Credere in bio
di Pierluigi Fagan - 26/11/2023
Fonte: Pierluigi Fagan
Il domenicale di oggi è un discorso molto complicato su un argomento complesso, in poco spazio. Spero quindi risulti intellegibile, ma non sarà facile. A me serve come appunto del pensiero, voi ne farete l’uso che vorrete, come spesso si fa su questa pagina. E' molto lungo.
L’argomento è relativo l’immagine di mondo (idm) termine col quale intendiamo l’intera mentalità, di cui esistono innumerevoli versioni individuali, ma dentro un contesto del pensabile determinato da un numero molto minore di varianti, quello delle idm pubbliche e condivise. La più importante di queste idm generali, è l’idm dominante che è di solito un adattamento di una versione più longeva che connota una intera epoca storica e civiltà. Nel nostro caso, l’idm moderna occidentale. Attenzione perché anche le idm sfidanti, alternative a questo dominio del pensabile e del credibile, risentono nella forma del dominio di quella dominante.
Nelle idm c’è infatti una struttura ed un risultato di tale struttura, come c’è un genotipo ed un fenotipo. Le idm sfidanti, spesso, cercano un diverso fenotipo, ma condividono il genotipo di quella dominante più di quanto pensino. La radicale trasformazione di una idm, si ha quando introduciamo novità nel genotipo (ad esempio dalla forma medioevale a quella moderna), non nel fenotipo.
In paleontologia, S.J.Gould ed altri, ad un certo punto provarono ad inserire il concetto di saltazionismo nel cambiamento evolutivo che Darwin aveva previsto lento e costante. Al pari della dialettica tra riformismo e rivoluzione, Gould et alter, spingevano per la rivoluzione, una radicale trasformazione in un breve tempo. Il caso in esame erano i famosi fossili nell’argillite di Burgess in Canada (500 mio anni fa), che mostravano una relativamente improvvisa eccezionale produzione di nuovi phyla (gruppi tassonomici tra regno e classi). Il tutto è raccontato in un bel libro dal titolo “La vita meravigliosa” a cui però l’Autore aggiunge “I fossili di Burgess e la natura della storia”. A dire come nelle idm, si può parlare apparentemente di evoluzionismo, ma il pensante lo fa con lo stesso strumento (la sua mente e la sua versione di mentalità) con cui pensa ad esempio “la storia” o “la politica”. Gould poi ne trarrà un concetto che chiamerà “equilibri punteggiati” ovvero lunghe fasi di equilibrio e salti radicali improvvisi e brevi come metrica del cambiamento. In verità il tempo in cui occorsero tali cambiamenti del piano genetico è breve solo su scala molto ampia (centinaia di migliaia di anni, forse addirittura qualche milione), tuttavia citavo il caso perché quei cambiamenti non solo erano avvenuti sul piano del genotipo, ma di alcuni geni in particolare, proprio i geni “strutturali”, quelli che definiscono i piani corporei.
Trasferendoci alla gnoseologia delle immagini di mondo (anche se questo argomento è rubricato nella più limitata epistemologia), troviamo identico meccanismo nel concetto di “paradigma” di T. Khun. Quando cambia il paradigma, la più piccola struttura ordinante una intera immagine di mondo, cambia tutta l’immagine di mondo a cascata, radicalmente. Tant’è che questi salti, nella modernità, sono spesso detti “rivoluzioni”, ad esempio quella copernicana o quella quanto-relativistica in fisica. Altri ritengono (tra cui chi scrive) che in effetti non si danno mai rivoluzioni è sempre un lento accumulo di novità che poi porta a riconfigurazioni complessive come nella Gestalt. Tuttavia, rimane la possibile analogia tra novità dei geni strutturali e paradigmi delle immagini di mondo.
Il post quindi si dedica ad osservare la nascita di un possibile spostamento di paradigma nelle nostre immagini di mondo generali. Noi qui ci siamo spesso lamentati del fatto che di recente il mondo è cambiato radicalmente ma non così le nostre immagini di mondo. Siamo cioè in una nuova epoca storica ma continuiamo a pensare con le forme del moderno. Vediamo allora di cosa si tratta.
Di recente, ha fatto parecchio rumore una nuova teoria generale dell’essere, una teoria fisica derivata però dalla biologia. Un team multidisciplinare con tre filosofi della scienza, due astrobiologi, un data scientist, un mineralogista e un fisico teorico, provenienti dalla Carnegie Institution for Science, dal California Institute of Technology e dall'Università del Colorado, oltre alla Cornell, hanno presentato una teoria generale che è una sorta di estensione all’inorganico della teoria dell’evoluzione di Darwin nell’organico.
