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Dalla manipolazione dell’opinione pubblica alla post-verità: come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione per ottenere il consenso

di Enrica Perucchietti

Dalla manipolazione dell’opinione pubblica alla post-verità: come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione per ottenere il consenso

Fonte: Letture

Dottoressa Perucchietti, Lei è autrice del libro Fake News. Dalla manipolazione dell’opinione pubblica alla post-verità: come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione per ottenere il consenso edito da Arianna: quando e come nasce il fenomeno delle fake news?
Se l’emergenza fake news è un fenomeno recente, le “bufale” sono sempre esistite. Sono semmai diventate il pretesto per avviare una caccia alle streghe 2.0 che secondo me ha come obiettivo la censura dell’informazione alternativa e il progressivo livellamento dell’opinione pubblica sul pensiero unico. Pensiamoci: in Occidente stiamo assistendo a una “corsa agli armamenti” per difenderci dalla “disinformazione” con una foga esagerata e un martellamento continuo, distraendo le masse da altri problemi ben più stringenti. Come mostro nel mio libro le “fake news” sono state adottate anche e soprattutto dal potere, dalla politica, dagli spin doctors per controllare, indirizzare e manipolare l’opinione pubblica, per convogliare il consenso, creare una minaccia, ottenere il pretesto per un casus belli, distrarre i cittadini, far valere il metodo del divide et impera, ma anche etichettare i giornalisti o i ricercatori alternativi e coloro che vengono considerati “pericolosi” per il sistema inventando “balle” che li possano screditare agli occhi delle masse, ecc.

 

Ciò non significa che la controinformazione e settori affini non spaccino bufale: purtroppo il settore non è esente dalla diffusione di notizie assurde, teorie deliranti o notizie non verificate che fanno abboccare sempre più gente e contagiano sempre più ricercatori alternativi. Un mea culpa collettivo dovrebbe essere fatto, per poter ripartire da zero, ognuno con i propri difetti e limiti, nel massimo rispetto del prossimo. Dall’altro ognuno di noi dovrebbe imparare a “vaccinarsi” dalle balle del sistema ma anche dalle bufale che trova in rete che talvolta sono esagerate e ridicola, altre sono verosimili ma rimangono soltanto delle bufale. Da qui a censurare la rete ce ne passa e, ma questa è una mia personale opinione, temo ci sia un progetto volto a strumentalizzare questo fenomeno.

Cos’è la post-verità?
Il confine tra vero e falso è divenuto sempre più labile, tanto che ormai si utilizza il termine “post-verità” (dall’inglese post-truth), scelto nel 2016 come “parola dell’anno” dall’Oxford Dictionary. Con politica della post-verità o politica post-fattuale si intende inoltre una cultura politica caratterizzata da dibattiti in gran parte plasmati sulle emozioni del pubblico e scollegati dai dettagli della politica in discussione, in cui cioè i fatti oggettivi sono meno influenti del ricorso alle emozioni e alle credenze personali. La verità stessa è dunque posta in secondo piano rispetto al dibattito.

Oggi si parla pertanto di post-verità facendo riferimento alle fake news. Ma quali? Le notizie inventate, fantasiose di alcuni siti e blog o quelle dei media mainstream? Perché se da un lato il web è pieno di notizie assurde, dall’altra anche TV, radio e quotidiani prendono sonore cantonate facendo da cassa di risonanza della linea governativa, in questo plasmando e manipolando l’opinione pubblica attraverso la paura ed emozioni che vadano a colpire l’immaginario e la “pancia” delle persone. La sensazione è che la verità dei fatti sia sempre più labile, persino virtuale e illusoria e che quindi i cittadini sempre più confusi e spaesati debbano affidarsi a un organo governativo auto-dichiaratosi affidabile per essere informati nella maniera corretta, diffidando di qualunque informazione “alternativa” venga ad esempio dal web.

