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Dove si rischia davvero il totalitarismo è in Occidente

di Gennaro Scala - 11/03/2021

Dove si rischia davvero il totalitarismo è in Occidente

Fonte: Italicum

Dove si rischia davvero il totalitarismo, non soft, è in Occidente. Si prospetta una forma di socialismo al contrario, dove al posto dello Stato che prende la direzione sull’economia, vi sono le imprese della new economy che si fanno direttamente Stato.

Il marxismo, nei vari gruppi leninisti, stalinisti, troskisti, operaisti, movimentisti ecc., aveva assunto nel secolo scorso una forma para-teologica che ricordava i dibattiti sui dogmi della religione cattolica che nascondevano, in realtà, contrasti tra gli interessi tanto materiali quanto politici delle correnti religiose. Le categorie marxiane erano non principalmente strumenti per l’analisi della realtà (quali nel fondatore volevano essere), ma bandiere attraverso cui si combattevano battaglie politiche interne all’insegna dell’ortodossia “marxista”. Ora che stanno scomparendo anche gli ultimi gruppi comunisti, tale prassi permane a livello individuale negli ultimissimi esponenti assumendo forme, che hanno anche dei risvolti comici, a saperli cogliere. Un esempio è il dibattito sull’ultimo libro di Emiliano Brancaccio, Non sarà un pranzo di gala, il quale da ultra-marxista (parla di Rivoluzione e Piano), partecipa a dibattiti con la Fornero, con Blanchard ex-economista capo del Fondo Monetario Internazionale, va spesso in televisione, pubblica articoli sul Financial Times. Brancaccio è riuscito a ritagliarsi una sua “autorevolezza”, credo per le capacità oratorie, per un certo savoir-faire napoletano, per un certo carisma, insomma per capacità mediatiche, non per capacità teoriche che francamente a me paiono non eccellenti. Brancaccio ha scritto un libro “anti-Blanchard” che è un po’ una parodia dell’Anti-Dühring di Engels. Ho visto il video del dibattito di Brancaccio con Blanchard, francamente il dissenso tra loro mi sembra appartenere più che altro allo spettacolo, con l’ex-grande-economista-capo che discute benignamente con il comunista hard che ha scritto un libro “contro” di lui. Il “dibattito” ha un vago sapore fantozziano, fa venire in mente la scena con il mega direttore galattico.

Brancaccio per rivoluzione intende un certo ritorno al keynesismo che vagheggiano anche certe élites, quelle che contano e influiscono sulle decisioni, ma minoritarie, che magari vorrebbero provare a contrastare il crescente caos sistemico. Aveva manifestato il proposito di un certo ritorno al keynesismo anche Draghi in una lettera al Financial Times, nel marzo 2020, ma poi sono cambiati i rapporti di forza, soprattutto con le elezioni americane, e Draghi ha abbandonato ogni velleità “keynesiana”. Non è più keynesiano come recentemente rilevava, a ragione, Brancaccio sul Financial Times. Capisco che nell’attuale egemonia neo-liberista tornare a parlare di “keynesismo” può dirsi “rivoluzionario”, in senso metaforico, tuttavia sono stato anch’io “marxista ortodosso”, e non è passato troppo tempo da dimenticare che per rivoluzione nell’ambito del marxismo si intendeva ben altra cosa. Cercando di inserirsi nel dibattito tra le élites e fornendo argomenti al “keynesismo”, Brancaccio fa cosa buona e giusta, ma mi sembra “leggermente” esagerato parlare di rivoluzione. Signori! Siamo seri, per favore! Lui stesso sostiene che il “keynesismo” nel contesto attuale ha poche probabilità di affermarsi.

Il libro è stato oggetto dell’“analisi critica” di un altro marxista, ma come vedremo si tratta di qualcosa di diverso rispetto alla spassionata “discussione scientifica”. Alessandro Visalli fa parte di un gruppo di intellettuali “dissidenti” all’interno della sinistra che si sono raccolti intorno a Fassina, dando vita al gruppo Patria e costituzione, contrario alle modalità dell’adesione italiana all’Unione Europea. Quando Fassina si è piegato al non negoziabile “europeismo” piddino, al fine di verificare se vi fossero gli spazi per un “populismo di sinistra”, costoro si sono staccati dall’esponente piddino, creando un’organizzazione, Nuova Direzione, con cui avventurarsi nel pericoloso mondo del “populismo”, pieno di “sovranisti”, “complottisti” e recentemente anche “negazionisti”, tutti astuti travestimenti dell’eterno Ur-fascismo, figura principe del Male.

