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Del perchè sì e del perchè ora

di Pierluigi Fagan - 06/01/2020

Del perchè sì e del perchè ora

Fonte: Pierluigi Fagan

A qualche giorno dall’uccisione di Soleimani, continua ad allargarsi l’albero delle interpretazioni dell’atto e delle sue conseguenze. Al livello più generale, ci sono commentatori che debbono o vogliono supportare o criticare la scelta di Trump, a livello intermedio c’è una caccia serrata a fonti informative che mettono il luce aspetti particolari richiesti per spiegare quella che sembra una enormità dalle non chiare ragioni, in questo chiaroscuro c’è chi prende il suo quarto d’ora di notorietà fornendo qualche spiegazione particolarmente arzigogolata. A livello opinione pubblica c’è il rimbalzare tra quello che dicono gli “esperti”, meglio se di quelli che confermano le proprie preferenze a priori (Trump è buono ed è stato ingannato, Trump è stupido ed ha fatto una stupidaggine, non può esser stato Trump, Trump ha ragione ed ha fatto bene), il perdersi in particolari secondari, il cercar lenitivi dell’ansia su “e adesso che succede?”. Ah, c’è anche chi non capisce proprio di cosa si tratti se non lo riduce a “ma hai visto il tweet di Salvini?” o “ma Di Maio che non è stato neanche informato?”.

L’ uccisione di Soleimani è un atto di politica estera, non c’è dubbio, almeno in parte dei riflessi. Ma poiché sappiamo che Soleimani era monitorato e conosciuto come perno della strategia estera dell’Iran e l’Iran è nemico di primo livello per le strategie geopolitiche degli Stati Uniti da quindici anni, la domanda decisiva è “perché adesso è stato dato quell’ok all’uccisione che non è stato dato per quindici anni?”. Ogni risposta con sole considerazioni di strategia inerente questioni di politica estera o geopolitica, fallisce il suo compito di dar la o le ragioni causali decisive del “prima no poi sì”.

La situazione ex ante l’attentato era di perdurante frizione, tensione ed equilibrio, per rompere quell’equilibrio che non era affatto statico e che rispondeva ad una chiara strategia di logoramento che come ogni strategia di logoramento presuppone l’agire nel tempo medio-lungo e non breve, deve trovarsi una ragione che prima non agiva e di colpo agisce. Gli Usa hanno ammazzato 25 hezbollah iracheni per un solo contractor prima di Soleimani, potevano continuare con questa modalità 25:1 -per proporzione ben più ampia di quella applicata a suo tempo dai nazisti- all’infinito, coperti dal diritto di ritorsione ed esibendo con orgoglio la loro oggettiva asimmetria di potenza.

Oltretutto avevano già creato una contraddizione interna in più al composito panorama iracheno. C’era già chi vedeva l’azione sciita in Iraq come causa di continua instabilità ed insicurezza. C’è stato un chiaro ordine di smobilitare le forze che assediavano l’ambasciata di Baghdad ad un certo punto, qualcuno sentiva che il disordine sciita poteva diventare controproducente alla lunga. Ricordo che in Iraq, gli sciiti sono maggioranza ma non sono monolitici al loro interno e comunque, maggioranza o minoranza conta poco in un Paese che o trova la quadra tra curdi, sunniti e sciiti o sprofonda nella guerra civile per obiettivi, divergenti interessi. Così per gli equilibri interni all’Iran, ogni giorno che passava, la situazione economica e quindi sociale che hanno di norma riflessi politici, peggiorava. La strategia del logoramento a questo serve. Perché quindi deviare dalla via strategica impostata?

Quello che sembra condiviso dai commentatori esperti di qualsivoglia fazione, è la sorpresa, l’azione il cui ordine è adesso chiaro a tutti sia stato dato da Trump, è sorprendente perché non sembra avere ragioni forti di supporto: perché a lungo no ed ora sì? Come detto già il primo giorno, siamo a livello di implicita dichiarazione di guerra, di “candelotto nella polveriera” come gli spin doctor di Biden hanno astutamente suggerito di dire, un dire che è diventato un meme perché incide proprio su quel “perché ad un certo punto buttare un candelotto in una polveriera quando la si teneva ampiamente sotto controllo?”. Già perché?

E’ qui che ogni spiegazione di politica estera o strategia geopolitica fallisce, anche quelle che convocano il fatidico complesso militar-industriale, già tenuto a bada da Trump con carote e bastone. Questa estate si sono tollerati affondamenti di navi nel Golfo di Oman e Persico, senza neanche un missile su un motoscafo dei pasdaran. E’ stato fatto fuori un Consigliere per la Sicurezza (Bolton) perché troppo pressante e bellicista. Per dare quell’ordine, con quelle conseguenze, Trump doveva aver una buona ragione che prima non aveva e tutte le ragioni di politica estera o geopolitica o di alleanze pressanti (Israele, Arabia Saudita) c’erano già prima e non ci sono fatti nuovi a riguardo che diano spiegazione del perché prima no e poi sì.

C’è solo una causa che rimane in piedi dopo questo screening, ed è di politica interna, non estera. Quello che prima non c’era e poi c’è stato è la messa in procedura di impeachment votata dalla Camera lo scorso 19 dicembre. Tutti sanno che quell’atto non ha fini giuridici effettivi per mancanza di forza la Senato, ma tutti intuiscono quanto potente sia come arma da usare nella lunga campagna elettorale. E gli analisti non esteri ma interni, sanno quanto Trump risulti per lo più indietro di qualche punto percentuale rispetto a Biden. Posizione di lieve minoranza che è poi quella originaria dei voti avuti nelle ultime lezioni, trasformata in maggioranza dal meccanismo elettorale secondo alchimie fragili, che potrebbero non ripetersi. Svantaggio che non sembra esser state recuperato in questi ultimi tre-quattro anni poiché gli indici di gradimento di Trump che partivano leggermente minoritari nel Paese, non sono di molto scesi ma neanche un po' aumentati. Insomma, Trump sapeva di partire un po’ sotto e sapeva che partire un po’ sotto ed esser torturato mediaticamente dal tema impeachment certo non aiutava la sua posizione. Allora Trump s’è creato una carta che prima non era nel mazzo.

La carta è “il nemico della nazione”, come molti hanno indicato subito, un classico. Ora se l’Iran non fa nulla Trump può apparire come l’uomo forte, nelle ultime ora è un susseguirsi di provocazioni verbali per umiliare l’avversario e sottolineare la sua impotenza, quindi esaltare la propria. Se l’Iran fa qualcosa Trump può apparire come difensore dell’orgoglio americano, comandante in capo e chi discute il comandante in capo in un conflitto è nemico della Patria. Se l’Iran un po’ fa qualcosa, un po’ no, Trump può esibirsi internamente al gioco del gatto col topo a seconda della bisogna, per tutti i prossimi mesi, pareggiando almeno la continua erosione d’immagine della bufera mediatica sull’impeachment.

Tutto, ripeto tutto l’agire di Trump va letto in funzione dei rischi o opportunità di esser rieletto e poiché i rischi non sono secondari, anzi sembrano primari anche se di poco, la risposta che sembra mancare alla domanda che tutti si fanno, va cercata lì. Tutto il resto, semplicemente, non è realistico e la serietà della questione, merita realismo molto concreto. Le variabili del tema Iran-Medio Oriente-USA ovviamente sono molte ma quella che le ha messe in ordine è una sola Questa è una mossa da “sopravvivenza politica” di uno che va a giudizio elettorale e non è messo molto bene, non vincerà il premio dell’originalità interpretativa ma è l’unica che sta, ragionevolmente, in piedi.