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Il serpente del mondo

di Pierluigi Fagan - 11/07/2019

Il serpente del mondo

Fonte: Pierluigi Fagan

(Andremo sull’impervio e sul lungo. Il post non contiene informazioni ma solo riflessioni). L’uroboro è un simbolo di molte cose, molto antico. Consiste in una geometria circolare dove la fine torna a contatto col suo inizio, in genere, un serpente che si morde la coda. Compare in diverse culture, in tempi diversi, con significati diversi, sembrerebbe quindi un caso di “intuizione del mondo”. Con “intuizione del mondo” s’intende cose che la mente umana intuisce nella percezione del mondo, ma poi elabora culturalmente in vari modi. L’intuizione è comune, il suo sviluppo concettuale risente dei diversi ambienti culturali.

Nel tempo, a questa intuizione sono stati dati diversi significati: l'unità, la totalità del tutto, l'infinito, l'eternità, il tempo ciclico, l’eterno ritorno, l'immortalità e la perfezione, l’interconnessione tra micro e macro cosmo. Il biochimico A. Kekulé afferma di esseri appisolato ed averlo sognato e da lì intuì la struttura del benzene, per C.G.Jung era un archetipo fondamentale, in ambito vedico è la forma del ciclo dell’energia (Kundalini) ma anche delle reincarnazioni (Samsara), è presente nella mitologia norrena ma anche nelle narrazioni degli indigeni della fascia tropicale del Sud America, ha assonanze con lo yin e lo yang cinese, spopola nella tradizione ermetico-gnostica-alchemica che parte nell’Egitto di duemila anni fa e si arrampica lungo le spire del neo-platonismo medioevale, per l’Olismo è il simbolo che “Tutto è Uno”. La sua comparsa più antica –tra le conosciute- è nell’Egitto faraonico, circa 1500 a.C..

Per i complessologi è il simbolo del feed-back, quando cioè un sistema retroagisce su se stesso per modificarsi. In pratica è l’intuizione dell’essenza di ogni sistema adattativo. Ogni cosa è immersa in un contesto e con questo deve andare, più o meno, d’accordo. Per trovare questo accordo, le entità adattative, quelle biologiche per lo più ma non solo, tendono ad una doppia azione: a) modificano il mondo al quale debbono adattarsi per farlo conforme; b) poiché a) non riesce mai a compiere il processo del tutto, modificano se stesse (uroboro) per esser conformi al mondo che nel frattempo hanno un po’ modificato. Se l’entità ha svolto bene sia a) che b) allora c’è adattamento che non significa necessariamente accordo ma compatibilità. Se non si svolge bene la sequenza a), b) c’è dis-adattamento e quella che i darwinisti chiamano un po’ stentoreamente “selezione naturale”, ti caccia via dall’essere, il che è assai brutto, essendo l’essere pre-condizione di tutto.

Ora, la cultura umana del lungo tempo delle società complesse ovvero cinque-seimila anni, ha abbandonato le antiche forme sociali basata su i piccoli gruppi variamente adattati al loro ambiente. Non lo ha fatto per piglio, ma per necessità. I gruppi umani, infatti, non erano più piccoli ma grandi per via dell’incremento demografico e della densità abitativa prodotta da vari fatti che qui saltiamo. Le società complesse furono un “adattamento” a diverse condizioni di composizione sia dei gruppi umani, sia dell’ambiente nel quale erano collocati. La forma che queste nuove società si sono date è la piramide, la gerarchia che prevede un solo flusso che dall’alto va al basso ma dal basso raramente torna all’alto. Dagli ziqqurat mesopotamici a Cheope per poi passare alla tetraktys pitagorica e da qui al Platone de la Repubblica, fino ai massoni, passando per le monarchie (zar, khan, imperatori), all’1% vs 99% e le avanguardie leniniste, sono tutte piramidi.

In cima si sono posti, volta per volta, luogo per luogo, ora coloro che prendevano ordine da uno o più dei, ora discendenti di famiglie il cui capostipite era stato “capo”, guerrieri che menavano prima e più forte di ogni altro, detentori di immani ricchezze, funzionari di una ideologia dominante. Spesso, le cinque cose sono andate assieme.

A seconda del loro carattere, la società sottostante è stata ordinata ora dalla religione, ora dalla discendenza etnica, poi di classe, ora dal militarismo, ora dall’economia più o meno di "mercato" o dal capitale, ogni forma accompagnata da una immagine di mondo dominante. Ognuna ha vissuto il suo ciclo vitale: è nata, ha avuto sviluppo, è morta. E’ morta, sempre, perché le ragioni del suo iniziale successo, al mutare del mondo, sono diventate ragioni di insuccesso. La loro sequenza a)-b) non veniva svolta più correttamente e -quasi sempre- il problema era in b). Il sistema voleva solo cambiare il mondo, non se stesso. Questa rigidità, questo non accettare il ritorno dell’informazione sulla relazione che abbiamo col mondo, è sempre stata la prima causa di morte (dis-adattamento) delle società, delle civiltà, delle culture, delle ideologie. Nelle società umane, ciò è dovuto al fatto che i detentori del potere ordinativo che ha funzionato per un certo periodo, si rifiutano di accettare la fine di quel ciclo e la necessità di uno diverso. Il famigerato “interesse particolare” trascina “l’interesse generale” con sé, ciò che era adattativo diventa dis-adattativo e la selezione naturale ti caccia dal gioco.

Noi, credo, oggi si sia in uno di questi passaggi. Il mondo è molto cambiato ma noi continuiamo a presupporre l’eternità delle forme con le quali abbiamo sin qui organizzato la nostra vita associata. Non solo le forme storiche di tempo recente (ad esempio la società ordinata dal fare economico, circa tre secoli), anche quelle di lunga durata (la piramide).

Il mondo diventa molto complesso, noi continuiamo a presupporre che basti il cambiarlo per metterlo d’accordo con noi (stiamo cioè ancora a Prometeo), non accettiamo di dover anche noi cambiare per andare d’accordo con lui, non abbiamo modalità di rientro dell’informazione, ignoriamo volutamente i feedback. Pianifichiamo continuamente l’intervento sull’uomo e sul mondo ma non prevediamo di dover pianificare la pianificazione, la facciamo semplicemente ordinare da ciò che ha “funzionato” negli ultimi secoli, ad esempio il fare economico.

La sfida adattativa di cui qui speso parliamo, è trovare il mondo di far rientrare l’informazione per modificare il sistema, rendendolo adattativo. Certo, va cambiato l’ordinatore economico (e susseguente apparato giuridico-politico-militare ma soprattutto culturale) ma va anche cambiata la forma piramidale. Andrebbe -in teoria- cercata la strada che riproduca in grande la forma organica delle piccole comunità agenti ma flessibili, modificanti ma anche modificabili, “più o meno”. Capire come si potrebbe e dovrebbe fare una società adattativa alla complessità del mondo, è la sfida intellettuale della nostra epoca.