Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il cittadino è ripiombato nella solitudine

Il cittadino è ripiombato nella solitudine

di Marcello Veneziani - 19/10/2023

Il cittadino è ripiombato nella solitudine

Fonte: Marcello Veneziani

La solitudine del cittadino. Italiano, europeo, contemporaneo. Vorrei sbagliarmi ma siamo piombati nella fase più acuta della solitudine globale di massa. Lo dico avvertendo lo stato d’animo serpeggiante e forse prevalente dei nostri giorni; il clima civile, politico, esistenziale che si respira. E lo dico dopo quel che è successo negli ultimi tre anni. Tre disgrazie hanno funestato il mondo, modificando le nostre teste e arrivando ossessivamente nelle nostre case tramite i media: la pandemia, la guerra in Ucraina e, ora, i genocidi in Israele, più contorno di crisi climatica, crisi economica e flussi migratori. Il mondo esterno è percepito dalla gente come minaccia e terrore, e questo di più sospinge verso la solitudine domestica, ritirandosi dagli spazi pubblici. Da qui una nuova accezione di ius soli: il diritto di essere soli.
Tre governi si sono succeduti in questi ultimi tre anni in Italia, in cui tutti sono stati al governo in tutte le formule possibili: sinistra, destra, centro, 5stelle, tecnici, antipolitica e politicanti, fino alla novità assoluta di una donna di destra-destra alla guida del governo. Mai abbiamo così nettamente cambiato scenari politici in così breve tempo ma allo stesso tempo non abbiamo mai cambiato prospettive, linee di fondo e programmi. Viviamo in una specie di mobilità immobile. Ruotiamo vorticosamente restando sempre nello stesso punto. Il disco è rotto, e si ripete all’infinito. E se accendi il video, danno sempre lo stesso film. O devi accontentarti di piccole sfumature.
Così, al compiersi del giro di giostra, il risultato principale è che ci sentiamo in totale solitudine. Lontani, estranei, se non ostili al quadro generale e ai suoi punti cardinali. Nessuno sembra rappresentarci e dar voce al nostro pensiero e al nostro sconforto; non ci rispecchiamo, non ci ritroviamo e non ci riconosciamo in nessun riferimento alto, istituzionale, politico, sociale, spirituale; in nessun linguaggio e nessuna retorica mediatico-istituzionale. Non parlo naturalmente della totalità della popolazione, parlo però di una parte significativa, direi la maggioranza, almeno relativa, dei cittadini. Che non si riconoscono nelle figure istituzionali, a partire dalle prime due: questo Papa e questo Presidente della Repubblica, poi i grandi leader internazionali ed europei, quindi la classe politico-parlamentare, i pescecani del grande capitale, questa magistratura. È prematuro dirlo, ma la gente si sente abbandonata anche dal governo in carica, a cui pure ha dato fiducia, ma che appare loro allineato al mainstream e ai percorsi obbligati, a Biden e alla van Der Leyen, alle direttive eurocratiche ed atlantiche, al racconto di sempre e ai suoi feticci passati e presenti. Con realismo non potevamo aspettarci altrimenti, questa è la situazione, questo è il ferreo quadro entro ci muoversi, questi gli uomini.
Troppi cittadini sono nauseati dal persistere delle narrazioni dominanti a senso unico che ci vengono propinate dai media pubblici e privati da almeno tre anni a questa parte, dal tempo della pandemia ad oggi, passando per guerre, orientamenti generali, celebrazioni di sempre e allineamenti senza possibilità di divergenza. Se sei contro l’Opinione Prefabbricata, sei bandito e insultato; ma vieni silenziato ed emarginato anche se hai un pensiero più articolato, non appiattito come una sogliola decerebrata sul menu fisso imposto dalla Ditta e nemmeno sul suo contrario. E’ facile appiattirsi come tappetini al mainstream, recepire tutto passivamente, come carte assorbenti; ma è semplicistico pure attribuire tutto al Grande Complotto, additare il Demiurgo Malvagio, e sbrigarsela dicendo che tutto il male ha una sola fonte.
Alla fine la sensazione più diffusa per i cittadini è sentirsi esclusi, non rappresentati dai poteri in carica. Sentirsi largamente fuori dal perimetro del consenso e della legittimazione. Altro che società dell’inclusione. Ci sono ormai due mondi irreparabilmente incomunicanti, nonostante i massicci flussi informativi (a senso unico): un mondo di sopra e un mondo di sotto. Il primo ha linguaggi, rituali, celebrazioni e rappresentazioni che non si rispecchiano affatto nella vita, nelle opinioni, negli umori del mondo inferiore. E questo, fino a qualche tempo fa, dava luogo alla mobilitazione dello scontento, i dissensi s’incanalavano in una direzione, un movimento, una forza d’opposizione, un noi collettivo, un leader, un partito o una coalizione. Ora no, quella percezione di solitudine non trova sbocchi, non si coalizza, non si socializza e non si trasforma in pressione e orientamento. Ha perso fiducia ed energia, vaga inespressa, o resta allo stato latente.
Vorrei sbagliarmi, ripeto, o vorrei attribuire questa sensazione a un personale senso di solitudine e scoramento, che spinge ogni giorno di più a chiamarsi fuori, a smettere di dire, lasciare gli spazi pubblici. Ma poi mi accorgo che questo stato d’animo non è personale e non riguarda solo le proprie motivazioni; ma s’intreccia e s’incontra con altre solitudini che compongono oggi la cittadinanza. Una specie di anarchia per necessità, di autarchia per carenza oggettiva di sinergie e aspettative; una specie di solitudine affettiva e percettiva che non trova adeguato riparo nei social e ancor meno nelle forme consuete di socialità.
Eppure, anche nella solitudine si avverte un destino corale, diffuso, che riguarda tanti cittadini – italiani, europei, contemporanei. E’ una solitudine che si allarga per cerchi concentrici: rionale, urbana, metropolitana, nazionale, culturale, religiosa; una specie di migrazione interiore rispetto alla propria città, alla propria religione, alla propria patria, al comune linguaggio. E mentre il mondo di sopra si allontana sempre più, si avvicinano i nuovi barbari, di dentro e di fuori.