Ora che la breve stagione del “populismo” è terminata questi intellettuali si sono ritrovati, con rispetto parlando, con il c.… per terra. Carlo Formenti, il leader, dice che la fine del populismo di sinistra è stata sancita dal fallimento di Podemos in Spagna, ma credo abbia presente anche il contesto italiano, visto che anche l’esperienza del governo 5s-Lega è stata un’espressione del “populismo”. Questi intellettuali hanno ritenuto che bisognasse interrompere la breve avventura “populista” e l’occasione per la definitiva rottura è stata l’essersi ritrovati in compagnia di pericolosi “complottisti” e “negazionisti” del coronavirus. Visalli ha scritto un articolo sul suo blog dicendo che costoro sono “nemici”, ma a me è sembrato solo un pretesto per una decisione già presa. Da qui l’approccio verso Brancaccio, però “critico”, per vedere se ci sono le condizioni per ritornare all’ovile della sinistra. Ma il primo approccio è stato equivocato: “Ma chi è ‘sto Visalli! Non sarà per caso un geo-politico?”, ha risposto su Facebook l’economista partenopeo (lo riferisce lo stesso Visalli). Per i sinistri la geo-politica è una disciplina sospetta perché è stata praticata in prevalenza dalla destra. Per i sinistri anche l’endocrinologia o la gastroenterologia potrebbero diventare sospette se praticate per un qualsiasi motivo in prevalenza da persone che hanno idee politiche “sbagliate”. Da qui un secondo approccio, con abbraccio virtuale finale. Visalli è marxista quanto Brancaccio, se si è occupato di questioni internazionali non lo ha fatto per interessi “geo-politici” e per dimostrarlo si richiama all’auctoritas del compianto Domenico Losurdo. Brancaccio è sulla “strada giusta”. Insomma, Visalli vorrebbe ritornare compagno di strada di Brancaccio e della sinistra. Resta un approccio un pochetto critico, pur condividendo le tesi di fondo. Visalli vorrebbe praticare un po’ di “geo-politica” ma nella forma innocua del terzomondismo, che trattando di questioni inerenti paesi lontani ed esotici non tocca le questioni scottanti del qui e ora. Al passatempo della ricerca teorica non riesce a rinunciare, essendo uno che qualche dote teorica ce l’ha.

Visalli afferma di condividere la tesi più pericolosa di Brancaccio: secondo la scienza teologico-economica, vi è un’inevitabile centralizzazione dei capitali e relativa eliminazione dei capitali più piccoli e connessa classe media (da cui si alimenta l’“orrido populismo”). Se questi sono dei fenomeni in atto, questi non derivano da “leggi” al modo delle leggi esistenti nel mondo fisico e biologico. Questa è ideologia.

Non esiste “legge bronzea della centralizzazione dei capitali”, come non esisteva “legge bronzea dei salari”, formula, si ricordi, di Lassalle, criticata da Marx. La verticalizzazione e polarizzazione in corso non deriva da una legge economica, ma riguarda una riorganizzazione del sistema sociale complessivo, riguarda tanto i sistemi economici che i sistemi politici. La tesi della polarizzazione è stata una delle tesi ritenute meno valide di Marx, poiché tutto il ventesimo secolo ha visto una crescita delle classi medie.

L’espansione della classe media è stata il pilastro dell’egemonia statunitense. Le classi dominanti hanno cominciato a demolirla dopo il crollo dell’Unione Sovietica perché non serviva più (come scriveva Luciano Gallino). Le classi dominanti hanno ritenuto che ci fossero di nuovo le condizioni per riacquisire “tutto il potere”, perché questa è la loro natura, se non contrastata da contropoteri. Vi è stato un attacco tanto alla classe media, quanto alle condizioni di vita delle classi lavoratrici. Le due cose sono andate insieme, e questo dovrebbe dare qualche indicazione a entrambe le classi sociali.

La demolizione della classe media, sia con mezzi economici, che attraverso lo Stato e quell’entità super-statuale chiamata Unione Europa, soprattutto quella allocata nel terziario, non porterà al “ritorno della classe operaia”, porterà sicuramente un effetto di ulteriore dumping sul salario, ma non interromperà la tendenza storica alla riduzione numerica della classe operaia. Porterà soltanto alla crescita delle fasce della popolazione senza una collocazione sociale.

Questo è uno più grossi rischi di caos sistemico che si prospettano. Schwab del World Economic Forum pensa di risolvere tutto con un reddito di cittadinanza. Ma potranno milioni di persone nell’età attiva rassegnarsi all’esistenza delle larve, senza una collocazione sociale?

