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Il concetto di Patria tra snobismo e populismo

di Maria Micaela Bartolucci - 08/02/2023

Il concetto di Patria tra snobismo e populismo

Fonte: Frontiere

    «Povera patria
    Schiacciata dagli abusi del potere
    Di gente infame, che non sa cos’è il pudore
    Si credono potenti e gli va bene quello che fanno
    E tutto gli appartiene
    Tra i governanti
    Quanti perfetti e inutili buffoni
    Questo paese devastato dal dolore…»[1]

Il termine “patria” ha, in Italia, uno strano destino.
Laddove altri hanno la “grande madre”, noi abbiamo ereditato dal latino “la terra dei padri”, il nostro concetto di “patria” che suona, però, estraneo ed estraniante, mai entrato appieno nel nostro bagaglio ideologico: c’è quasi dell’intolleranza, della ritrosia, una sorta di reazione avversa nei confronti di un termine, “patria”, che non ci è familiare, che è percepito quasi fosse qualcosa che non appartiene appieno alla nostra cultura. Eppure, a ben guardare, storicamente non è così: dalla cultura latina in avanti, il concetto di “patria” è reiterato e, quindi, assolutamente presente nella nostra letteratura e nella nostra tradizione. L’averlo messo nel dimenticatoio e l’averlo lasciato lì a muffire è fatto che appartiene alla moderna sub-cultura, progressista e radical chic, di quella sinistra, accidentalmente, guarda caso, sedicente antifascista, che ha avuto l’ardire di formulare l’assurda equazione patria = fascismo.  Come se questo concetto non appartenesse all’intera storia del nostro paese ma solo ad una parte di essa: intendiamoci, è chiaro che il patriottismo rappresentava uno dei suoi cardini, ma confinarlo a quel periodo storico o, peggio, equipararlo ad esso vuol dire mistificare la cultura italiana e rinnegare le nostre radici.
Quanta stoltezza, quanta becera superficialità, quanto sciatto qualunquismo e quanto calcolo si nascondono dietro una tale forzata assimilazione che, per altro, ancora impantana non solo le menti dei peggiori sinistri ma anche quelle di molti tra coloro che si vorrebbero scevri da tale sovrastruttura ideologica: l’allergia al termine “patria” è trasversale ed anche rigorosamente legata ad un certo snobismo che alberga, in fondo, in fondo nella recondita concezione del mondo di molti intellettuali.
I recenti afflati antieuropeisti hanno fatto riemergere il concetto di “patria” dal luogo recondito in cui era stato relegato negli ultimi trent’anni ed allora è tornato di moda, anche in certi ambiti culturali: rispolverato e tirato a lucido, ha avuto nuovi adepti ma, ciononostante, la detrazione era dietro l’angolo ed ecco infatti che, non appena liberato dalla sua prigione ideologica, ha subito un nuovo affondo, sempre ad opera di illuminati intellettuali che, dopo averlo assimilato al fascismo, si sono affrettati a bollarlo come “populismo”.
Tragico destino quello della “patria”, ieri concetto fascista, oggi populista, sempre e comunque un significato connotato in senso negativo…
Sarebbe bene uscire da questa impasse mistificante e fortemente ideologizzata, stantia ed ormai incongrua, per restituire dignità terminologica ad un significante, “patria”, che da troppo tempo subisce, direttamente o indirettamente, le angherie del pensiero dominante, quindi del liberalismo, anche quando esso veste i panni di una sinistra stracciona, intanto facendo chiarezza su un concetto fondamentale, ovvero che “patria” e “stato” non sono due concetti coincidenti ma ben distinti: la “patria” è, appunto, la “terra dei padri”, quella in cui si sono sviluppate la nostra civiltà e, quindi, la nostra cultura, il secondo, lo stato, coincide, invece, con una sovrastruttura, ovvero con l’amministrazione, nel nostro caso specifico, il liberalismo di cui i governi, che si susseguono senza soluzione di assoluta continuità, sono espressione pura. Non cogliere questa differenza equivale ad una grave superficialità.
Il fine di questa ideologia fantasma che è il liberalismo è il totale smantellamento della nostra civiltà, una civiltà si smantella dalle fondamenta e le fondamenta sono esattamente in quell’insieme di strutture e legami che sono proprie di una nazione, che la identificano come tale e, come tale, la distinguono dalle altre e che hanno nella ”terra dei padri” la propria origine.
Per tutte queste ragioni appare più che mai necessario liberare la parola “patria” da tutte le sovrastrutture ideologiche che le sono state indebitamente messe addosso e tornare al significato originario del termine, senza cadere nella trappola liberale che ne vorrebbe la cancellazione terminologica ma anche, e soprattutto, emotiva affinché qualsiasi afflato venga soppresso e scompaia così, una volta per tutte, l’idea dell’esistenza di una nazione che non sia semplicemente una indecorosa espressione geografica ma che sia invece figlia di una civiltà profondamente radicata, con le sue peculiari fondamenta linguistiche, culturali e spirituali.
Del resto questo è proprio uno dei termini di quel trittico ideologico “Dio, patria, famiglia”, che sia fascista o mazziniano è irrilevante in un tale contesto, preso di mira non solo dalla sinistra ma in particolare dal liberalismo affinché quei concetti, fondamento della nostra civiltà, scompaiano definitivamente da ogni visione del mondo, al fine di poter far spazio all’ambizioso progetto globalizzante che mira alla costruzione di una misera società meticcia, apolide, priva di spiritualità e di legami, prona solo al consumo.
La terra di padri è terra di condivisione di valori e tradizioni comuni, il liberalismo, negando questi concetti, deve negare, al contempo, le unificanti radici comuni e quindi l’appartenenza ad una medesima comunità: questo è l’attacco violento e pernicioso che si sta portando avanti e contro il quale siamo chiamati a combattere con i mezzi che sono in nostro possesso, patrioti non di uno stato purchessia ma di una communitas che ci unisce e ci identifica, al di sopra e al di là della forma governativa che le élite gestiscono.


NOTE

[1] Battiato, F., Povera patria, in Come un cammello in una grondaia, 1991