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I veri termini della libertà del pensare

di Francesco Lamendola - 05/02/2020

I veri termini della libertà del pensare

Fonte: Accademia nuova Italia

La cultura dominante ha steso una coltre così fitta di luoghi comuni sul concetto della libertà di pensiero, che non solo le persone comuni, ma anche i cosiddetti specialisti, i filosofi in primo luogo, raramente ne mettono a fuoco la vera essenza, ma si limitano a rimasticare quel che è previsto (e consentito) dal Pensiero Unico, in termini sempre e solo politicamente corretti. Che significa, infatti, l’espressione libertà di pensiero? Subito la mente corre all’Énciclopédie, all’illuminismo, alla tolleranza di Voltaire, alla Rivoluzione francese, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino, ecc. ecc. Insomma, la libertà di pensiero si identifica, nell’immaginario collettivo, con la libertà di esprimere qualsiasi opinione, di sostenere qualunque tesi, alla luce di una ragione libera e spregiudicata e quindi sciolta ed emancipata dalle superstizioni, dal principio di autorità, da ogni schema precostituito. Tranne, appunto, lo schema fondamentale dell’illuminismo: tu sei libero di pensare quel che vuoi, purché non vada contro ciò che l’ideologia del progresso ha ufficialmente canonizzato, stabilendolo una volta per tutte: per cui ciò che non si adatta a tale ideologia viene bollato come “superstizione” e proscritto dal consorzio della società civile, con le buone o, se necessario, anche con le cattive o le cattivissime.  Pare che a questi signori illuministi di ieri e di oggi non sia mai venuto in mente che la vera libertà di pensiero presuppone la vera libertà del pensare; e che l’atto del pensare non sarà mai libero se il pensiero stesso non viene posto sulle sue autentiche basi, che sono quelle spirituali e non quelle della materia fisica. Ma la concezione illuminista del reale è apertamente o implicitamente materialista: pertanto, l’atto del pensare, per quei signori, resta sempre legato alla catena di una idea fuorviante del pensiero stesso, come se si trattasse di una manifestazione secondaria, un epifenomeno della materia. La materia produce il cervello, il cervello produce la mente e la mente produce il pensiero: questa è la concatenazione logica da essi postulata; qualunque altra ipotesi di lavoro è, dal loro punto di vista, “superstizione”, un ritorno al “buio Medioevo”, quando, per parafrasare Kant, gli uomini vivevano in uno stato auto-indotto di perenne minorità perché, invischiati nei loro vaneggiamenti metafisici, non sapevano usare adeguatamente lo strumento della ragione. Per principio, essi non hanno mai considerato la possibilità che il materiale sia un epifenomeno dello spirituale e perciò che la mente non sia una funzione del cervello, ma che il cervello sia il semplice supporto fisico e temporaneo di una funzione che può esistere anche senza di esso, e che infatti continuerà ad esistere anche dopo di esso, come afferma, fra l’altro, la filosofia del cristianesimo.

Ecco allora che la domanda: che cos’è la libertà di pensiero?, deve essere corretta in quella, molto più precisa: che cos’è la libertà del pensare?, perché il pensiero è una conseguenza del pensare e non un’entità preesistente ad esso. Ironia di tutti i progressisti: la metafisica, che essi hanno cacciato dalla porta, rientra immancabilmente dalla finestra, sotto la forma di principi apodittici, tanto indimostrabili quanto le vecchie e deprecate “superstizioni”.  Parlare di libertà di pensiero postula un pensiero che già sussiste e che presuppone il pensare; invece è dal pensare che si genera il pensiero, perché il pensiero non è una facoltà auto-sussistente, ma è il frutto dell’attività della mente che pensa. La mente, per sua natura, non può fare a meno di pensare; il pensiero è il concreto svolgersi dell’attività pensante. In altre parole, non si pensa qualcosa prima di pensare: prima del pensare non c’è nulla, o, per esprimersi più esattamente, nulla di cui si possa parlare. Per la mente, esiste solo ciò che essa percepisce: esse est percipi, come diceva Berkeley, l’essere è l’essere percepito. Il che non vieta, anzi, a nostro giudizio presuppone (e anche a giudizio del filosofo inglese), una mente superiore che pensa tutta la realtà, e quindi anche il nostro pensare; tuttavia, limitandoci al punto di vista individuale, noi non abbiamo conoscenza di alcun’altra realtà al di fuori del nostro percepirla, quindi dell’attività della nostra mente. Pertanto, alla domanda: che cos’è la libertà del pensare?, dobbiamo rispondere: è la libertà di vedere le cose così come sono realmente; è la corrispondenza fra il giudizio e il reale, adaequatio rei et intellectus, come dicevano i filosofi tomisti. Dunque non è la libertà di volere o non volere una certa cosa, ma la libertà di conoscere le cose per ciò che esse sono e quindi poterle pensare correttamente. Questa è una mela – diceva san Tommaso d’Aquino ai suoi studenti; se qualcuno non è d’accordo, può andarsene. Il sano realismo non è in contrasto con l’idealismo soggettivo, ma si integra felicemente con esso: noi non possiamo parlare se non di ciò che la nostra mente percepisce; ma la nostra mente non crea le cose, dunque deve esserci una realtà più grande che sovrasta la nostra mente e che le presenta gli oggetti della sua percezione. Il principio della mente che coglie soggettivamente la realtà non può essere in contrasto con il principio di realtà, il quale ci dice chiaramente che la mente percepisce gli oggetti, ma non li crea dal  nulla, se li trova davanti e li interpreta.

