Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Ieri regnanti oggi ai servizi sociali

Ieri regnanti oggi ai servizi sociali

di Marcello Veneziani - 21/09/2025

Ieri regnanti oggi ai servizi sociali

Fonte: Marcello Veneziani

Non sembra vero. Il Capo della FuFiat, John Elkann, discendente della stirpe regale degli Agnelli, sarebbe condannato ai servizi sociali presso i Salesiani torinesi. Siamo ben oltre la caduta degli dei, siamo al loro reimpiego nei servizi pubblici, non esclusi i servizi igienici. Una parabola sta per compiersi, un declino con svariati gradini discesi uno dopo l’altro. Un tempo, solo immaginare il Signore della Fiat condannato ai servizi sociali sarebbe stato un reato di blasfemia: non si poteva neanche dirlo per scherzo e osare di farci una gag paradossale. Peccato mortale, reato penale. Tutto quel che succedeva nella Fiat era in una zona franca, o comunque iperprotetta, come sotto la campana di vetro delle madonne. Non c’era leader politico o capo d’azienda che “non poteva non sapere” quel che accadeva nel suo regno; eccetto lui, l’Avvocato, che benché Onnipotente e dunque onnisciente, poteva non sapere, in virtù di una divina ignoranza che permetteva l’esonero dagli affanni che riguardano i mortali.
Per fermarsi solo ai tre imprenditori famosi di un tempo, Berlusconi finì nel mirino dei giudici e ci restò per una vita, andando ai servizi sociali; De Benedetti fu attenzionato e chiacchierato ma poi la scampò per le ragioni che intuiamo; Gianni Agnelli restò illeso, legibus solutus, sciolto da ogni rischio di contaminazione sia dai fatti che dalle condanne dei suoi sottoposti, come accadeva ai Re Taumaturghi investiti direttamente da Dio. Ma il declino della Fiat cominciò sin da quando c’era lui.
Ora vedi che il nipote di Agnelli rischia di finire affidato per un anno ai salesiani per la sua riabilitazione sociale tramite i servizi sociali; gli viene cioè prescritta una terapia di umiltà per disintossicarsi dal cinismo, dall’albagia e dalla presunzione d’immunità di cui aveva goduto, in linea ereditaria, per troppi anni. In cambio ha ottenuto dalla Procura di Torino il via libera alla richiesta di sospensione del procedimento per frode fiscale presunta, con messa alla prova, nell’ambito delle indagini relative all’eredità della nonna, Marella Agnelli, vedova di Gianni Agnelli, morta nel 2019. Anche per i suoi fratelli Lapo e Ginevra c’è stato il via libera alla richiesta di archiviazione per i reati di dichiarazione infedele e truffa in danno dello Stato. Il presidente di Stellantis ha scampato la condanna, in cambio dovrà sopportare l’umiliazione dell’affidamento ai servizi sociali e versare 183 milioni di euro al fisco. E dovrà tornare a Torino, città che la FuFiat aveva abbandonato nella sua mutazione transgenica in FCA, confluita in Stellantis. Oltre al tracollo dell’azienda su tutti i fronti, con Elkann è stata portata a compimento la definitiva riduzione della FuFiat da azienda di produzione industriale e automobilistica a gruppo finanziario, con preminenti interessi speculativi, in cui i prodotti “reali” sono solo una variabile relativa e secondaria delle operazioni finanziarie (i dipendenti non ne parliamo, sono l’ultima ruota del carro, per restare nella metafora automobilistica).
La saga degli Agnelli finisce nel peggiore dei modi possibili. La morte prematura di Giovannino Agnelli, considerato l’unico erede con qualche capacità e sensibilità di imprenditore, dopo la tragica morte di Edoardo, e la lunga scia di “maledizioni”; poi gli Agnelli si internazionalizzarono in famiglia, grazie ai tre Elkann, figli del personaggio televisivo, intervistatore e scrittore Alain e di una figlia dell’Avvocato, Margherita. Gli Elkann sono una potente famiglia ebraica parigina (il nonno era un rabbino), i giovani Elkann sono nati a New York. Un tempo il più noto dei tre Elkann era Lapo, personaggio leggendario, spesso caricaturizzato, con vicende incredibili di ogni tipo. Più defilata la sorella Ginevra, che pur seduta su un tesoro miliardario, godeva del finanziamento governativo per i suoi film, che poi riscuotevano in sala neanche la decima parte di quel che riceveva dai fondi pubblici, soldi sottratti ad altri magari più meritevoli e certamente meno abbienti cineasti. Particolarmente brutta la lite giudiziaria degli Elkann con la loro madre, Margherita Agnelli, sull’eredità e la successione; i raggiri, gli inganni e le terribili dichiarazioni del figlio John contro la sua mamma. Una storia esemplare del peggior familismo che sconfina nel cannibalismo parentale e nel matricidio rituale. Gli Agnelli sono finiti peggio dell’altra famiglia reale torinese, i Savoia.
Restò proverbiale, anche se non è mai stato detto in tv o sui giornaloni italiani, che la Fiat socializzava le perdite della sua attività ma privatizzava i profitti. E usava il marchio d’italianità ma era pronta a battere bandiera straniera e trasferirsi all’estero per utilità fiscale o per i costi della manodopera; un patriottismo intermittente e unilaterale, che valeva per gli utenti ma non per l’azienda.
Dietro la loro vicenda non c’è però solo il tramonto della Fiat, della famiglia reale Agnelli che ha dominato sull’Italia nel Novecento. Ma c’è il declino dell’industria italiana, la fine dei marchi nazionali, di cui oggi si salvano solo tre o quattro grandi aziende alimentari, più quel che resta nel design e nel vestiario. Il resto è finito male o in mani straniere. Resta il popolo di camerieri e di sartine rappresentato da un’élite di chef e di stilisti, allietati dai melodici. Però se l’alternativa è la Dinasty degli Agnelli-Elkann, viva l’Italia proletaria e sul piano imprenditoriale, onore a Giorgio Armani.