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D-Day: guerra e pace

di Christopher Coonen - 07/06/2022

D-Day: guerra e pace

Fonte: GRECE Italia

Geopragma è un Centro Studi strategico indipendente e un’associazione apartitica senza scopo di lucro che mira al rinnovamento del pensiero e dell’azione strategica francese basato su una visione realistica, non dogmatica ed etica del mondo e dei suoi abitanti. Diamo spazio al parere di Christopher Coonen, membro del Consiglio di amministrazione di Geopragma. Il periodo è tremendamente complicato e necessita di un’attenzione maggiore verso tutte le disamine che non riguardano solo l’Italia ma anche il resto d’Europa. Il pericolo di una nuova Yalta è dietro l’angolo, a nulla serve affidarsi ad una visione binaria delle cose, alla visione unidirezionale classica delle monadi, alle utopie rivolte all’indietro, «all’epidemia globale di nostalgia» come alla «precedente epidemia della smania per il progresso» ben descritte da Zygmunt Bauman nel suo “Retropatia”. Occorre pensare attentamente a ciò che accade, senza escludere dal ragionamento qualsiasi parere e opinione, validi per un confronto e per la comprensione dei fatti.

Oggi si commemora il 78° anniversario dello sbarco alleato in Francia il 6 giugno 1944 – il D-Day o il giorno che segna l’inizio di un attacco o di un’operazione militare, termine usato universalmente. In quel lunghissimo giorno, migliaia di combattenti alleati, francesi, americani, canadesi, britannici, polacchi, cecoslovacchi, australiani, belgi, greci, neozelandesi, olandesi e norvegesi, presero d’assalto cinque spiagge della Normandia per dare inizio a un terzo fronte contro la Germania nazista (oltre a quelli in Oriente e in Italia).

Joseph Stalin lo aveva personalmente e costantemente richiesto a Franklin Roosevelt dal loro primo incontro a Teheran nel 1943 fino al vertice di Yalta in Crimea nel febbraio 1945. In quest’ultimo conclave avevano concordato con Winston Churchill la delineazione di zone di influenza e di controllo che avrebbero portato a un importante cambiamento geopolitico nella divisione dell’Europa in futuro. E la Francia avrebbe preso il suo posto, almeno a Berlino e in Germania. Questo terzo fronte era necessario affinché i sovietici potessero alleggerire le loro forze armate e, insieme agli americani, prendere l’esercito tedesco in una grande manovra a tenaglia per assicurare la sconfitta del Terzo Reich; inoltre, gli Stati Uniti avevano tutto l’interesse a occupare la metà occidentale dell’Europa una volta sconfitto Hitler per estendere il loro impero, fino ad allora limitato alle Americhe e alle Filippine. Churchill sussurrava con enfasi a Roosevelt che non potevano fidarsi di Stalin e che il suo regime marxista-leninista era per loro completamente antinomico. Gli Stati Uniti avevano addirittura in programma di occupare Francia, Italia, Germania e Giappone attraverso l’AMGOT (Allied Military Government of the Occupied Territories), un’amministrazione che avrebbe comportato Prefetti militari americani e una valuta «dollaro-francese» per noi francesi.

Il D-Day fu un’operazione audace e coraggiosa, di ineguagliabile abilità militare e logistica; dopo poco più di un mese di combattimenti ad alta intensità nella campagna di Normandia, furono compiuti passi avanti per liberare rapidamente la Francia e gran parte del Belgio e dei Paesi Bassi meridionali, prima che la vittoria totale e incondizionata fosse firmata a Reims nel maggio 1945. Dei 70-80 milioni di vittime militari e civili nei teatri europeo, asiatico e del Pacifico durante la Seconda guerra mondiale, 30 milioni morirono sul fronte orientale in Europa. Senza l’impegno dei russi, di alcuni ucraini e dei sovietici che combatterono e assorbirono 5 milioni di uomini della Wermacht, lo sbarco in Normandia non sarebbe stato probabilmente possibile o addirittura riuscito. Fu LA battaglia per costruire LA pace e fu poi l’avatar di un’alleanza con l’Unione Sovietica per sconfiggere un nemico comune. L’«intesa» tra il blocco occidentale e quello sovietico fu di breve durata, interrotta dal blocco e dallo scontro di Berlino nel 1949. La cortina di ferro si chiude e inizia la guerra fredda.