Dunque la libertà del pensare non ha nulla a che fare con la libertà nel senso corrente della parola, cioè con la libertà del volere. Il volere è sempre libero, perché altrimenti non esisterebbe la volontà, che è la possibilità di assentire o rifiutare un determinato oggetto. Ora, questa libertà esiste, perché noi tutti ne facciamo l’esperienza quotidiana; pertanto, se la volontà è libera, e tuttavia noi non siamo sempre liberi, ciò deve dipendere dal pensare e non dal volere. Noi non siamo liberi quando non pensiamo liberamente; e non pensiamo liberamente non quando, come vogliono gli illuministi di ieri e di oggi, sottomettiamo il pensiero alle “superstizioni”, ma quando partiamo da un errato giudizio sulla realtà, il che provoca inevitabilmente gli errori e le storture del pensare. Precisiamo qui, una volta per tutte, che il pensare non comprende solo l’attività della mente logico-razionale, che è solo una parte di esso; ma comprende anche tutte le operazioni che hanno a che fare con la memoria, l’attenzione, l’immaginazione e il sentimento. Che altro è il sentimento, infatti, se non un’operazione della mente? La mente non è sinonimo di ragione, semmai di pensiero, Logos, nel senso di  parola, discorso, come l’intendevamo i greci. È dunque evidente che la contrapposizione di ragione e sentimento è una invenzione degli illuministi e dei romantici; di fatto, è impossibile che la ragione e il sentimento non s’intreccino per mille fili e che non scaturiscano dalla stessa fonte, che è la mente. Dopo aver precisato  questo, si comprende meglio perché la libertà sia anzitutto la libertà del pensare: escluso che la mancanza di libertà appartenga al volere, perché il volere è sempre libero (anche se non di una libertà assoluta), resta tutto ciò che non è volontà, ossia la ragione, il sentimento, l’immaginazione, il ricordo, ecc., vale a dire l’insieme degli stati mentali. La volontà non è uno stato mentale, è l’esercizio della facoltà di scelta nella sfera della vita pratica; mentre pensare è il corretto esercizio dell’attività mentale nella sfera della vita speculativa, emozionale e affettiva, cioè della vita spirituale. Ecco dunque un primo punto fermo; pensare è un’attività di tipo spirituale, che afferisce alla dimensione spirituale e che influenza, a sua volta, l’azione pratica, ossia la sfera della volontà. Da un retto pensare discende un retto agire, e non viceversa: perché è lo spirituale che esercita il suo dominio sul materiale e non il materiale sullo spirituale. Questo è ciò che la buona filosofia ha sempre saputo e la buona teologia ha sempre insegnato. Poi è arrivata la modernità, e con la modernità il razionalismo esasperato (col suo inseparabile fratello gemello, il sentimentalismo), il materialismo, l’utilitarismo, il pragmatismo, l’efficientismo, lo storicismo, il relativismo, la psicanalisi, e la giusta prospettiva sul reale è stata letteralmente capovolta: ora la cultura insegna che non è lo spirituale a organizzare e presiedere al materiale, ma il materiale che impone la sua signoria sullo spirituale. Al punto che la stessa parola spirituale è passata di moda e, se qualcuno si ostina ad usarla, ciò solleva immediatamente delle diffidenze, delle perplessità; non parliamo poi della parola anima, vista come un patetico residuo di un paradigma ormai estinto, quello antecedente alla modernità.

Ci piace riportare, a questo punto, una pagina di Massimo Scaligero (1906-1980), un importante pensatore ed esoterista italiano che la cultura dominante ha rimosso, dopo averlo sempre emarginato ed ignorato quand’era in vita, mentre le sue opere andrebbero rilette e meditate, perché ricchissime di spunti altamente stimolanti (da: M. Scaligero, L’immaginazione creatrice, Roma, Manilo Basaia Editore, 1985, pp. 51-53):

 

Il problema della libertà non riguarda il volere, bensì il pensare.