Le società ad elevato livello tecnologico odierno non possono che essere società articolate e differenziate al loro interno, mentre la polarizzazione è qualcosa di sostanzialmente diverso. Se è vero che bisognerebbe prendere esempio dalla Cina, come scrive Pasquale Cicalese, per una nuova sinergia tra Stato e imprese, resta il fatto che un rilancio dell’economia in tal senso non riassorbirebbe tutta la popolazione attiva. Lo sviluppo del terziario è un fattore intrinseco all’elevata produttività del lavoro e relativo accrescimento della ricchezza. Rilanciamo la battaglia per un terziario nel settore del rinnovamento ecologico, nel settore turistico, del tempo libero. Ripensiamo il settore agro-alimentare, per un’alimentazione di qualità. Riprendiamo infine, ma non per ultimo, la grande battaglia per la riduzione dell’orario di lavoro.

Poiché “tutto torna ma diverso”, oggi, il pericolo non è quello di spingere la classe media nelle mani del fascismo e del nazismo, quanto piuttosto il precludersi qualsiasi possibilità di opposizione al regime totalitario che si profilando. Si spera allo stesso tempo che la classe media abbia compreso l’errore storico della lotta contro le classi inferiori. L’unica possibilità è costruire un ampio Fronte di liberazione, e mi riferisco proprio all’esperienza storica della lotta contro il fascismo. Ma seppure mi riconosca idealmente in essa, ritengo che ancora oggi non vi è stata adeguata riflessione sugli errori commessi. Certo, con il senno di poi, ma altrimenti a che serve riflettere sulla storia?

Bisogna farla finita con l’immagine auto-consolatoria dei giusti, i comunisti e la sinistra ebbero il loro ruolo nello scatenarsi delle tragedie novecentesche. Nel mio libro Per un nuovo socialismo ne parlo ampiamente (a esso non posso che rimandare in questo contesto).

Ma se non volete ascoltare il sottoscritto e visto che siamo in ambito marxista, consiglierei di meditare bene quanto scrive Domenico Moro nel suo articolo Gli ex combattenti della Grande guerra e l’”orrido” sovranismo piccolo-borghese. Analogie ed errori a cent’anni di distanza, riferendosi alla vera e propria repulsione di Brancaccio verso il sovranismo, che gli suscita molte “perplessità”. Ma Brancaccio ha avuto ragione nel prevedere il fallimento del populismo (confuso con il sovranismo), dice Visalli.

Modestamente, questo fallimento l’aveva previsto anche chi, come il sottoscritto, mai ha pensato di aderire a 5s, né mai ha guardato a Podemos, a Sanders e neanche a Corbyn. Penso a chi si sta dedicando alla costruzione di nuove organizzazioni politiche, con tutti i limiti e i rischi di errori che comporta un’attività pioneristica del genere. Si inizia sempre così, da piccoli, sparuti e confusi gruppi, se è vero che siamo di fronte ad un “nuovo inizio” (parole di Formenti). Cosa pensavano Visalli, Formenti e gli altri di Nuova Direzione che una volta constatata la morte della sinistra, si saltava sul carro del populismo e si trovava subito una nuova collocazione politica? Il lavoro di ricostruzione sarà lungo e potrà attraversare fasi molto difficili. Il fallimento del populismo è solo una fase, nessuno poteva sperare in Trump, nei 5s o nella Lega, tantomeno nel populismo di sinistra. Non c’è altra strada del ritorno in campo e dell’organizzazione delle classi popolari (sia medie che inferiori).

Riconosco che Formenti e altri che si sono raccolti nel gruppo Nuova Direzione si sono differenziati nel panorama desolante della sinistra. Formenti ha scritto libri interessanti sul “populismo”, sul mondo del lavoro, e ha anche provato a rilanciare un pensiero neo-socialista. Nel suo Il socialismo è morto, viva il socialismo riconosce la morte della vecchia sinistra. (Morte cerebrale perché la salma continua a muoversi, ma in modo eterodiretto, privo della sua ragion d’essere, la difesa delle classi inferiori). Ora dovrà rimangiarsi quanto scritto?

