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Di fronte ai processi di trasformazione tecnologica urge una presa di coscienza

di Mario Bozzi Sentieri - 03/02/2021

Di fronte ai processi di trasformazione tecnologica urge una presa di coscienza

Fonte: Mario Bozzi Sentieri

Il grande sviluppo dell’Industria 4.0, realizzato attraverso l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale e del potere degli algoritmi,  pare essere inversamente proporzionale  all’attenzione dell’opinione pubblica sulle trasformazioni in atto. C’è molta disattenzione da parte dei mass-media. E c’è – di conseguenza – una mancanza di consapevolezza, da parte dei lavoratori, dei processi di trasformazione tecnologica in atto, malgrado in essi si trovino quotidianamente immersi. A trionfare è una sorta di fatalismo di massa, di assuefazione collettiva, favorita da una tecnologia  sempre più “pervasiva” , come preconizzato dai futurologi dell’ultimo decennio del Secolo XX. 

Nel  1991 Mark Weiser pubblicò, su “Scientific American”, un articolo dal titolo The computer for the 21st century, nel quale ipotizzava un paradigma dal nome “Ubiquitous Computing” e spiegava che le tecnologie sarebbero state destinate a diventare parte dell’ambiente, ad essere un elemento “sullo sfondo” delle attività umane. Oggi siamo in una fase in cui le nuove tecnologie fanno parte della nostra quotidianità, affiancano i lavoratori, incidono sul nostro modo di essere.

Essere consapevoli delle trasformazioni in atto, valutarne l’impatto non solo in ambito produttivo quanto anche per le loro ricadute sociali, culturali, etiche, appare sempre più  una necessità. Da qui l’urgenza di una “presa di coscienza” su più piani: psicologico, sociale, valoriale.                                    

In psicologia la “presa di coscienza” è  il conseguimento della consapevolezza rispetto ai  problemi che provocano il malessere. E’ la risposta ad un turbamento dell’animo ed un “risveglio” verso il cambiamento. Nel marxismo il  concetto di coscienza è strettamente legato a quello di classe e  di lotta sociale. Ma è stato Giovanni Gentile declinare  il ruolo del lavoratore con la coscienza di sé e del mondo in cui egli s’incorpora. Egli  “lavora dispiegando cioè quella stessa attività del pensiero, onde nell’arte, nella letteratura, nell’erudizione, nella filosofia, l’uomo via via pensando pone e risolve i problemi in cui si viene annodando la sua esistenza in atto”.

Secondo Georges  Sorel: “il socialismo è una questione morale, nel senso che esso porta alla luce un nuovo modo di giudicare gli atti umani, oppure, seguendo una celebre espressione di Nietzsche, una nuova valutazione di tutti i valori”.

La consapevolezza psicologica, quella sociale e la reinterpretazione dei valori hanno, oggi, una valenza simultanea in ambito lavorativo. Invitano a dare una risposta matura ai nuovi problemi determinati  dall’introduzione delle nuove tecniche produttive, sollecitando a rileggere la realtà con una maggiore consapevolezza. Spingono ad individuare gli avversari reali, il chi ed il dove si realizza la storica divisione tra lavoro materiale e lavoro spirituale, cercandone una nuova composizione. Sollecitano a porre la nuova questione morale alla luce di uno scientismo dilagante,  che rischia di assumere i tratti della  pandemia sociale, ed un’alienazione, che nasce  proprio dalla “delega” conferita, anche in ambito lavorativo, alla tecnica. Perciò alla facile illusione “progressista” occorre opporre una nuova “presa di coscienza”, in grado di leggere i nuovi meccanismi dell’alienazione e le nuove frantumazioni sociali, immaginando finalmente adeguate contromisure, che, dal mondo della cultura e del lavoro, siano in grado di informare, di dare nuova forma all’ordine sociale.