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Geopolitica di una sconfitta

di Fabio Falchi - 25/08/2021

Geopolitica di una sconfitta

Fonte: Fabio Falchi

Difficilmente si può negare che il fallimento politico-militare americano in Afghanistan in pratica sancisca il fallimento della strategia americana ossia dell’“interventismo umanitario” e della Guerra al Terrore. Iraq, Libia, Siria (almeno sotto certi aspetti) e Afghanistan sono, per così dire, le “tappe” di questo fallimento che sotto il profilo geopolitico equivale al fallimento del cosiddetto "unipolarismo a stelle e strisce".
Peraltro, è noto che la caratteristica essenziale della strategia dell’America in questi ultimi trent’anni, ossia dopo il crollo dell’Unione Sovietica, è stata la netta subordinazione degli alleati dell’America alle direttive strategiche decise da Washington e la trasformazione della Nato in uno strumento della politica americana. Non meraviglia quindi che anche il ritiro delle forze occidentali dall’Afghanistan sia stato deciso unilateralmente da Washington, che ha messo i propri alleati di fronte al fatto compiuto. E pure avere chiesto agli americani di rimanere in Afghanistan oltre il 31 agosto per ragioni umanitarie è una ulteriore prova della debolezza politico-militare degli alleati degli Usa.
Del resto, se i talebani dovessero cercare di impedire con la forza l’accesso all’aeroporto di Kabul, vi sarebbe il rischio di uno scontro con i militari americani, e Washington si troverebbe a dovere decidere se riprendere la guerra contro i talebani - il che probabilmente equivarrebbe ad una “catastrofe” sotto il profilo diplomatico e al suicidio politico dell’amministrazione Biden - o  gettare la spugna in modo ancora più ignominioso di quanto è accaduto a Kabul negli ultimi giorni.
Chiaro, comunque, che adesso in Europa è maggiore il numero di coloro che non si fidano più del tutto degli americani e vorrebbero avere maggior peso all’interno della Nato. Ma tra voler fare e poter fare vi è parecchia differenza. Non è solo questione di mezzi e risorse (che indubbiamente sono insufficienti) ma anche e soprattutto di “reale” preparazione politico-strategica e culturale, di cui, ad esempio, nel nostro Paese non c’è “nemmeno l’ombra”, tanto che si favoleggia di un esercito europeo, quasi che la questione della necessità di una precisa “catena di comando” e quindi di una politica estera e di difesa comune fosse una questione di dettaglio.
D’altronde, ai politici europei ha sempre fatto comodo che fosse l'America ad occuparsi di geopolitica e affari militari. Con ogni probabilità quindi ci si limiterà a fare ben poco oltre alle solite dichiarazioni di principio, ossia si affermerà che sono necessari un “approccio multilaterale alle crisi internazionali”, ma “coordinato e comune”, e una “nuova Nato” per difendere i “valori occidentali” e via dicendo.
Tuttavia, si può ritenere che almeno i principali Paesi europei (ad eccezione dell’Italia) cercheranno di difendere i loro interessi tenendo conto che il multipolarismo è una realtà con cui, volenti o nolenti, ci si deve confrontare. In sostanza, la geopolitica, che i Paesi europei, Italia in primis, avevano cacciato fuori dalla porta, illudendosi di poterne fare a meno, è rientrata dalla finestra. Nondimeno, gli euro-atlantisti sono disposti ad arrampicarsi sugli specchi pur di non ammettere che gli interessi dell’America sono diversi da quelli dell’Europa o dei singoli Paesi europei, tanto più che per Washington conta soprattutto aumentare la pressione contro la Russia e la Cina. Vale a dire che quel che conta davvero per Washington è difendere ad ogni costo un (dis)ordine mondiale "a stelle e strisce".