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Confinamento antivitale per i ragazzi. Ora non hanno più riti di iniziazione

di Claudio Risé - 24/01/2021

Confinamento antivitale per i ragazzi. Ora non hanno più riti di iniziazione

Fonte: Claudio Risé

L’educazione contemporanea ha fatto terra bruciata dei percorsi formativi tradizionali

Si feriscono, si torturano, a volte si uccidono. Adolescenti e bambini sono in gravi sofferenze, soprattutto da quando i confinamenti in casa sono diventati quasi un'abitudine. Gli ospedali non hanno letti sufficienti dedicati a questa evenienze, finora impreviste (a torto). I letti previsti sono (in tutta Italia) 92. In alcune regioni: 0. Cosa sta accadendo, e perché? La Verità aveva già segnalato, più volte, ne  Lo sguardo selvatico, l'alta pericolosità dei lockdown per i bambini, definendoli antivitali. Cioè, letteralmente, contro la vita dei giovanissimi. Anche tra gli umani, infatti, come in tutte le altre specie viventi, per rafforzarsi e crescere in modo equilibrato dopo lo svezzamento e la prima infanzia, i giovanissimi devono uscire di casa e mettersi a confronto con i loro pari, il mondo intorno e con la natura. Come è sempre accaduto, ancora fino a pochi decenni fa.
In poco tempo però, nella vita degli adolescenti sono quasi completamente scomparsi la strada e i dintorni di casa, che con la scuola erano (soprattutto per i maschi ma non solo) i loro principali luoghi di socializzazione. Si è aperta così già la strada al fenomeno dei "rifugiati nella cameretta": gli hikikomori che dal Giappone si sono diffusi in Giappone, e in misura minore anche in Spagna e in Italia; i Paesi dove la presenza della madre è più pervasiva, e la sua assenza o crisi più destabilizzante. Già quella fu la prima fuga da un mondo adolescenziale aperto e con i suoi rischi, ma anche con le ricchezze e positività dello spirito di avventura e di scoperta, ad uno più chiuso, ormai ristretto ai suoi strumenti tecnici, computer smart phone, tablet etc., dove il corpo, privato di scoperte e movimenti, fatalmente si indeboliva, diventando sempre più insicuro e pauroso.
I confinamenti poi, con il loro obbligo di restare nella casa familiare da cui l'adolescente ha invece soprattutto bisogno di uscire, hanno procurato una regressione fisica e psichica che ha generato insicurezza, e attacchi autolesionistici frequenti e gravi, spesso ritualizzati in abitudini, e tentativi di suicidio. A volte, purtroppo, riusciti. Ci chiediamo allora il perché.
Una prima risposta è che l'educazione contemporanea, di cui spesso ci vantiamo, con la sua impostazione laica e razionalizzante ha fatto terra bruciata dei percorsi educativi tradizionali, che aiutavano l'adolescente a riconoscere le trasformazioni del proprio corpo e a prenderne gradualmente la guida. L'adolescente, infatti, dopo la pubertà è come qualcuno alla guida di una macchina che non conosce, e che si trasforma tra le sue mani. Lo sconcerto è grande e le spiegazioni razionali fornite, di carattere medico, e igienico, sono ampiamente insufficienti, perché completamente prive di empatia e di riferimenti psicologici, simbolici e spirituali che sono invece indispensabili alla crescita di un processo di sviluppo umano in relazione con il proprio corpo.
È stata così liquidata un'esperienza millenaria e universale di riti d'iniziazione (ultimo il servizio militare), che anche nei loro aspetti apparentemente stupidi o devianti avevano precise funzioni nell'accompagnare e organizzare lo sviluppo. Consideriamo un atto di civiltà l'averli soppressi, ma i bisogni che essi assolvevano permangono, anche se ignorati, e i ragazzi provvedono come possono. Se non c'è più il superiore che li sfianca con le marce, finché diventino fieri dei loro muscoli, si tagliano le gambe: è anche quello un modo di fare qualcosa per il proprio corpo. "L'autolesionismo diventa allora un balsamo che cura le ferite dell'anima spostandole sul corpo". (Lancini, Cirillo, Scodeggio, Zanella L'adolescente. Psicopatologia e psicoterapia evolutiva, Cortina editore). Molti tengono le lame con cui si tagliano assieme alle scatole dei medicinali. Arrivare al sangue è un modo, certamente sbagliato, di chiedere profondità a una società disgustosamente superficiale.