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Il caso Mattei. I suoi insegnamenti per la politica estera dell'Italia contemporanea

di Luigi Di Maio - 27/11/2020

Il caso Mattei. I suoi insegnamenti per la politica estera dell'Italia contemporanea

Fonte: Fondazione Leonardo

«La cosa più importante per un Paese è l’indipendenza politica, che non ha valore se non c’è l’indipendenza economica. Avere l’indipendenza economica significa avere il controllo delle proprie risorse […], le proprie fonti di energia. Con esse si controllano i più importanti settori lanciati verso il domani, i settori nei quali […] potete dire la vostra parola, potete diventare qualcuno» (Enrico Mattei, intervento in apertura dell’A.A. 1961 della Scuola di Studi Superiori sugli Idrocarburi, San Donato Milanese).

Quando mi è stato chiesto di scrivere questo articolo su Enrico Mattei il primo istinto è stato quello di riversarci tutta l’ammirazione che si deve a un gigante della nostra storia contemporanea. Fu un protagonista di quegli anni eccezionali in cui l’Italia ha saputo rialzare la testa e ricostruire dignità, benessere e prestigio internazionale. Mi sarei così limitato a uno dei tanti tributi, per quanto doverosi, a un uomo straordinario nel suo tempo.

Ma mentre ripercorrevo le principali vicende che ne hanno segnato l’eccezionale carriera imprenditoriale e fondamentalmente politica, mi sono domandato se sia ancora possibile parlare di un “modello Mattei” applicabile agli scenari contemporanei. Ne ho tratto tre considerazioni, se vogliamo tre insegnamenti, che mi sembrano ancora validi e attuali.

Il primo è la consapevolezza che la riacquisizione di una piena sovranità economica, e dunque energetica, specialmente per una potenza manifatturiera come l’Italia, fosse l’indispensabile premessa per recuperare spazi di autonomia politica nel contesto del dopoguerra. La sconfitta nel secondo conflitto mondiale non soltanto ci lasciò un paese impoverito e umiliato, ma comportò, per una scelta moralmente sacrosanta e poi iscritta nella nostra costituzione repubblicana, la definitiva rinuncia a impiegare certi strumenti caratteristici della proiezione di potenza nazionale, se non per esigenze di autodifesa. La logica che sottende Mattei è lineare: se l’Italia non può e non intende ricorrere alla forza, allora deve dotarsi di nuovi e più raffinati strumenti di influenza, rafforzando cooperazione economica e prestigio internazionali. Per disporre in abbondanza di questi strumenti serve che il Paese cresca e si arricchisca in fretta, acquisendo risorse energetiche a basso costo e investendo in tecnologia e innovazione per mantenere i vantaggi guadagnati sui mercati internazionali. Si è detto che l’attuale pandemia, per molti aspetti, sia assimilabile a scenari post-bellici e che l’emergenza sanitaria abbia messo in crisi gli equilibri degli ultimi trent’anni fondati sulla globalizzazione, sancendo il ripristino del primato dell’elemento “politico” su quello “economico”, anche nelle relazioni internazionali. Ritengo ci sia del vero in tutto questo. Ciò, tuttavia, non significa che si debba accettare supinamente un collasso della rete di interdipendenza commerciale che ha assicurato una delle stagioni più pacifiche e di benessere nella storia dell’umanità. L’influenza internazionale dell’Italia molto dipende ancora oggi dalla capacità di generare ricchezza per sé e per i partner, di assicurare approvvigionamenti energetici a prezzi convenienti per le nostre imprese di ogni dimensione, di competere ad armi pari sui mercati esteri. L’energia, come negli anni ‘50 e 60 del novecento, rimane una posta in gioco prioritaria per gli equilibri regionali e mondiali. Ma, alla sua dimensione di competizione per le risorse fossili tradizionali, esemplificata nella contesa sui nuovi giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale, si è aggiunta la corsa al dominio delle rinnovabili, dell’idrogeno. Il petrolio del futuro.

