Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Irrazionalità e diffusione pandemica

Irrazionalità e diffusione pandemica

di Sergio Cabras - 21/03/2020

Irrazionalità e diffusione pandemica

Fonte: Sergio Cabras

Quando si è cominciato a diffondere l’allarme per il Coronavirus ero piuttosto scettico, troppe cose mi sembravano non tornare o, almeno, mi lasciavano perplesso: l’emergenza in Cina è apparsa proprio nel momento di forse maggiore difficoltà per il regime di Xi Jinping, almeno sul piano dell’immagine internazionale, ovvero la vieppiù crescente ribellione di Hong Kong, che era arrivata in quei giorni a riscuotere il sostegno sempre più aperto da parte dell’amministrazione Trump. Il virus ha messo di colpo tutto a tacere. Altro elemento è il fatto che l’origine del virus non è mai stata chiarita e, se volessimo essere “complottisti” non potremmo dimenticare che a Wuhan c’è il principale (se non l’unico) laboratorio cinese di alta sicurezza, inaugurato nel 2017 e creato con l’aiuto della Francia, specializzato nella ricerca sulle fonti virali e sulle armi batteriologiche. Inoltre, ad ottobre 2019, era stato organizzato a New York, da importanti istituzioni internazionali, tra cui la Bill e Melinda Gates Foundation ed il World Economic Forum, l’Event 201: una sorta di confronto di studio / esercitazione di fronte ad uno scenario ipotetico di emergenza pandemica precisamente simile a quella che si è effettivamente verificata (inaspettata?) di lì a tre mesi. Si può pensare a forme diverse in cui si esprime una nuova guerra fredda, oggi che quella armata fino in fondo tra le grandi potenze non è ragionevolmente praticabile. Si può pensare ad errori, a cose sfuggite di mano o la cui “sfuggita di mano” viene sapientemente calibrata. Ma si può naturalmente restare alla spiegazione comunemente accettata dello spillover interspecifico dal mercato degli animali di Wuhan e mettere da parte i “complottismi”, del resto, probabilmente, la verità su questo come su molte altre cose, in quest’era dell’informazione e di libertà di stampa, non la sapremo mai.

Fin dall’inizio, però, mi è sembrato di trovare una sproporzione tra i dati su ciò che effettivamente stava succedendo e l’allarme mediatico che, accompagnandoli, è stato diffuso per questa cosa, anche quando la diffusione era ancora estremamente contenuta, almeno all’esterno della Cina: è vero che si tratta di un virus contro il quale non abbiamo tuttora una cura certa, ma questo vale altrettanto per diverse altre malattie che da sempre esistono nel nostro pianeta (magari limitate a Paesi poveri, però) e l’allarme era già elevatissimo quando il numero delle vittime era ancora di molto inferiore a quelle normalmente causate dalle normali influenze stagionali. Tuttora, sebbene la diffusione sia elevata, la mortalità è molto bassa e limitata a soggetti già affetti da altre patologie e nella fase avanzata, se non finale, della loro vita: leggevo giusto oggi sul sito dell’ANSA che in Italia solo lo 0,8% delle vittime non era portatrice di altre malattie, il 25% lo era di un’altra, un altro 25% di altre due e il 48% di altre tre, mentre solo il 10% dei deceduti a causa del Coronavirus aveva meno di 60 anni di età.
Questo per dire che allora non è nulla di grave? Ovviamente no, però nemmeno dovremmo dimenticare che se in Paesi più poveri ci sono meno morti, nonostante le minori strutture sanitarie, probabilmente è anche perché in tali Paesi, nella maggioranza dei casi, le persone in queste condizioni sono normalmente già morte, senza bisogno del Coronavirus. E può darsi – una ipotesi che avanzo molto sommessamente, da totale profano delle scienze mediche – in parte anche perché in tali Paesi la maggioranza della popolazione, non solo è più giovane, ma è frequentemente a contatto con agenti patogeni e relativamente più scarse condizioni igieniche e per questo è dotata di più forti difese naturali (magari non prende subito antibiotici per ogni stupidaggine); difese spesso sufficienti a debellare un virus che, come questo, oggettivamente, non è di per sé molto pericoloso in termini di mortalità per un organismo umano sano.

Oggettivamente: un modo di vedere le cose che sembra essere una delle vittime principali della situazione creatasi con questo Coronavirus. Ed è su questo, in realtà, al di là di tutte le ipotesi dei possibili “retroscenari” che si sentono, che mi interessa ragionare.