Ma veniamo all’altro caposaldo della teoria brancacciana: il Piano. Dopo che ci sarà la rivoluzione, una volta che sarà tornata in scena la classe operaia, come dimostrano le bronzee leggi economiche, ci dovrà essere il Piano. La sua teoria è campata in aria, la sua “mossa di judo” con cui la ritrovata “classe operaia” dovrebbe sfruttare la forza dell’avversario, moltiplicata dalla centralizzazione, per rovesciarla contro l’avversario, è pura masturbazione mentale (scusate il linguaggio “esplicito”), visto che neanche accenna a come mettere in atto tale mossa. Allora l’interesse degli ex-mega-direttori-economisti-capo per i Piani degli ultimi economisti marxisti potrebbe avere un significato diverso. Lascio la parola a Ettore Gotti Tedeschi, ex presidente dello Ior:

Il secondo, e conseguente sospetto, è che con questo Reset si stia concependo un nuovo sistema capitalistico occidentale per contrastare quello orientale, trasformando il capitalismo liberista occidentale (perdente) in capitalismo dirigista socialista, in grado di contrapporsi a quello cinese totalitario (e vincente). Infatti il modello capitalistico autoritario cinese ha dimostrato di esser vincente verso quello democratico, in un momento come quello attuale di crisi economico finanziaria, sociale, sanitaria, politica, ecc. Perché appunto è autoritario.

Il sistema politico cinese è ottimamente descritto da Daniel Bell in The China Model. Esso è ritornato per vie traverse nel solco della tradizione confuciana cinese che ha privilegiato da sempre il sistema meritocratico, non è esente però dall’introduzione sperimentale di forme di democrazia a livello locale. Inoltre, l’uscita dalla miseria dell’enorme popolazione cinese fornisce al governo un consenso che i sistemi occidentali oggi non hanno.

Non è certo sbagliato l’interesse verso il modello cinese perché sarebbe intrinsecamente totalitario, anzi al contrario bisognerebbe ben studiarlo. Dove si rischia davvero il totalitarismo, non soft, è in Occidente. Dirigismo senza consenso, e senza un vero piano (non le mosse di judo) per l’inclusione della popolazione nel sistema sociale, senza partiti, sindacati e organizzazioni di massa volte ad integrare nel sistema sociale la popolazione, secondo la nostra tradizione politica, vorrà dire appunto questo: totalitarismo. Inoltre, quello che si prospetta è una forma di socialismo al contrario, dove al posto dello Stato che prende la direzione sull’economia, vi sono le imprese della new economy che si fanno direttamente Stato. Chiarito quanto sopra, ritengo che Ettore Gotti Tedeschi colga il nodo centrale. Nel “conflitto tra sistemi sociali” (teoria che ho descritto, utilizzata e sviluppata nel mio libro succitato), l’Occidente, soprattutto il suo ventre molle europeo, si sta rivelando perdente, e questo ha innescato la crisi. Si sta andando incontro a quello che Pierluigi Fagan chiama “fallimento adattivo” di un sistema sociale. Questa è la principale origine della crisi che si propaga in tutte le sfere, tanto in quella economica che politica e morale. Non è solo una crisi economica, è una crisi di sistema. Da cui qualcuno potrebbe voler uscire con colpi di testa.

Ecco, teorie come quella di Brancaccio possono venire incontro a queste pericolose tendenze dirigistiche che sono già in atto. Non saprei dire con quanta consapevolezza dell’autore, ma questo ha un valore relativo. Che il “marxismo” possa essere utilizzato in questo modo dimostra che ormai, fuori dal suo contesto storico, è un’ideologia de-potenziata. È necessario un rinnovamento radicale. Marx non aveva scritto Il Capitale per consegnarci una Bibbia scientifica da cui derivarne leggi immodificabili che somigliano a decreti divini che sentenziano la scomparsa di intere categorie sociali. L’oggettività esiste anche nel campo delle scienze sociali (a cui appartiene la disciplina economica), ma non sono le stesse leggi del mondo fisico o biologico, essendo le strutture dell’essere sociale messe in atto dall’azione umana.

Per affrontare la crisi che è solo all’inizio e si prospetta molta dura, sarebbe indispensabile, oltre all’apporto pratico, l’apporto intellettuale. Nuova Direzione è principalmente un gruppo di intellettuali, il più consistente nel piccolo nucleo di opposizione che si stava costruendo in Italia. Il loro sbandamento di fronte all’acuirsi della crisi con il covid, è parte di uno sbandamento generalizzato, ma facciamo che non sia, ancora una volta, un altro “tradimento dei chierici”. Possono ancora riprendere la Direzione, non quella del ritorno alla sinistra, che comunque non sarebbe facile per loro, poiché verso essa hanno già tagliato molti ponti. Facciamo sì che questa volta abbia avuto torto Majakovskij a dire:
In una nave che affonda gli intellettuali sono i primi a fuggire subito dopo i topi e molto prima delle puttane.