Il «Vecchio Continente» può solo rimpiangere di non aver preso la palla al balzo con la Russia a partire dal 1991 per ricostruire un’alleanza di un potente spazio europeo che si estende dalla Vandea a Vladivostok… Per la pace e anche per stabilire un’indipendenza e un’autonomia strategica nei confronti degli Stati Uniti – cosa che il generale de Gaulle aveva già capito.

Il parallelismo tra il D-Day del 1944 e la guerra in Ucraina di oggi si basa sul fatto che l’Europa sta nuovamente vivendo una guerra sul proprio suolo, dopo quella nei Balcani di 30 anni fa. Questa volta il conflitto è ancora più preoccupante e pericoloso perché si tratta di una guerra per procura attraverso l’Ucraina tra Stati Uniti e Russia, entrambe potenze nucleari. La NATO è apparentemente unita (i tedeschi la tirano per le lunghe sulle forniture di carri armati agli ucraini), ma due rischi appaiono evidenti: un errore militare, o una fiacchezza dell’opinione pubblica che vedrebbe sfumare questo conflitto di fronte ai suoi problemi di potere d’acquisto in parte legati a questo confronto.

L’Ucraina e la Russia hanno interesse a una pace il più presto possibile, mentre gli Stati Uniti hanno interesse a una guerra in cui questa volta non stanno impegnando i G.I., per indebolire la Russia militarmente ed economicamente al fine di consolidare ulteriormente la propria egemonia come impero in declino contro la Cina. Le sanzioni e la rassicurazione della NATO – se non l’allargamento alla Svezia e alla Finlandia – sono per gli americani una manna geopolitica che dieci mesi fa era insperata a seguito del loro ritiro caotico e disastroso dall’Afghanistan, e rispetto allo stato della NATO che era descritto come in situazione di «morte cerebrale».

Siamo in un periodo di guerra e poi ci sarà un periodo di pace. Il futuro è impossibile da indovinare con certezza, ma potrebbero passare mesi o anni prima che venga raggiunto un accordo di pace. Sono possibili due scenari. O ci stiamo muovendo, dopo lunghi negoziati, verso una spartizione duratura dell’Ucraina – il fiume Dnieper è una barriera geografica naturale, e l’attuale sforzo dell’esercito russo è quello di respingere le forze ucraine. Oppure un trattato non sarà concluso, ma sostituito da un congelamento delle posizioni senza accordo – ricordiamo la fine della guerra di Corea nel 1953 e i confini stabiliti al 40° parallelo che prevalgono ancora oggi, 69 anni dopo… È inutile nascondersi, è intrinseco al paradigma della Realpolitik che sostengo e ai suoi rapporti di forza, checché ne dicano i governatori e i simpatizzanti ucraini e altri russofobi.

Dal 24 febbraio, stiamo assistendo a uno spostamento dell’Occidente verso la Putinofobia e la Russofobia, che è certamente legata all’aggressione e all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ma che è semplicistica e manichea. Sta prendendo forma una nuova Yalta, questa volta veramente globale. Il “Bene”, rappresentato dall’Occidente (Stati Uniti, Canada, Unione Europea, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud), si è confrontato con il “Male”, la Russia e i suoi sostenitori rivelati attraverso la risoluzione votata all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 2 marzo 2022 che condanna questa invasione, e con gli astenuti che contano metà della popolazione mondiale: Cina, India e un buon numero di Paesi africani, tra gli altri.

