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Il compito della filosofia

di Massimo Cacciari - 24/12/2023

Il compito della filosofia

Fonte: Kobo

Presentare la figura di Pavel A. Florenskij a chi non lo conosca è una sfida ardua quanto esaltante, considerando l’importanza della sua figura, la profondità del suo pensiero e il nitore della sua testimonianza spirituale. Parliamo di una mente straordinaria, in grado di unire ricerca scientifica e sapienza spirituale, il cui lascito è un'opera monumentale (oltre mille titoli originali), sia in termini di mole che di rilevanza. Un dato ancora più impressionante considerando la sua prematura morte e le estreme condizioni di prigionia nei gulag degli ultimi anni.

Erede consapevole della gloriosa tradizione della 'Filocalia' ("Verità, bene e bellezza: questa triade metafisica è un unico principio, è un'unica vita spirituale esaminata sotto molteplici prospettive" scrive ne La colonna e il fondamento della Verità), Florenskij ha dedicato la sua ricerca filosofica alla ricerca della conciliazione tra idealismo platonico e teologia ortodossa, tra scienza e filosofia, tra fisica e teodicea, in un’incessante, abissale opera di ricerca della concordia tra, apparenti, opposti.

L’Italia, che può vantare il merito di aver pubblicato la prima traduzione mondiale delle sue opere, grazie a Elémire Zolla e Pietro Modesto (il già citato La colonna e il fondamento della Verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere, Rusconi, 1974) ha da sempre mostrato particolare attenzione e rispetto per il genio russo.

Segnaliamo alcune delle principali pubblicazioni in italiano: il cruciale saggio di iconologia Le porte regali per Adelphi; le commoventi lettere dal gulag raccolte in Non dimenticatemi per Mondadori; la grandiosa ricerca dell’unità contro la “malattia mortale del secolo” nel saggio Il significato dell’idealismo per SE; la sapiente critica della creduloneria, opposto della fede illuminata, presente in Sulla superstizione e il miracolo sempre per SE ; la geniale interpretazione iconologica, che si fa alta teologia, contenuta nel saggio La prospettiva rovesciata ancora per Adelphi; i sette brillanti saggi (dal valore del simbolo al concetto di museo, dal significato sacro del teatro dei burattini al rapporto fra tecnica e corpo umano) raccolti in Stratificazioni, scritti sull’arte e la tecnica per Diabasis; la riflessione, che partendo da Cantor, dalla matematica arriva alla Trascendenza nel saggio L’infinito nella conoscenza per Mimesis; la lettera, tratta da La colonna e il fondamento della verità, dedicata a L’amicizia per Castelvecchi.

Massimo Cacciari, filosofo che non ha bisogno di presentazioni per la sua rilevanza nel panorama contemporaneo, ha dedicato la sua ultima, imponente riflessione a un tema vertiginoso, florenskijano per definizione; come si legge nel risvolto: "«Metafisica. Ecco la parola davanti alla quale ognuno, più o meno, si affretta a fuggire come davanti a un appestato» (Hegel). Un fuggire che, a furia di decostruzioni, oltrepassamenti, dichiarazioni di morte o di inesorabile, fatale compimento nelle forme della razionalità scientifica, ha finito col diventare una sorta di habitus del pensiero contemporaneo".

Il libro di Cacciari è l’ulteriore, importante tappa di un percorso filosofico di straordinaria profondità, di cui ricordiamo solo alcune opere, tra le più recenti, in stretta correlazione filosofica col libro che intendiamo presentarvi: L’angelo necessario, del 1986 per Adelphi, grandiosa rassegna sul tema del titolo, da Walter Benjamin a Henry Corbin, passando, ovviamente, per Paul Klee e Rilke; Il potere che frena, dedicato nel 2013 al tema cruciale nella teologia politica del katechon, per Adelphi; Labirinto filosofico, del 2014 sempre per Adelphi, che continua la meditazione sull’essente e sulla possibilità del sapere; Generare Dio, del 2017 per Il Mulino, sul tema meraviglioso della maternità del Divino; il bellissimo La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo, incentrato attorno al tema del tragico nucleo “anti-dialettico” del pensiero rinascimentale, pubblicato da Einaudi nel 2019; Il lavoro dello spirito, 2020, ispirato al rapporto tra Scienza e Politica come affrontato da Max Weber, ancora una volta per Adelphi.

Ricordiamo anche il breve e folgorante contributo Tre Icone, pubblicato da Adelphi nel 2007, che anticipa alcune intuizioni “florenskijane”, parlando della sublime icona della Trinità di Andrej Rublev, che trovano più ampio sviluppo nell’ultimo, più vasto e articolato saggio.

Il libro di cui si tratta si intitola, appunto, Metafisica concreta, proprio come Florenskij voleva intitolare l’opera che avrebbe dovuto concludere il suo percorso filosofico.

