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Infodemia

di Simone Torresani - 01/03/2020

Infodemia

Fonte: Il giornale del Ribelle

Dopo che da una settimana il Paese sta "dando i numeri"(in senso figurato) ora arrivano i numeri veri e sono quelli del disastro economico: otto giorni di straordinaria psicosi e follia hanno provocato già 5 miliardi di euro di perdita nel settore del turismo, che da solo vale il 12,5% del Pil -in certe regioni e zone come la Puglia oltre il 20%- e una contrazione stimata di 22 milioni di turisti in meno per l' anno in corso, senza contare il danno a bar, ristoranti, aziende metalmeccaniche, industrie ora ferme che hanno visto commesse annullate e tant' altro. Il danno è pesantissimo e forse siamo appena all' antipasto, se non al brunch di mezza mattinata. Tutto questo per cosa? Per un ceppo di Coronavirus che provoca una influenza che all' 80% dei casi si risolve senza ospedalizzazione e solo nel 20% può degenerare in polmonite; di questo 20% solo il 2% ha prognosi infausta, mortale e in oltre 9 casi su 10 si tratta di anziani già debilitati e/o pazienti immunodepressi. Praticamente abbiamo più possibilità di crepare per inquinamento atmosferico o di incidentarci in auto, eppure delle migliaia di anziani uccisi lo scorso anno dall' influenza stagionale, che era "virale" solo in senso medico e non informatico, nessuno ne ha parlato. Infatti siamo di fronte ad una pandemia mediatica, non medica. Siamo nel bel mezzo di una infodemia. Termine coniato nel 2003 dagli americani e che la Treccani riassume così: "eccesso di circolazione di informazione, che rende difficile l'orientamento su un determinato argomento(...)anche per la difficoltà di trovare fonti affidabili". Sta facendo più danni l'infodemia del Coronavirus stesso. Il problema è che oggi l'informazione non abbonda ma sovrabbonda e in tali casi strabocca, come un fiume in piena che rompe, sfonda gli argini. Prima un virologo dice una cosa, che viene riportata da mille fonti, tempo dieci minuti e un collega dice l'opposto, riportato da altre duemila fonti che girano, dilagano, si gonfiano, si incanalano in catene social senza controllo. È notizia di giorni fa che la Procura di Milano sta indagando su alcuni audio Whatsapp incitanti a fare accaparramenti nei supermercati, citando come fonte una fantomatica "moglie di un dipendente della Regione". Questa infodemia, aggravata dal proliferare di quei contenitori ad alto tasso di idiozie che si chiamano "social network", ormai assunti a nuovo Vangelo e religione laica dalle masse (qua si parla proprio di masse, dire "moltitudini" sarebbe offensivo) hanno veicolato messaggi non ufficiali, non vagliati, non autorevoli, non scientifici. Vale più una catena audio Whatsapp di fonte ignota che un parere di Burioni, virologo di eccellenza che tutto il mondo ci invidia. Intendiamoci: in questo bailamme l'informazione ha colpe gravissime. Da anni il sensazionalismo ha superato ormai i limiti consentiti, tutto è "eccezionale" ed "emergenza", dalle tre gocce d' acqua al Coronavirus. È divenuta una informazione mirabolante, eccessiva, ridondante, esagerata figlia dell'epoca balorda in cui viviamo. Perché oggi lo sappiamo vi è concorrenza, la concorrenza si batte urlando di più e agitandosi di più, i messaggi devono essere veicolati con strategie di marketing, il cui assunto è facile: titoloni reboanti, tanto la gente non legge il contenuto ma il titolo, più la spari grossa e più fai click. Da una informazione mercificata che volete pretendere? I reportage di Luigi Barzini al bel tempo che fu? Prendete il liquido, aggiungete l'infodemia e il ruolo dei social, il gioco è fatto.

 

Certamente le colpe non vanno ascritte solo agli italiani. Il contagio è partito dalla Cina ove il tasso di mortalità è simile al nostro e le misure ancor più draconiane, le immagini ancor più forti: se noi abbiamo chiuso una piccola zona di paesini, 50.000 anime, loro hanno bloccato Wuhan e l' Hubei: oltre 50 milioni, tanto per dire...Diciamola tutta, il panico non è partito da Codogno, la psicosi -che la Società Italiana di Psichiatria ha definito "irrazionale, immotivata e pure incomprensibile" serpeggiava da almeno un mesetto e passa. Non vogliamo cercare capri espiatori, non è nel nostro stile. Tuttavia considerazioni finali sono necessarie. Viviamo davvero in una società ipertecnologica e globalizzata più fragile del cristallo, come qualcuno ha fatto notare e mai osservazione pare più pertinente. Andiamo in panico per un nonnulla e parafrasando Manzoni (uno che di epidemie se ne intendeva) "basiamo e tremiamo come un pulcin bagnato" al primo soffio di vento. Lo scollamento tra virtuale e reale, tra naturale e artificiale, la mancanza del discernimento intellettuale (è assurdo andare in panico per tassi di mortalità del 2%...la peste bubbonica ne aveva tra il 40 e il 70%), l'ossessione d' aver tutto sotto controllo che provoca al primo piccolo guaio lo scatenarsi irrazionale di comportamenti ansiogeni e irresponsabili stanno toccando punti mai visti prima in passato. Ed è inutile che qualcuno dica: è sempre stato così, citando la "Morte Nera" del 1347-50 e le grandi epidemie di peste e colera dei secoli scorsi sino alla spagnola del 1918-20: il paragone non regge per due motivi. Il primo sono i tassi di mortalità che fanno impallidire il Coronavirus (nel 1347-50 in certe zone europee perirono oltre il 70% degli abitanti, la media continentale fu del 35%) e che fatalmente provocarono collassi dell' ordine economico e sociale, la seconda è che studiando quelle epidemie si capisce come il panico, il collasso, il capro espiatorio, arrivarono in un secondo momento: solo quando la gente moriva si parlava di peste e prima di perdere la testa vi era almeno il tentativo -del tutto logico, secondo la mentalità dell' epoca- di placare il flagello ricorrendo a processioni e funzioni religiose solenni. E siccome la gente credeva, vi era speranza. Solo in ultimo, con tutti i rimedi vani, vi era il caos. Infine nel 1918 rammentiamo che vi era in corso, oltre la spagnola, un'altra sciocchezzuola chiamata "Prima Guerra Mondiale" e nonostante tutto il mondo tirò avanti. Oggi basta solo la semplice paura per saccheggiare i supermercati -con merce deperibile, buona parte della quale finirà in spreco alimentare- Queste riflessioni dovrebbero renderci consapevoli d'aver creato un sistema che sotto una falsa impressione di potenza è in realtà più fragile di una foglia al vento d' autunno. Questo, sì, dovrebbe provocare un certo panico. Non il Coronavirus.