La seconda considerazione riguarda l’apertura e la ricerca sistematica del dialogo su basi paritarie con i partner di questa politica estera dell’economia e dell’energia. Fu un metodo che nacque dalla constatazione che la decolonizzazione avesse per sempre alterato tradizionali equilibri internazionali, specialmente nel Mediterraneo allargato e nell’Africa subsahariana. Nacquero in breve tempo nuovi interlocutori, rappresentanti di popoli desiderosi anch’essi di intraprendere un sentiero di sviluppo diffuso, emancipandosi da condizioni spesso miserevoli. Mi riferisco a molti dei Paesi in quello che oggi chiamiamo il nostro “vicinato sud” e poi ancora oltre, nella fascia saheliana. Erano Paesi poveri, ma chiedevano di essere ascoltati e trattati con dignità. Ed è proprio in queste terre che Mattei, esauriti i limitati giacimenti di idrocarburi italiani, va a cercare petrolio e gas, offrendo condizioni ben più vantaggiose di quelle offerte dal cartello delle principali major dell’epoca. Nel farlo ribalta un principio che sembrava inscalfibile, riconoscendo che le risorse energetiche appartengono anzitutto ai Paesi di estrazione. Debbono pertanto esserne adeguatamente remunerati, affinché abbiano mezzi e tecnologie per potersi sviluppare, offrire formazione e lavoro ai propri giovani, consolidarsi, contribuendo così alla stabilità regionale e internazionale. Si trattava di creare le condizioni perché i benefici economici dallo sfruttamento delle risorse energetiche fossero per tutti e distribuiti in maniera equa. L’equazione sembrava fin troppo semplice, ma funzionò perfettamente. Mattei immaginò persino che si potesse un giorno giungere a riunire il patrimonio energetico mondiale, a beneficio di Paesi produttori e consumatori, a qualunque schieramento o alleanza appartenessero. L’idea era ambiziosa: favorire l’interdipendenza energetica ed economica per attenuare le tensioni della decolonizzazione e la conflittualità tra i blocchi. Quando necessario e se ci sono i margini per un buon accordo commerciale, anche interlocutori eterodossi come l’Unione Sovietica, i Paesi dell’Est e la Cina furono coinvolti in questa politica ad ampio raggio, che pure si ispirava all’universalismo cattolico caro al Presidente dell’ENI. Quello che in apparenza poteva sembrare un disallineamento dalla fedeltà atlantica, mai messa in discussione, spesso si rivelò invece un guadagno di posizioni, contatti e influenze, a beneficio proprio degli interessi generali dell’Alleanza e di bilanciamento delle mire e delle profferte rivolte dal blocco sovietico ai Paesi di nuova indipendenza.

Enrico Mattei in visita a Teheran. Iran, 1958

Enrico Mattei in visita a Teheran. Iran, 1958

Il sistema internazionale odierno è molto cambiato, ma rispetto all’assetto unipolare emerso con la fine della Guerra fredda si prefigura un’incipiente stagione di coesistenza tra grandi potenze, in cui l’asse di confronto principale appare quello tra Stati Uniti e Cina. Al tempo stesso, le “primavere arabe” e quel che ne è seguito hanno certamente alterato gli equilibri nel Mediterraneo allargato sorti con la decolonizzazione, creando, oggi come allora, nuovi interlocutori, nuove linee di contrapposizione e di polarizzazione. Ci sono però fattori geopolitici immutabili, come la localizzazione delle risorse sulle terre emerse e i fondali marini, e la competizione per il loro accesso. La sovrapposizione di crisi politiche ed economiche, di minacce tradizionali e minacce ibride, come il terrorismo e il traffico di migranti, rende ancora più pressante la domanda di governance regionale e di iniziative volte a sfumare le tensioni. Per questo, il ricorso al dialogo, aperto e inclusivo, e l’adozione di schemi di equa condivisione delle risorse, specie quelle energetiche, rimangono opzioni ancora oggi valide e attuali. [Ne abbiamo discusso a lungo anche quest’anno ai MED Dialogues di Roma]. Le ritroviamo alla base delle politiche italiane di cooperazione, delle iniziative per il “fianco sud” in ambito NATO e OSCE, e in quell’idea di “beni pubblici Mediterranei” su cui vogliamo rilanciare la politica di vicinato dell’UE.

C’è poi un ultimo tema su cui volevo soffermarmi: la promozione di una coscienza nazionale che rifugga dall’autocommiserazione e sia all’altezza dell’ambizione di un Paese come l’Italia. Mi ha molto colpito un passo di un intervento di Mattei del 1961 in apertura dell’Anno Accademico della Scuola di Studi Superiori sugli Idrocarburi dell’ENI: «Quando ci siamo messi al lavoro siamo stati derisi, perché dicevano che noi italiani non avevamo né le capacità né le qualità per conseguire il successo. […] Noi italiani dobbiamo toglierci di dosso questo complesso di inferiorità […]. Erano tanto accettate queste false conoscenze che avevano diffuso sugli italiani: sul dolce far niente, su questa razza pigra che non è pigra, che ancora oggi ce le sentiamo ripetere come verità».

Credo che queste stesse parole, che riguardano in fondo anche la nostra percezione del posto, del ruolo dell’Italia e degli italiani oggi nel mondo non vadano dimenticate. Troppo spesso siamo immobilizzati in una diffusa rassegnazione al declino e questo da ben prima che la pandemia ci ponesse dinanzi alle grandi difficoltà di un’emergenza eccezionale. Da Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, voglio invece riaffermare che l’Italia c’è, conta ed è rispettata sulla scena internazionale, a cominciare dallo spazio comune del Mediterraneo allargato. Abbiamo risorse e assetti. Mettiamo sul tavolo capacità addestrative, una riconosciuta perizia nei programmi di consolidamento istituzionale, di riforma dell’economia e del welfare. Offriamo cooperazione in campo sanitario, energetico, scientifico e culturale. Disponiamo di capitale diplomatico e dinamismo economico-commerciale, che la Farnesina ha ulteriormente rilanciato, acquisendo le competenze sul commercio internazionale.

La lungimiranza di Mattei è viva e presente in tutto questo. Ci fornisce una traccia che vale oggi come allora. Ci sprona a fare sempre meglio e a trarre il meglio dal nostro straordinario potenziale.