La teoria dice che nel vasto mondo dell’essere materiale c’è una selezione positiva per sistemi fisico-chimici che mostrano almeno tre caratteristiche. La prima è la stabilità atomo-molecolare, ciò che è stabile permane. La seconda è che vengono selezionati sistemi con fornitura costante di energia. La terza e forse più importante, è che vengono selezionati positivamente i sistemi che producono novità. Questo terzo punto assieme al primo, dice che c’è una condizione generale positiva tra costanza e cambiamento, alimentata dal secondo punto, la fornitura costante di energia.
È una costante tensione tra equilibrio interno ed equilibrio nella relazione con l'esterno, col contesto. Il contesto che ospita gli enti cambia sempre, di sua natura. Dal cosmo alla Terra, dalla geografia all’eco-clima, è da sempre, tutto in movimento, in divenire. È portato delle impostazioni della nostra idm occidentale e moderna, ad esempio, lo sforzo fatto da molti pensatori di individuare le “leggi della storia”, come se si dovesse trovare un motore interno le forme di vita associata umana che desse conto del perché c’è il cambiamento, cioè la “storia”. Ma se collocate l’oggetto nel suo contesto, dato che questo cambia sempre di default e dato che l’oggetto deve risultare adatto allo stato dell’essere generale, va da sé che la storia è la storia di queste rincorse che le forme ordinate della vita associata (culture, stati, civiltà) che avevano trovato una loro stabilità funzionale, sono obbligate a fare per rimanere adatte. Da qui la tensione tra permanenza e novità, tradizione e cambiamento, ordine e disordine.
Questo è il primo tentativo, a me noto, di sfida alla posizione di paradigma scientifico ma forse di paradigma generale dell’immagine di mondo complessiva, portato non dalla fisica come s’è verificato nei quattro secoli della modernità, ma dalla biologia. La cosa potrebbe svolgere una funzione genotipica-strutturale per il cambiamento delle nostre immagini di mondo, aprire al cambiamento della sua intera forma che è poi quello che ci serve per avere nuove immagini di mondo adatte ai nuovi tempi non più semplicemente moderni. Ne conseguirebbe infatti, una cascata di nuove costellazioni concettuali e cambiamenti strutturali del pensabile.
Ad esempio, lo stato standard del divenire e dell’essere non più ritenuti alternativi ma abbinati ovvero come essere nel divenire (la “nave di Teseo”, metaforizzarono i Greci). Ma anche il concetto di adattamento ovvero quella sistematica convocazione dei contesti che spesso lamentiamo come mancanza nel discorso pubblico, dalle nuove guerre alla caterva dei nuovi fatti sociali. I biologi evoluzionisti dicono “adattamento” in due sensi: cambiare il dentro di sé per adattarsi al contesto, ma anche cambiare il contesto per favorirsi l’adattamento.
In geopolitica, le grandi potenze si dedicano attivamente a modificare continuamente i contesti per non dover cambiar internamente. Le non potenze, invece, rincorrono trafelate ed esauste il cambiamento dei contesti, dilaniandosi nella dialettica tra conservazione e cambiamento. Ma anche quando decidono di cambiare, lo fanno passivamente non scegliendo il come ed il quando, subiscono interamente la dittatura della realtà, per mancanza di potenza. Non hanno potenza per intermediare il cambiamento, quindi subiscono il contesto.
Sono molti i portati concettuali da esplorare in questa nuova traiettoria. Ad esempio, cosa cambia nelle nostre pretese di precisione. A. Koyrè scrisse un bel libro dal titolo “Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione” per significare il passaggio dalla mentalità del medioevo alla modernità operata su base scientifica della fisica meccanica. Per costruire cose materiali (ponti, macchinari etc.) è richiesta questa precisione che poi diventa dominio della matematica e metafora generale per la quale una vite deve corrispondere precisamente alla filettatura del buco in cui si deve fissare. Per costruire economie o società umane o trovare nuovi equilibri mondiali tra sistemi umani e tra sistemi umani ed ambiente geo-atmosferico, però, tale precisione (stabilità, certezza, precisione) è non solo impossibile, ma anche non adattativa. Manca infatti quello scarto di vocazione alla novità che modifica continuamente l’ente poiché cambia il contesto per rimanere nella banda di oscillazione adattiva. Ci troviamo in una sorta di passaggio “dall’universo di precisione all’universo del pressappoco”.
Per chi penserà che questo concetto sulla “precisione o limitata imprecisione” non sembra poi così rilevante a prima vista, segnalo che ha effetti diretti sulla nostra concezione della “verità”. E la “verità” o almeno la nostra credenza su cosa sia, è invece massimamente rilevante per giudicare la legalità di una immagine di mondo, una teoria, un giudizio.