Parallelamente alle misure finalizzate al controllo e l’arginamento del virus messe in atto da, un po’ tutti ormai, i governi nel mondo, ci sono le risposte psicologiche e comportamentali della gente, spesso irrazionali, che vanno dall’enfatizzazione dell’orgoglio nazionale - del tutto fuori luogo di fronte ad un problema che, semmai, dovrebbe avere l’effetto di far cadere le barriere tra i popoli e culture mostrando l’evidenza del nostro appartenere tutti all’unica specie umana – alla pazzesca, immotivata ed assolutamente incomprensibile corsa all’acquisto di armi negli Stati Uniti (francamente, un comportamento proprio di gente che non sa più a cosa attaccarsi).
Ci sarebbero invece diversi elementi oggettivi che varrebbe la pena prendere attentamente in considerazione, anche nell’ottica di trarre qualcosa di buono ed utile da questa sfortunata circostanza.
In primo luogo non si può non rilevare quanto la situazione attuale dimostri fino a che punto ormai l’intero pianeta/umanità funzioni, ma soprattutto possa esser fatto funzionare come un unico organismo e, come tale, possa essere indirizzato in una determinata direzione o progetto. Dimostra come un certo livello di sintonia e coerenza tra le politiche dei vari governi sia possibile ed implementabile nel giro di pochissimo tempo: decisoni politiche e comportamenti simili vengono adottati da Stati normalmente avversari su ogni altra questione. Questa possibilità di indirizzo planetario, una volta che tutti governi (ed i media) del mondo si mettono sullo stesso binario, è in sé preoccupante, ma, visto che è ormai un dato di fatto, potrebbe altrettanto essere colta come una grande occasione, dati i problemi epocali che abbiamo per altri versi di fronte.
Dimostra anche che un certo livello di costo economico, in termini di contenimento delle attività produttive e dei consumi, è tollerabile, anche a livello globale, se le condizioni lo impongono. Quindi, quando si dice che determinate scelte politico-economiche, ad esempio finalizzate a salvare l’ecosistema planetario (e l’umanità, che ne è parte) dagli effetti del cambiamento climatico, scelte che vanno nel segno della Decrescita, non si possono prendere per le loro conseguenze, la situazione attuale mostra che ciò non è vero: se si danno le circostanze, scelte ben più gravi vengono prese.
Ma evidentemente occorre un pericolo di vita o di morte. Ed anche se questo, statisticamente, risulta essere più apparente che reale per la stragrande maggioranza della popolazione – di certo molto ma molto inferiore alle conseguenze che gli scienziati prevedono per il cambiamento climatico, in prospettiva (conseguenze tra le quali, peraltro, può essere compresa, tra l’altro, la diffusione di malattie, vecchie o nuove che siano) – l’evidenza, l’immediatezza con cui si presenta riesce ad ottenere il suo effetto.
Questo a livello macroeconomico, ma anche a livello personale un fatto oggettivo a cui ci si aspetterebbe che molti facessero caso in questi giorni è di quante cose possiamo fare a meno, se necessario o se le circostanze ci portano a ciò. Di quante cose non abbiamo davvero alcun bisogno, e quindi quanti soldi da destinare ai consumi non ci siano veramente necessari. Quanti spazi si aprono, dopo l’iniziale momento di spaesamento, grazie alla momentanea sospensione delle attività consuete, spazi interiori, personali, per un poco di silenzio, per i propri veri interessi, le proprie autentiche passioni, per ciò a cui vorremmo, ma non abbiamo mai il tempo di dedicarci.
La sospensione di molte attività produttive e commerciali, di trasporti, del turismo ecc… ecc… già mostra, come conseguenza – anche dai rilevamenti satellitari – la riduzione dei livelli di inquinamento.
Ora, viene da chiedersi: la situazione attuale data dal Coronavirus ci mette di fronte ad alcune evidenze:
- siamo tutti parte della stessa umanità e tutti viviamo su questo stesso pianeta e siamo soggetti a come esso funziona;
- è chiaro che con tutto il suo sviluppo e la sua tecnologia questa umanità è tutt’ora impotente, quand’è al dunque, di fronte alle forze della Natura: basterebbe che questo virus (un qualcosa di minuscolo, invisibile e nemmeno dotato di vita propria, un nulla rispetto al potere della Natura nel suo complesso) fosse solo un poco più mortale e si adattasse a diffondersi un poco meglio di quanto già fa e moltissimi di noi – e la nostra forma di civiltà, probabilmente – saremmo spacciati;
- d’altra parte vediamo che è effettivamente possibile per i governi dei paesi del mondo muoversi di concerto seguendo politiche analoghe e puntare tutti insieme in una direzione nell’interesse generale;
- ed è possibile accettare e sopportare un certo grado di decrescita economica per un fine più importante (e peraltro qui stiamo parlando di una recessione imposta ed emergenziale, mentre una Decrescita nel senso giusto della parola sarebbe una decrescita selettiva e pianificata, consapevole e, in definitiva, puntata al miglioramento e non all’impoverimento delle condizioni di vita generali);
- è inoltre evidente che la stragrande maggioranza della popolazione è pronta ad accettare e sopportare misure limitative se imposte per valide ragioni, come quella di salvarsi da un pericolo grave, unanimemente presentato come tale da tutti i media;
- e vediamo anche nella nostra esperienza diretta che un tale cambiamento negli stili di vita se chiude alcune possibilità, non manca, di converso, di aprirne altre, magari più preziose, o dotate di maggiore consapevolezza di ciò che è importante e ciò che non lo è.
Allora la domanda è di quelle che vengono spontanee di fronte alla morte, alla sua possibilità, alla sua realtà, di fronte alla nostra finitezza e ai nostri limiti quando li dobbiamo vedere e riconoscere: se abbiamo in noi la capacità di distinguere tra ciò che è importante e necessario e ciò che non lo è; se sappiamo ciò che va fatto e vediamo che abbiamo la capacità di farlo, perché non applicare l’atteggiamento politico che vediamo oggi per il Coronavirus alla questione del cambiamento climatico, dell’inquinamento ambientale, della distruzione della biodiversità? Questi sono problemi che causeranno ben più gravi tragedie, morte, distruzione e crisi di ogni genere. E non solo a noi umani, ma al pianeta nel suo complesso – sebbene ne saremo noi le vittime principali che ben difficilmente si potranno riprendere da tali disastri. Perché allora continuare a vivere come se avessimo poteri sulla Natura che non abbiamo e a raccontarci invece che ciò che dovremmo fare e possiamo fare per rientrare in limiti di compatibilità con Essa (ovvero al nostro posto su questa Terra) è troppo difficile o non ce lo possiamo permettere?
Una domanda su cui riflettere, spero, in questi giorni chiusi a casa, con tanto tempo per meditare.