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Il monito di Draghi: un atto di aperta ostilità contro il governo gialloverde

di Luigi Tedeschi - 17/09/2018

Il monito di Draghi: un atto di aperta ostilità contro il governo gialloverde

Fonte: Italicum

ll monito di Draghi all'Italia nei giorni scorsi “da Italia aspettiamo i fatti, le parole hanno creato danni”, si è rivelato un aperto atto di ostilità del presidente della BCE nei confronti del governo italiano. E' ormai conclamato che l'innalzamento dello spread italiano determinatosi a seguito delle dichiarazioni non ortodosse riguardo l'osservanza dei parametri finanziari della UE del governo gialloverde non riflette i timori dei risparmiatori riguardo la sostenibilità del debito pubblico italiano. Semmai, gli atteggiamenti critici del governo populista italiano costituiscono il pretesto per innescare manovre speculative da parte dei grandi investitori quali sono i fondi di investimento esteri che, vendendo in massa i titoli di stato del debito pubblico italiano provocano rialzi dei tassi di interesse e quindi riacquistano successivamente tali titoli conseguendo rendimenti più elevati.

Tali manovre speculative provocarono la devastante crisi del debito italiano nel 2011. Ma, se veramente sono gli annunci del governo populista a provocare danni all' Italia, in quanto lesivi della credibilità italiana nei confronti degli investitori esteri, non sono ancora più perniciose per l'Italia le recenti le recenti dichiarazioni di Draghi, che costituiscono una aperta manifestazione di sfiducia nel governo italiano da parte del presidente della BCE?

 La BCE non è il debitore in ultima istanza dell'Eurozona

Draghi si affida a Tria, Moavero e soprattutto a Mattarella, quali “garanti” riguardo all'osservanza delle regole di bilancio della UE in prossimità del varo della legge di stabilità per il 2018. Si sa, la commissione europea non farà sconti e il deterioramento della situazione finanziaria italiana, con il debito pubblico in aumento ed il contemporaneo rallentamento della crescita del Pil, costituiscono un valido argomento che indurrà la UE ad un più accentuato irrigidimento finanziario verso un governo populista che ha già suscitato l'avversione di Bruxelles nei confronti dell'Italia in tema di politiche migratorie e in politica estera (vedasi l'azione di contrasto svolta dall'Italia contro l'espansionismo neocoloniale francese in Libia).

Tuttavia l'importanza del discorso di Draghi non risiede nell'esplicito richiamo al rispetto delle regole europee rivolto all'Italia, ma nelle dichiarazioni rese riguardo la fine del QE, che avverrà a fine 2018. L'erogazione di liquidità agli stati dell'Eurozona da parte della BCE si è resa necessaria al fine di far fronte all'innescarsi della spirale deflattiva conseguente alla crisi del 2008 e riportare l'inflazione al previsto 2%. Tale obiettivo è stato raggiunto solo in parte. Secondo le attuali previsioni l'inflazione europea si attesterà nei prossimi tre anni intorno all'1,7%.

Comunque, l'affermazione di Draghi secondo cui “il QE non è uno strumento per garantire che il debito governativo sia finanziato in ogni circostanza”, implica che a tali misure di finanza straordinaria facesse riscontro un programma di riforme economiche strutturali da parte dei paesi dell'Eurozona, con ulteriori tagli drastici alla spesa pubblica, riduzione del deficit pubblico conformemente ai parametri fissati da fiscal compact, politiche di privatizzazione dell'economia e l'abbattimento del debito pubblico degli stati. Un programma cioè, sia pure mitigato dalle misure espansive della liquidità del QE, in perfetta coerenza e continuità con le politiche di austerity che furono la causa determinante della crisi recessiva e dell'ondata deflattiva che ha devastato l'economia di tanti paesi europei. L'affermazione di Draghi ha un significato ben preciso: qualora non fossero messe in atto dagli stati europei tali riforme in senso liberista dell'economia, la BCE non sarebbe disposta a sostenere il debito degli stati stessi.

Ma soprattutto, dall'affermazione di Draghi si evince che la BCE non ha il ruolo istituzionale di debitore in ultima istanza quale garante in ogni circostanza il debito degli stati, come lo ebbero le banche centrali degli stati membri precedentemente alla costituzione della UE.

Le carenze strutturali della UE quindi permangono ed espongono gli stati europei a rischi di crisi del debito dagli esiti imprevedibili. Il monito di Draghi esprime lo stato di subalternità cui è soggetta la politica economica dei governi degli stati verso la BCE.

 L'Europa blindata nei suoi vincoli finanziari uccide sé stessa

 La fine del QE non dovrebbe destare preoccupazioni, qualora si verificasse in una fase di crescita: l'espansione dell'economia potrebbe infatti assorbire gli effetti dell'aumento dei tassi di interesse e rendere sostenibile il debito degli stati. Ma si assiste attualmente ad un rallentamento della crescita mondiale per effetto delle tensioni internazionali dovute alle misure protezionistiche USA, messe in atto con i dazi imposti da Trump sulle esportazioni europee e permane inoltre un clima di accentuata volatilità nei mercati finanziari.

