La morte dell'eccellenza: come l'uguaglianza mina la civiltà occidentale
di Chad Crowley - 18/06/2025
Fonte: Giubbe rosse
Non c’è eccellenza senza disuguaglianza.
La fede nell’uguaglianza dell’Occidente moderno, ripetuta come una liturgia in ogni istituzione della vita pubblica, è una rivolta contro la natura, un rifiuto della gerarchia e una guerra contro le stesse condizioni che hanno sostenuto la nostra civiltà. Nonostante tutta la sua ipocrisia, l’egualitarismo non è un trionfo della giustizia, ma una negazione della realtà: un dogma costruito per distruggere la distinzione, cancellare l’ordine e mutilare il bello in nome della mediocrità.
Ogni valore che valga la pena difendere – verità, onore, talento, nobiltà, genialità – presuppone disuguaglianza. Una verità che non può essere detta perché “offende” una sensibilità inferiore cessa di essere verità. Una società che sfigura l’eccellenza in nome dell’equità cessa di crescere. L’uguaglianza, quando consacrata come imperativo morale assoluto, non diventa amica degli oppressi, ma nemica dei migliori. Punisce il merito, sovvenziona la mediocrità e inverte la ricompensa in modo che chi contribuisce meno pretenda di più.
Questo capovolgimento parte dal presupposto che risultati diseguali debbano riflettere un’ingiustizia. Se un uomo prospera mentre un altro fallisce, la causa è considerata “privilegio”, mai carattere, talento o disciplina. Da ciò scaturisce una logica morale che impone la redistribuzione non come beneficenza, ma come restituzione. L’egualitarismo diventa così una forma di furto sanzionato: espropria ciò che si è guadagnato e lo conferisce a chi non ha guadagnato, non per pareggiare i conti, ma per cancellare le differenze. È un sistema di risentimento orchestrato, invidia armata e regressione spirituale.
Eppure il costo di questa falsa aritmetica morale non è solo economico, è di civiltà. Perché, nel tentativo di rendere tutti uguali, deve sopprimere la libertà di associazione, di parola, di impresa e persino di pensiero. In nome dell’equità, la libertà viene strangolata. In nome della dignità, la verità viene imbavagliata. Il risultato non è l’armonia ma la sorveglianza, non la giustizia ma la burocrazia, non la fratellanza ma la paura. Una società non può preservare la bellezza quando teme l’eccellenza; non può preservare l’ordine quando proibisce la differenza.
L’uguaglianza non è giustizia. La giustizia esige proporzione: ricompensa in base al merito, protezione in base al bisogno, rispetto in base alla dignità. L’uguaglianza cancella queste distinzioni. Non chiede se un uomo sia saggio o stolto, solo se sia incluso. Non chiede se una cultura produca grandezza, solo se offenda. Esige che trattiamo il filosofo e il criminale, l’architetto e il vandalo, la madre e la prostituta, il costruttore e il parassita come intercambiabili.
Il progetto egualitario, lungi dall’essere morale, è corrosivo per l’anima. Priva di dignità i forti e di significato i deboli. Non si limita a punire coloro che vengono etichettati come “razzisti”, “privilegiati” o “reazionari”, ma corrompe anche coloro che pretende di elevare. Insegna loro che sono incapaci di eccellere senza intervento, che meritano una ricompensa senza merito e che il giudizio stesso è una forma di oppressione. Promuove la dipendenza al posto dell’autostima e il conformismo al posto del coraggio. Alla fine, spegne le aspirazioni e lascia dietro di sé un mondo appiattito, senza gioia e privo di obiettivi più elevati.
La ricerca dell’uguaglianza ha giustificato ogni forma di tirannia: gulag, purghe, controllo del pensiero, migrazioni di massa e distruzione di nazioni. Afferma di opporsi all’oppressione, eppure ne diventa il servitore più efficiente. Afferma di elevare i deboli, eppure li rende schiavi di un’ingiustizia permanente. Afferma di abolire i privilegi, eppure crea nuove caste di intoccabili e insindacabili. In definitiva, non è una dottrina morale, ma più propriamente una religione totalitaria.
Una società sana non teme la disuguaglianza. La abbraccia, la affina e la indirizza verso ciò che eleva. La disuguaglianza, correttamente ordinata, non è ingiustizia, ma struttura: la radice dell’eccellenza, dell’ordine, della bellezza. Il compito non è rendere gli uomini uguali, ma dare forma alle loro differenze: elevare ciò che è nobile, contenere ciò che è vile e preservare le condizioni in cui verità e grandezza possano ancora manifestarsi.
Nella lotta tra uguaglianza e verità, bisogna sempre scegliere. Non si possono servire entrambe. Servire la verità significa affermare che gli uomini sono diseguali: nella forza, nella mente, nella virtù, nel destino. E da questa diseguaglianza, se correttamente intesa, nascono le condizioni per la civiltà, la fiamma della cultura e la promessa di qualcosa di più elevato del gregge.
Lasciamo che gli egualitari denuncino tali verità come barbarie. Pretendono l’uniformità, perché hanno perso la capacità di riconoscere la bellezza. Lasciamo che si aggrappino alle loro illusioni. Rimarremo saldi nel nostro impegno per l’ordine che ci sostiene, perché se la civiltà occidentale e la sua gente vogliono non solo sopravvivere, ma prosperare, è attraverso la ricerca dell’eccellenza che dobbiamo ascendere, anche se loro precipitano nella mediocrità.
chadcrowley.substack.com — Traduzione a cura di Old Hunter