Questo confronto è totale: geopolitico, diplomatico, militare, economico, sociologico e culturale. Non è iniziata ieri, ma si è sviluppata lentamente e metodicamente dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel dicembre 1991. La nuova guerra fredda sarà ancora più congelata e avrà ramificazioni più ampie, che riguarderanno non solo i conflitti militari e la demarcazione dei confini, ma anche le minacce energetiche e alimentari, il potere economico e soprattutto monetario, cioè l’inevitabile de-dollarizzazione dell’economia mondiale. Si annuncia la battaglia dei titani e una nuova cortina di ferro.

Viviamo dunque una rivoluzione e dei cambiamenti profondi: ci stiamo muovendo verso un nuovo ordine mondiale. Oltre alla responsabilità occidentale di non aver veramente cercato di costruire un nuovo spazio di sicurezza in Europa a partire dal 1991, e con la Russia di Putin nel 2000-2007, che desiderava una stretta cooperazione con la NATO e l’Unione Europea, abbiamo riportato solo un rifiuto. L’Occidente ha accumulato errori e ipocrisie: guerre nei Balcani, in Kosovo, in Afghanistan, in Sudan, nello Yemen, in Siria, in Libia, in Iraq, … e l’allargamento della NATO e dell’Unione Europea verso l’Est al di fuori di un quadro di sicurezza globale, mentre il Primo Ministro Kohl e i Presidenti Mitterrand, H.W. Bush e il suo Segretario di Stato Baker avevano tutti promesso il contrario… Da allora le nostre volontà e le nostre azioni sono state ancorate nel cosiddetto moralismo, desideroso di costruire un mondo «giusto» nell’antro dei diritti dell’uomo e della «democrazia». Ma la nostra ipocrisia si è rivoltata contro di noi, alla luce del voto alle Nazioni Unite, qualche mese fa. Oggi siamo testimoni di un’escalation verbale e militare che purtroppo ci ricorda il rumore degli stivali nel 1914 e la risoluzione controproducente del Trattato di Versailles nel 1918-19. Dobbiamo comprendere e dialogare anche con i russi.

In conclusione, e forse il punto più importante, consiste nel fatto che abbiamo frainteso – e pochi «geopolitologi occidentali esperti» che si pavoneggiano sui palcoscenici dei media coglie o esprime queste sfumature – che le motivazioni fondamentali dei russi e del loro presidente sono di proteggere i loro interessi nazionali vitali e le loro popolazioni, attraverso una sicurezza del loro «vicino straniero» e dei russofoni che sono numerosi – o che sono anche titolari di passaporto russo in questi Paesi ex sovietici. Per loro militarmente parlando, assicurandosi che gli ex. SSR non aderiscano alla NATO, e proteggendo le popolazioni di origine russa o russofona, di cui l’Ucraina è storicamente una parte naturale. Siamo tutti prigionieri della geografia.

La totale libertà di stampa in Russia non cambierebbe nulla, che piaccia o meno agli atlantisti più convinti.

A lungo termine, altre ex repubbliche sovietiche saranno interessate e alcune di esse o determinati territori potrebbero essere oggetto di conflitti futuri. Sarà quindi fondamentale e delicato equilibrare la nozione giuridica della rintracciabilità e del riconoscimento internazionale dell’integrità territoriale, con l’auspicio, talvolta viscerale, dell’autodeterminazione dei popoli. Le frontiere e la nozione di autodeterminazione dovranno essere parte integrante della futura architettura della sicurezza in Europa, se mai verrà negoziata e conclusa; probabilmente ci vorranno almeno alcuni anni prima che le diverse parti trovino un accordo. Yalta 2 è in arrivo… La storia e la composizione delle popolazioni delle ex repubbliche sovietiche, o di quei territori che un tempo appartenevano all’Impero russo, sono complesse e dobbiamo quindi affrontarle con lucidità e pragmatismo, smettendo di guardare il mondo solo dal nostro punto di vista.

Come nel 1944, la Realpolitik sarà al centro della scena: D-Day o «Operazione speciale» e la Pace

 

(Christopher Coonen, “D-Day : Guerre et Paix”, https://geopragma.fr/, 6 giugno 2022)