Un testo di straordinaria densità concettuale, che pretende studio attento e lunga meditazione, su cui ritornerò in maniera più accurata e approfondita in altre sedi, per esplorarne nel dettaglio gli innumerevoli spunti di riflessione.

Per ora, mi limito a riportare una conversazione che ho avuto il piacere di intrattenere col filosofo, che ringrazio della sua disponibilità, sperando che le domande poste e le risposte ricevute possano invogliare i lettori ad avventurarsi nella lettura di un testo, a mio giudizio, molto importante per comprendere il ruolo e il destino della filosofia nel mondo contemporaneo.


Metafisica concreta sarebbe dovuto essere il titolo dell'opera conclusiva del percorso filosofico di Pavel Florenskij. Può delineare qual è, secondo lei, l'importanza e l'unicità del lascito filosofico del grande pensatore russo?

Florenskij è certamente il teologo e il filosofo russo più importante, in generale. La filosofia in Russia comincia a svilupparsi solo in seguito all’influsso esercitato dall’idealismo tedesco nel corso del diciannovesimo secolo e poi del ventesimo. Quindi, la filosofia in Russia non ha una tradizione paragonabile a quella dell’Europa occidentale. In questo periodo, però, nascono dei pensatori formidabili, epigoni dell’idealismo tedesco nelle sue varie versioni (Schelling, Hegel), e che cercano poi anche di ricordare, di rinnovare delle tradizioni religiose e teologiche proprie del popolo russo, anche se in termini completamente originali. Da questo punto di vista il più importante è Solov'èv, tra l’altro un interlocutore privilegiato, forse quasi un maestro di Dostoevskij. Poi, però, di gran lunga il più importante è Florenskij. Insieme, certo, a molti altri, quali Sergej Bulgakov o Berdjaev, che hanno un’importanza europea. C’è poi tutta la filosofia russa dell’emigrazione, che svolge nell’Europa occidentale una funzione molto importante, basti pensare a Sestov o a Kojève. Insomma, il pensiero russo nel Novecento è una componente essenziale della cultura europea. Questo sarebbe bene ricordarselo di questi tempi, in cui sembra che la Russia sia un’Asia lontana… Florenskij, tra questi pensatori, è forse il più importante, perché da un lato riprende da Solov'èv elementi importanti della tradizione russa, ma poi li rielabora in una chiave che è, come sarebbe dovuto intitolarsi il suo ultimo libro, appunto una “metafisica concreta”.

Come spiegherebbe, in breve, a un lettore digiuno di letture florenskijane il solo apparente paradosso concettuale del titolo?

Metafisica concreta, prima di tutto, perché fa i conti con la ricerca matematica e scientifica contemporanea, che sta alla base della scienza contemporanea (la matematica, in particolare, è la disciplina prediletta di Florenskij ed è alla base di tutta la scienza moderna e contemporanea); da una parte, quindi, un’attenzione unica, forse, tra i grandi filosofi europei del Novecento per le discipline scientifico-matematica: gli ultimi filosofi (filosofi, non semplici logici o epistemologi) ad avere dimestichezza profonda con la ricerca scientifica, forse, sono Husserl, per un verso, e Wittgenstein, per l’altro; oltre a questo, Florenskij è importante perché rivendica con forza in tutte le sue opere (per dirla con una battuta, quasi sua citazione) che “sempre lo Spirito si incarna”. Il tema del logos: sempre lo Spirito si incarna, non c’è uno Spirito unicamente “spirituale”, lo Spirito tende a farsi carne, lo Spirito vuole rappresentarsi, vuole incarnarsi, vuole diventare Storia, vuole manifestarsi agli uomini, vuole esprimersi, essere compreso eccetera. Questo fa sì che la metafisica di Florenskij sia concreta, per l’appunto, per una duplice dimensione: concreta perché, da un lato, dentro, intrinseca ai problemi della ricerca scientifica, dall’altro, in quanto il suo elemento spirituale, la rivendicazione della sua spiritualità non è dualistica. Per dirla in una battuta, è tutto un platonismo non dualistico.

Con una definizione di comodo, si potrebbe definire Florenskij una "mente rinascimentale" (per la complessa versatilità dei suoi studi teologici, scientifici e iconografici), eppure la visione del pensatore russo era notoriamente critica nei confronti della grande stagione culturale europea. Come spiegare, sempre rivolgendoci a un lettore novizio, questa posizione e come, se possibile, trovare in realtà un possibile dialogo tra Florenskij con alcune figure nobili dell'Umanesimo (penso a Pico, Ficino, soprattutto Cusano)?

