La Verità

 

A fare ora scandalo sono i nuovi politici, che invece di godersi i soldi pubblici in auto blu e altri benefit, insistono nel vivere come gli altri cittadini e pagare di tasca loro. Le autoriduzioni alle "indennità di funzione" di Roberto Fico e altri eletti cinquestelle, e di Mara Carfagna (e altri che seguiranno), il recarsi alla Camera in autobus del suo nuovo Presidente, così come la rinuncia a utilizzare il volo di Stato da parte di Elisabetta Casellati per andare a sentire il concerto del figlio a Genova, non sono affatto piaciuti ai commentatori dei grandi giornali italiani. Abbondano le ironie su Fico, su chi va in autobus e la sua sete di scomodità. Irrita l'abbandono dell'autoblu e la (pur modesta) salita al Quirinale a piedi.
Ostinarsi in questo cinismo è ingiusto verso quei politici che finalmente si comportano in modo normale, come in qualsiasi altro paese civile, e anche verso i molti cittadini che di fronte a questi segni tirano un respiro di sollievo. Ma soprattutto è allarmante. Viene il sospetto che non si sia ancora capito quale sia il livello di furore e di vergogna degli italiani verso la loro (ex?) classe dirigente politica, e quanto per fortuna si stia finalmente diffondendo un altro modo di sentire, forse più onesto. 
Perché mai la Presidente Casellati dovrebbe usare un areo di Stato per andare a sentire il concerto del figlio? Perché le finanze pubbliche dovrebbero provvedere ai comportamenti e esigenze private dei parlamentari (come peraltro è accaduto, è vero, fino alle ultime elezioni)? Forse i commentatori, ancora tramortiti dai risultati elettorali (che all'estero erano da tempo dati per scontati), lontani dalla realtà tanto quanto la classe politica di cui sono stati a lungo narratori e portavoce, pensano di andare avanti a battute. Ma (forse) non sarà davvero più possibile. Pesa sulla disponibilità a ridere, parlando di politica, il fatto (tanto per fare esempi) che non ci siano abbastanza asili per i bambini, che in più di metà del Paese a farsi ricoverare in ospedale si rischi la pelle, che migliaia di ponti siano a rischio, che più di metà delle ferrovie corrano (si fa per dire) su binario unico, che l'Italia sia l'ultimo paese d'Europa per infrastrutture. E in compenso primo per consumo di droga, in inarrestabile aumento da anni; sorretto ora dalla rete di distribuzione onnipresente fornita dall'immigrazione clandestina. Che, per un tipico paradosso nazionale, in quanto clandestina non viene "vista", neppure quando i passanti preoccupati la segnalano alle pattuglie di polizia presenti (come davanti alla stazione di Milano), perché, appunto, non figura tra gli interventi previsti. 
I nuovi eletti, in buona parte, conoscono tutto ciò meglio dei commentatori a loro dedicati, vittime della stessa alienazione dalla realtà della vecchia classe politica, che si credeva inamovibile solo perché, per pigrizia, nessuno l'aveva ancora rimossa. 
La questione della rinuncia alle "retribuzioni aggiuntive", o alle esibizioni pacchiane però, non è solo un fatto di stile o di ovvia educazione civica. E' un tema centrale dal punto di vista psicologico e simbolico, con ricadute decisive sulle possibilità dell'Italia di uscire dalle attuali difficoltà. Sembra che commenti di questo genere scordino che nelle condizioni dell'Italia quando un membro del governo va a sciare con aereo di Stato compie di fatto un furto a danno degli utenti degli autobus che non circolano perché non vengono riparati, dei bambini parcheggiati in strutture pericolanti perché non ci sono i fondi. Anche con queste leggerezze e arroganze (tralasciando le banche e il resto, noto) i nostri politici hanno rubato fino all'altro ieri, sotto gli occhi dei fotoreporter, dando un pessimo esempio a tutto il Paese. Interrompere questi comportamenti è oggi un atto dovuto da ogni politico, non un'esibizione fantasiosa per attirare l'attenzione. Non si tratta, però, solo dello sperabile arresto della distorsione di risorse pubbliche verso i comodi privati di parlamentari e governanti. 
C'è in commenti di questo genere una sorta di esibito disprezzo delle virtù pubbliche che fa riflettere. E' lei a dare fastidio: la virtù. Ma pensiamo davvero che insistere nell'esibizione del lusso e di abitudini costose sia cosa buona e giusta? Crediamo che Cicerone fosse pazzo a definire la frugalità una "virtù regale"? Dietro a questo cinismo c'è la concezione della ricchezza e del potere come esibizione e arroganza, tipica delle culture deboli e delle fasi di decadenza. Molto lontana dalla forza italica espressa da Virgilio quando, all'epoca di Cesare Augusto scriveva che siamo "nati per consumare con moderazione". Certo, non è un problema solo nostro. Sappiamo che oggi nel mondo la prima causa di morte sono le malattie del troppo: troppo cibo, alcol, droghe; eccesso e dismisura come unica regola. Ma ciò diventa straziante, senza però smettere di essere anche ridicolo, in un paese dove nelle scuole crollano i soffitti per mancanza di manutenzione.
Ci ripetono da anni: ma bisogna sostenere i consumi. Anche qui sarebbe meglio buttare un occhio a giornali e dibattiti internazionali. Ci accorgeremmo che dovunque (persino sul New York Times, pur lento a digerire i cambiamenti), si invita a non insistere troppo sui consumi, e neppure sul commercio internazionale che dovrebbe garantirli. Il problema ormai riconosciuto è dare il lavoro alle persone nei vari paesi, l'Italia come gli altri. Quindi riportare nelle diverse nazioni le risorse impegnate in speculazioni internazionali, perché si investano in produzioni non solo destinate al consumo, ma infrastrutturali, sistemiche, di ricerca, di formazione, di artigianato sofisticato. Si tratta di trovare (cosa possibile e necessaria già da tempo, secondo storici eminenti come Fernand Braudel), un diverso modello di sviluppo che non sia una forma di "parassitismo sociale" come l'attuale consumismo.
Vale forse la pena ricordare che il capitalismo nella sua fase di ascesa molto si giovò degli avvertimenti di Giovanni Calvino nei confronti di "inquietudine, vanità e cupidigia", segni di disordine e di follia. Ma anche l'uomo e la donna selvatica, semplici custodi della natura, ammoniscono nelle loro saghe i contadini che vengono a prendere la legna del bosco a non esagerare, a non far mancare alla foresta le riserve per la sua rigenerazione. E quando gli avidi disobbediscono li puniscono duramente. 
Nel frattempo però, si tratta di uscire dall'ironia cinica e dal battutismo, per riscoprire la forza (indispensabile alla vita in comune) della virtù. Che viene da vir, maschio, nel senso di colui che sa privarsi di qualcosa, che non ha assoluta necessità di consumare perché non deve nutrire con il seno e il latte, ma con le braccia e l'azione. Anche le donne la conoscono benissimo la virtù, loro che hanno tirato su i figli mentre i loro uomini erano in guerra. 
E' sempre privazione dell'eccesso, la virtù. E' onesta. E' dignitosa. E' bella. E' qualcosa ritrovare e da amare.