La questione ha effetti diretti sull’intero spettro delle discipline umano-sociali ed il loro statuto di scienze. Le scienze non hanno in comune il metodo, hanno semmai in comune la natura dell’oggetto. Oggetti fisico-chimico-geo-biologici sono passibili di scienza, oggetti dotati di intenzionalità (uomo individuale e sociale e tutto ciò a cui dà vita studiato in psicologia e psicoanalisi, etno-antropologia, sociologia, economia, linguistica, diritto, politica, storia), no. Si può e si deve estendere ciò che si può estendere del famoso “metodo scientifico” (ad esempio non l’esperimento cruciale), ma ciò non farà queste discipline delle scienze. Ogni conoscenza è fatta certo di metodo ma applicato alla natura dell’oggetto o fenomeno e gli oggetti o fenomeni dotati di intenzionalità hanno natura diversa da atomi o molecole o neuroni.
Per questo dobbiamo rinunciare al criterio di precisione ed abbracciare, ci piaccia o meno poco importa, quello di pressappoco. Certo vanno trovati i criteri ammessi di questo pressappoco che non può rifluire nella vaghezza sfocata e contradditoria del dire tutto ed il suo contrario, senza verifiche e fondazioni per quanto elastiche e provvisorie. Definire cioè il suo statuto di verità o ammissibilità, specie nel discorso pubblico (episteme, doxa, endoxa). Ne conseguirebbe anche la fine di quella mania di cercare “leggi” in cose e fenomeni che non mostrano alcuna legge ma al massimo una regolarità imprecisa e mai assoluta. Non può essere “assoluta” perché sono enti non sciolti da legami, sia perché sono fatti e dediti a creare legami (sono cose intessute, intrecciate assieme da “cum-plexus”), sia perché seguono adattativamente il contesto che è sempre in divenire. Quindi meno leggi e più regole.
Un nuovo dominio paradigmatico del bio cambierebbe la forma delle immagini di mondo in modi radicali, si pensi a cos’è l’economics astratta (una “fisica dell’economia” nell’intento che poi però si perde proprio la dimensione fisica) e la bioeconomica, l’architettura e la bioarchitettura, la riduzione dell’ecologia ai motori elettrici, la storia evenemenziale basta su “i grandi uomini del destino” e la geostoria che reintroduce i contesti e la natura in cui si svolgono i fatti umani, umani che poi sono fatti di natura.
Anche in politica e sociologia politica si dovrebbe forse indagare una nuova forma di pensiero che potremmo chiamare “biopolitica” non nel senso francese, ma in quello aristotelico, su base di una nuova biosociologia che nulla avrebbe in comune con la scriteriata sociobiologia (o almeno quella della prima ora poi morta, per fortuna). Per precisare, alcuni pensatori biopolitici sono compattamente scesi in campo al tempo dei problemi relativi alla gestione del Covid, ma a mio avviso mostravano tutti una certa misconoscenza proprio del “bio”. Sebbene non sia chiaro il poter dare statuto di “vivente” ad un virus, il problema “virus-corpo” è prettamente un problema “bio”. Segnalo che Foucault studiò filosofia ma proveniva da una famiglia con padre chirurgo e nonni chirurghi e madre con genitori chirurghi quindi la critica sociale e politica della medicina ci sta; tuttavia, studiare un po’ meglio il bio di cui si occupa la medicina non gli avrebbe fatto male. Magari avrebbe evitato di prendersi l’AIDS di cui morì.
Un campo in cui si mostra questo iato tra materia morta e materia viva è la c.d. “intelligenza artificiale”. Per motivi che qui non posso approfondire, ritengo che sia impossibile in via di principio replicare una funzione corpo-mentale come l’intelligenza umana usando materia morta, usando la teoria dell’informazione come medio logico riduttivo (ovvero ridurre l’intelligenza corpo-mentale a teoria dell’informazione e farsi guidare da questa per maneggiare materia morta che ad un tratto diventerebbe per funzione, analoga a quella viva). È curioso (ma meno inusuale di quanti si pensi) che in questo fronte più avanzato della tecno-scienza si mostri un ampio fondo di pensiero magico. L’intelligenza artificiale o meglio la teoria dell’informazione così usata, mi ricorda l’ostia che dovrebbe sintetizzare il corpo di Cristo.
Tutta la modernità è stata dominata in idm dalle nostre scoperte su come funziona la materia morta, è tutta una lunga storia di macchinismo e di culto religioso della scienza meccanica. Forse le auspicate prospettive di sviluppo di nuovi modi di pensare potrebbero beneficiare dalla sostituzione in paradigma del molto più complesso ed impreciso mondo della materia viva, quella parte della natura che fino ad oggi abbiamo evitato per eccesso di complessità, misconoscendo la nostra stessa natura e lo stesso mondo cui dobbiamo adattarci.
Chiudo con una citazione, si tratta di un geografo e geopolitico ma anarchico, Elisée Reclus: l’uomo è la natura che prende coscienza di sé stessa.