Con Cusano certamente sì. L’Umanesimo che, diciamo così, non piaceva a Florenskij era quell’Umanesimo di cui spesso si è enfatizzato l’aspetto di esaltazione della “dignità dell’uomo” in sé, e non la “divina umanità”. Ma nell’Umanesimo vi è eccome questa idea di “divina umanità”, prima di tutto proprio nel Cusano, che non è certo marginale, è di gran lunga il più importante pensatore del Quattrocento europeo. Al centro della filosofia dell’Umanesimo c’è Cusano, un pensatore che, ad esempio, Cassirer, in una lettura umanistica tradizionale, non coglieva secondo questa dimensione che è propria, invece, di Florenskij. Ma anche in Leonardo vi è un platonismo non dualistico, in Leonardo non vi è affatto pura immanenza, basti pensare a certi suoi scritti sulla Caverna, la sua lode del sole. Si tratta di un platonismo non dualistico, esattamente l’ispirazione che ritornerà in Florenskij. E si ritrova anche nell’arte: Florenskij nel suo grande saggio sull’icona polemizza contro una certa arte dell’Umanesimo occidentale, quella che pensa, attraverso mezzi solamente tecnici, ad una rappresentazione corretta e coerente dell’umano. Ma nell’Umanesimo c’è anche il Beato Angelico! Per qualche aspetto, potremmo dire, c’è anche quell’”icona” di cui parla Florenskij. Quindi, lei ha ragione, il rapporto di Florenskij con l’Umanesimo è molto più complesso di quello che potrebbe apparire sulla base di alcune sue critiche.

In uno dei passi più vertiginosi della sua riflessione confronta le diverse riflessioni di Kant e Nietzsche sulla natura fenomenica del Sé con quelle, altrettanto diverse, di Buddha e delle Upanishad. Qual è secondo lei, in linee necessariamente generali, la differenza tra la riflessione metafisica occidentale e quella orientale?

Come in tutto quello spiritualismo non dualistico di cui abbiamo parlato, certo, è facile trovare un rapporto, come ho indicato, con le tradizioni della grande sapienza indiana. La differenza tra Occidente e Oriente, da un altro aspetto, è radicale e originaria: la filosofia occidentale, si svolge, certo, anche considerando le diverse tradizioni religiose e teologiche, ma in termini del tutto autonomi rispetto ad esse. La radicale laicità del pensiero filosofico e scientifico europeo credo che lo differenzi originariamente dalla sapienza indiana o orientale. Il che non significa, assolutamente, che in essa non vi siano commenti che si articolino in termini logici, sia chiaro, la teologia è un discorso razionale, ma intorno a una Parola che si ritiene in sé è vera. Ma la filosofia questo presupposto non ce l’ha, non può averlo, se non tradendo se stessa.

Nel suo precedente Paradiso e naufragio rifletteva sull'importanza cruciale de L'Uomo senza qualità di Musil come testo, per intenderci ,"profetico" sui nodi irrisolti della crisi dell'Occidente. Può essere la riscoperta della "metafisica concreta" il fondamento di un possibile "rinascimento" (che Florenskij ci perdoni) dell'identità culturale europea, un’identità non in contraddizione con la gloriosa tradizione greco-russa che da Bisanzio passa per i Padri del Deserto e la Filocalia fino a Dostoevskij e a Le porte regali?

Vorrei sperarlo con lei, altrimenti non avrei scritto il libro che riprende il titolo di Florenskij. Credo che la filosofia abbia davanti a sé questo compito, se ancora vuole valere qualcosa: il compito di riprendere il suo discorso propriamente spirituale e incarnarlo in un rapporto con le scienze, in un rapporto con le matematiche, in un rapporto con la tecnica, cercare, attraverso un gioco di analogia e di confronto e di dialogo, di colloquio, di superare le divisioni, le separatezze, le astrazioni (appunto, metafisica concreta!), le astrazioni che dominano nel mondo contemporaneo, nello specialismo che diventa astratto, l’isolamento di ciascuno di noi all’interno di quelle che chiamiamo “discipline”, che sono ordini convenzionali, ordinamenti puramente convenzionali che non hanno alcuna giustificazione spirituale; è l’intero, è l’integro che vale, che è vero. Allora, ognuno di noi, certo, svolgerà alcuni temi specifici, ma sempre nella coscienza di essere una parte del tutto. Questa è la via che potrebbe essere, chiamiamola pure enfaticamente, la salvezza per la cultura occidentale, ma mi pare che stiamo navigando nella direzione opposta.

Personalmente, amo spesso ricordare come le parole chiave della spiritualità delle diverse tradizioni abbiano tutte nell’etimo un significato affine, una comune vicinanza semantica al concetto di unità: yoga dal sanscrito yuj, per Eliade connesso al concetto di “unire”, religione da religio, rilegare, simbolo dal greco symballo, “mettere insieme”, chiesa da ecclesia, assemblea, sinagoga da syn-àgo, condurre insieme, adunare etc.

È il logos di Eraclito: il logos è colligere, unire, collegare, il logos ha esattamente lo stesso etimo e lo stesso significato. Purtroppo, mi pare che navighiamo all’opposto, alla guerra che è all’opposto di questo discorso

Parafrasando un celebre motto alchemico, siamo nella fase del “solve” e non del “coagula”.

Esattamente.