L’intento è cioè quello di screditare la verità, spiega Alain de Benoist, presentandola come un “grande racconto” al quale non si può più credere. Tutto diventa “relativo”, virtuale se non fosse che a vigilare sulla “verità” ci sono i governi e i media mainstream. I ricercatori che si pongono al di fuori di questa sfera vengono bollati come inaffidabili, menzogneri e liquidati come complottisti, soprattutto se il loro scopo è mostrare un altro “lato” della storia o denunciare ciò che i governi vogliono invece insabbiare.

Come si sono evolute le tecniche del controllo sociale?
«Noi siamo in gran parte governati da uomini di cui ignoriamo tutto, ma che sono in grado di plasmare la nostra mentalità, orientare i nostri gusti, suggerirci cosa pensare». Così scriveva nel 1928 nell’incipit del saggio Propaganda il padre della scienza delle Pubbliche Relazioni Edward Bernays, spiegando che esiste un potere invisibile che dirige le opinioni e le abitudini delle masse nei sistemi democratici. Nel saggio mostro come nasce e si sviluppa tale “arte” del controllo, come si fa sempre più sofisticata e come utilizzi lo spettacolo e i media mainstream quale braccio di forza o cassa di risonanza (e come questi si siano macchiati nei decenni di clamorose fake news!). Il popolo è convinto di scegliere liberamente mentre, come mostro nel libro con numerosi esempi documentati, viene plasmato e indirizzato a desiderare quello che il potere ha già preordinato per lui. Insomma, “chi controlla le menti controlla il potere”. Nessun dominio può essere più forte e apparentemente inattaccabile di quello che si esercita sull’immaginario che guida e ispira la volontà di ognuno di noi. Entrare pertanto nella mente e nella coscienza delle persone, agendo sulla pancia e sulle emozioni otterrà maggior consenso e risultati rispetto alla repressione e ai metodi coercitivi.

In che modo il potere fabbrica il consenso e orienta le scelte dei cittadini?
Con l’avvento della moderna società di massa il potere ha dovuto esercitarsi su un numero indefinito di persone. L’arte del controllo, pertanto, ha finito per divenire scienza delle Pubbliche Relazioni o, meglio, una “scienza della manipolazione” che riesce a influenzare comportamenti e modi di essere, a volte senza nemmeno dover fare uso della coercizione fisica.
Già Aldous Huxley in Il mondo nuovo notava come i potenti avessero capito che per controllare le masse fosse necessario agire sull’«appetito pressoché insaziabile di distrazioni» plasmando così il loro immaginario. In questa strategia, ovviamente, il popolo è visto dai governanti come un soggetto minorenne che va accompagnato, persino manipolato, a cedere il proprio consenso. Dobbiamo comprendere che il potere non è interessato a “emancipare” l’uomo o a renderlo “adulto” quanto semmai a controllarlo sempre meglio, indirizzando le sue scelte dopo essere penetrati nella sua anima, nel suo immaginario. Quando questo non dovesse bastare entra in campo la coercizione.

I media, la politica e lo spettacolo in generale stabiliscono le linee guida imposte dall’alto per in-formare (cioè dare forma) l’opinione pubblica secondo linee guida e tecniche specifiche.
Esiste una celebre lista delle dieci regole riguardanti il controllo sociale, ovvero, delle strategie utilizzate per la manipolazione del pubblico attraverso i media in modo da «fabbricare il consenso e assicurarsi che le scelte e gli orientamenti siano strutturati in modo tale che le persone facciano sempre quello che viene detto loro»  che è stata universalmente attribuita a Chomsky. In realtà non si conosce il reale autore di questa lista, sebbene sintetizzi a grandi linee il pensiero del filosofo. Oltre a queste ne esistono molte altre che spiego dettagliatamente nel libro con esempi alla mano.