Non ha senso parlare di volontà libera. Il volere è sempre libero, e opera come se l’uomo fosse autonomo e responsabile. Si vuole qualche cosa proprio per il fatto che non si è impediti nel volerla. Ogni uomo in tal senso è libero: è libero di volere.

Malgrado ciò, il volere non attua la libertà, perché il pensiero da cui muove è bensì libero, ma non è liberato. È libero entro la sua prigione: mediante l’organo cerebrale: è vincolato alla natura, e tale vincolo esso proietta nel corpo eterico.

Il vincolo fisico del pensiero opera come una condizione del corpo eterico: mediante il quale si esplicano il sentire e il volere: costretti a manifestarsi secondo la soggezione del pensare al sensibile e perciò ad alterare la propria natura.

Soltanto il pensiero che si liberi dal supporto fisico può operare secondo lo spirito nel corpo eterico e usare giustamente l’essere libero della volontà. L’essere libero della volontà, che operi senza la liberazione del pensiero,  è l’arbitrio: è la libertà usata dalla natura. L’opposto della libertà.

Un pensatore deve poter comprendere come il problema della libertà si ponga solo per il pensiero, non si ponga per il volere: è problema del pensiero, non in quanto dialettica, ma in quanto processo ideale mediato, nella fase cosciente ed espressiva, da processi fisiologici. Tale mediazione viene bensì disimpegnata dall’organismo fisico, ma per via di una distruzione della sua sostanza vitale, relativa all’uso più o meno intenso dell’aspetto razionale-astratto del pensiero.

La dipendenza del pensiero dalla cerebralità, epperò la necessità della distruzione dei processi vitali, riguarda il momento dialettico del pensiero, o momento cosciente. Il problema della libertà riguarda il pensiero, perché la mediazione cerebrale, pur risolvendosi in un processo distruttivo, condiziona la manifestazione del pensiero formandola egoicamente. Il pensiero, per essere un fatto della coscienza, necessita ogni volta di tale mediazione, senza avvertirlo: onde il realista ingenuo scambia la mediazione per il fondamento.

Il pensare che si liberi, in sostanza si libera dalla mediazione cerebrale: manifesta perciò la sua vera forza. Vive nel corpo eterico per virtù di un potere che lo trascende: attua come libertà la sua penetrazione eterica del sensibile. Rivela il suo essere universale nell’anima individuale.

 

Detto in parole semplici, il pensare ordinario, e cioè non libero, ma condizionato, è legato alla mediazione cerebrale; ma tale mediazione può essere saltata, e allora il pensiero diviene realmente libero. Non esiste libertà di pensiero, né pensiero libero, se il pensiero non viene liberato dai suoi condizionamenti e dalle sue limitazioni. L’esoterismo persegue pertanto delle tecniche atte a liberare il pensare dal condizionamento che lo tiene avvinto alla coscienza limitata del corpo eterico: la filosofia della libertà non può essere concepita se non in funzione di un pensiero che si sia già liberato dalle sue pastoie. Libero e liberato non sono la stessa cosa: il pensiero può anche essere libero nella sua sfera, quella del Logos logico-razionale, ma si tratta pur sempre di una libertà assai relativa, perché essa non è in grado di abbracciare l’intero spettro del reale. Eppure, si dirà, questo non può essere abbracciato dal pensiero individuale. Ma appunto l’esoterismo afferma che il pensiero in quanto tale non è puramente individuale, ma universale; e la capacità di sciogliersi dal condizionamento egoico dischiude appunto la relazione col pensiero universale. Quando il pensare si libera dal pensiero di essere solo il pensiero legato a quel corpo, a quel cervello, a quella mente, allora gli si schiude la consapevolezza che la coscienza cosmica è una cosa sola, che si manifesta nei singoli individui, ma della quale essi non hanno ordinariamente la consapevolezza. In altre parole, come insegnano anche alcune filosofie orientali, fra le quali lo Yoga, si tratta di dissipare l’illusione dell’io e aprire gli orizzonti sconfinati del Tutto, nel quale ogni ente è immerso. Ciò non significa svalutare il pensiero logico ma semplicemente attribuirgli la giusta funzione nel complesso della coscienza. Noi non conosciamo la realtà solo per il suo tramite, anche se è uno strumento formidabile, purché non pretenda di azzerare le altre forme del conoscere. Si noti che l’insufficienza del procedere dialettico denunciata da Scaligero ricorda la polemica antihegeliana di Kierkegaard. Anche per il filosofo danese non si può giungere all’essenza del reale con la dialettica puramente logica, che procede per sintesi, questo e quello; bensì con un atto radicale di scelta: questo o quello...