Secondo le previsioni della UE nel 2018 la crescita del Pil italiano sarà dell'1,3% (media europea 2%), per attestarsi nel 2019 all'1,1% (media europea 1,8%). Tali dati sono inferiori alle precedenti previsioni.

L'erogazione di liquidità attuata mediante il QE ha consentito, con i tassi a zero, il ritorno ad una crescita contenuta, ma un rialzo dei tassi, con la fine del QE, in una fase economica dominata dall'incertezza con misure restrittive circa l'erogazione del credito e calo della domanda interna, espone l'Europa e soprattutto l'Italia a rischi di nuove recessioni e accentuati timori circa la sostenibilità del debito.

L'aumento dei tassi, incide positivamente nell'economia e sulla salute del sistema bancario, qualora tale rialzo sia dovuto ad una fase di crescita. Invece, nel caso in cui, in una fase di rallentamento della crescita si verifichi un incremento dello spread e dei tassi di interesse, le banche sarebbero costrette, anche in virtù di una normativa europea assai rigida, ad effettuare misure di ricapitalizzazione che comporterebbero restrizioni nell'erogazione del credito ad imprese e privati, con effetti penalizzanti su economie in cui regna l'incertezza e in cui si avvertono già ora segnali di calo della produzione e della crescita.

I vincoli di bilancio europei non consentono investimenti a lungo periodo con politiche espansive anticicliche che possano far fronte al prevedibile deterioramento della situazione economica. I rischi per l'Italia nel prossimo futuro sono evidenti. L'Europa, blindata nei suoi vincoli finanziari, uccide sé stessa. L'ondata crescente della protesta populista europea ha origini e motivazioni assai profonde, in questa realtà europea socialmente ed economicamente devastata.

 Eurocrazia contro populismo: l'arma della repressione finanziaria 

 In una Europa in cui necessitano lavoro e investimenti, la UE emana solo minacciosi moniti circa l'osservanza dei parametri del debito. L'atteggiamento ostile di Draghi, unito alle ripetute dichiarazioni offensive nei confronti dell'Italia di Macron, Oettinger e Moscovici, sono chiari messaggi di natura politica. L'ostilità europea verso il governo italiano è rivelatrice di una strategia politico - elettorale messa in atto dalla eurocrazia della UE, che avverte chiaramente la minaccia di una vittoria dei partiti populisti - sovranisti alle elezioni europee del maggio 2019.

La UE è un organismo tecnocratico chiuso in sé stesso, che vuole perpetuare il proprio potere attraverso le misure di repressione finanziaria, che ignora la profonda trasformazione in atto delle realtà socio - politiche degli stati europei. Le sanzioni europee contro l'Ungheria di Orban, le minacce di misure finanziarie sanzionatorie verso politiche economiche non conformi alle normative di bilancio europee, hanno solo l'effetto di far crescere la rabbia e la protesta dei popoli contro l'Europa.

Alle elezioni europee di maggio 2019 si assisterà allo scontro tra forze europeiste e forze sovraniste. In questa lunga fase preelettorale comunque, gli europeisti, nonostante il sostegno dei poteri finanziari della UE, non riusciranno a proporre valide ragioni per sostenere l'attuale Europa, come motore di sviluppo, modello di integrazione dei popoli e istituzione indispensabile per la nostra indipendenza, dinanzi a popoli che hanno scontato i devastanti costi sociali dell'austerity e delle crisi del debito.

 

Non si vede come si possa sostenere che la UE sia un organismo istituzionale garante della indipendenza del continente europeo. La UE è una unione economica - finanziaria in cui si è imposto il dominio franco - tedesco sugli altri stati.

 Questa Europa fu fondata in tempi di guerra fredda come organismo inserito nell'Occidente americano in contrapposizione con l'Unione Sovietica. Pertanto la politica estera europea si è sempre svolta (con l'eccezione della politica sovranista di De Gaulle), nell'ambito dell'Alleanza Atlantica. La UE ha infatti condiviso le politiche espansioniste americane in Eurasia, Nordafrica e Medioriente.

 Oggi, a seguito della svolta protezionista e unilateralista dell'America di Trump, la UE si ritrova ad essere emarginata da un Occidente a guida americana in cui questa Europa ha avuto la propria ragion d'essere.

 La UE è disunita, dilaniata da conflitti interni, incapace ad assumere un ruolo indipendente in un mondo divenuto multipolare da cui appare estraniata.

 Le elezioni europee di maggio 2019 potrebbero rappresentare una svolta determinante per il destino dell'Europa. Potrebbe iniziare un lungo processo di transizione che conduca al riscatto dei popoli e alla rifondazione politica e culturale dell'Europa stessa.