Come si inserisce in questo meccanismo il fenomeno delle fake news?
Oggi sta avvenendo qualcosa di simile a quanto raccontato da Orwell in 1984: a settant’anni di distanza dalla pubblicazione del capolavoro distopico le tematiche cardine del romanzo sembrano più attuali che mai. In questa nuova caccia alle streghe, l’opinione pubblica, sapientemente manipolata da un clima di isteria, sembra legittimare l’uso della forza, la denigrazione, il clima di intolleranza, arrivando persino ad accettare di introdurre il reato di opinione: una forma di psicoreato orwelliano secondo cui verrebbe punita non più l’azione ma la libertà di espressione e ancora prima di pensiero.
Si vuole far credere al popolo che i rappresentanti dell’Ortodossia vigilano su di noi, ci tutelano dallo psicoreato e ci proteggono dall’ombra del Nemico. Abbiamo anzi bisogno di leggi nuove per orientarci nel mondo: leggi che ci dicano come vivere e morire e soprattutto come e cosa pensare. Leggi che puniscano chi traligna e un corpo di solerti psicopoliziotti che siano pronti a segnalare chiunque devii dalla retta via. Costui andrà perseguitato, punito, riabilitato. E se non è possibile la riabilitazione, “vaporizzato”.
Non si potrà più pensare male: i propri pensieri e le proprie emozioni dovranno allinearsi al pensiero comune, globale, globalizzato. Sarà semplicemente vietato pensare fuori dal coro: la mente di tutti noi sarà definitivamente sotto controllo. Apparentemente, per una “buona” causa. Saremo cioè stati convinti, gradualmente, e sull’ondata dell’indignazione collettiva, a ritenere giusto che si apportassero misure di restrizione al web. Tutto ciò rientra nell’arte del controllo sociale.

A Suo avviso, si sta cercando di introdurre il reato d’opinione e censurare l’informazione indipendente?
Sì. La caccia alle streghe ha assunto da subito la forma della censura e della persecuzione dell’informazione alternativa e in poco tempo siamo arrivati a riscontri impressionanti, degni di una distopia. Dietro la campagna contro le “bufale” si nasconde un evidente tentativo di censurare l’informazione alternativa e il web: vi sono ovviamente argomenti tabù e tematiche che se vengono trattate finiscono per essere ridicolizzate.
Credo che si stia andando sempre più verso una società trasparente in cui la privacy verrà gradualmente abolita, dopo aver convinto l’opinione pubblica ad abdicare ai propri diritti e si saranno convinti i cittadini a rinunciare ai propri diritti per paura o per comodità.
L’obiettivo, per esercitare meglio il controllo collettivo, è rendere ognuno di noi un “uomo di vetro”, trasparente, sotto costante sorveglianza. Lo sguardo elettronico del Governo ci seguirebbe in ogni attimo della nostra esistenza, esattamente come l’occhio del Grande Fratello.

Quale futuro per l’informazione?
I margini di libertà sono proporzionali alla nostra coscienza critica. Per vigilare sulla nostra libertà collettiva dobbiamo tornare a metterci in gioco e soprattutto a usare la nostra testa in modo critico anche qualora ciò significhi pensare controcorrente rispetto al pensiero unico.
Dovremmo scrollarci di dosso gli artigli della manipolazione sociale che ci sta gradualmente stritolando e tornare a chiederci: a chi dovremmo davvero credere? A chi ha interesse a plasmare la nostra coscienza per ottenere consenso o forse dovremmo divenire più critici non solo verso il web ma anche verso chi ci governa? Dall’altro credo che la stampa abbia il dovere morale di tornare a essere libera e coraggiosa. Il giornalismo continuerà a essere fondamentale per orientarci nel mare delle fonti e delle notizie che rischia quotidianamente di soverchiarci, ma dovremo essere noi ad affinare le nostre capacità di discernimento e di senso critico.
Dobbiamo però essere consapevoli di essere immersi nella propaganda e che se non vogliamo ritrovarci in una società distopica come quelle immaginate da saggisti e romanzieri visionari, siamo ancora in tempo a “svegliarci” e riappropriarci del nostro futuro, sapendo che citando ancora Orwell, «vedere ciò che si trova davanti al nostro naso richiede un impegno costante».