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L’economia è ciclica e il capitalismo intrinsecamente instabile: il fallimento della scuola di Chicago e il collasso Usa

di Fabrizio Pezzani - 29/10/2025

L’economia è ciclica e il capitalismo intrinsecamente instabile: il fallimento della scuola di Chicago e il collasso Usa

Fonte: Fabrizio Pezzani

Di fronte al caos globale non si possono dimenticare le visioni profetiche ma realistiche di John Maynard Keynes che gli studiosi che hanno continuato a mantenere la sua visione di ciclicità naturale dell’economia hanno rafforzato con le analisi empiriche dei fatti. Se vogliamo sostenere una visione antropologica della crisi non possiamo separare la conoscenza degli strumenti di cui disponiamo da quella dei soggetti che usano tali strumenti per soddisfare i loro bisogni. Quando Keynes afferma che il capitalismo è naturalmente instabile lega la sua osservazione anche alla dinamica della natura umana che fa del capitalismo uno strumento finalizzato al raggiungimento dei desideri. In questo senso non possiamo dire che esiste il capitalismo indipendentemente dalla struttura psichica degli uomini che lo creano e lo governano; in altri termini non esiste il capitalismo come un’entità astratta ma esistono gli uomini capitalisti che forgiano quel modello di relazioni economici all’interno di un sistema sociale. La sua dinamica è in un equilibrio instabile perché non esistono sistemi, anche sofisticati, per definire il concetto di giusto guadagno. Se fosse possibile, solo fermandoci alla determinazione del reddito d’esercizio, definire “razionalmente” e con certezza quanto di questo spetti ai conferenti capitale e quanto invece spetti ai portatori di lavoro, forse si ridurrebbero la gran parte delle lotte sociali. Nella tradizione ebraica l’istituzione dell’anno sabbatico e in quella cristiana l’istituzione del periodo giubilare erano funzionali ad azzerare le posizioni di debito e di credito fra i differenti membri della società; in questo modo si poneva un limite temporale all’accumulazione. Tutto ciò oggi non è più possibile.
Quindi per riprendere la definizione di “società liquida” che usa Bauman per definire un sistema sociale in continuo divenire e difficile da stabilizzare, possiamo estendere lo stesso concetto, oggi, all’economia che, nell’ambito di una società liquida, non può che essere essa stessa liquida. È quindi naturale che l’economia e a maggiore ragione la finanza diventino un sistema perennemente instabile perché non è possibile definire la “misura” nella ripartizione della felicità o della ricchezza, se questa è funzionale a realizzare la felicità. A differenza dei sistemi meccanici o naturali per i quali la misurabilità consente di determinare le leggi fisiche che li regolano evidenziando il rischio di punti o momenti di rottura – la caduta di un grave, la portata di una gru, la combinazione di agenti chimici, la misurazione dei parametri biologici di un organismo – nella società il sistema relazionale di persone diverse la cui componente emozionale e psichica non è misurabile rende impossibile determinare il punto di non ritorno di un processo squilibrante la società stessa. Non è possibile dire quale sia la percentuale di persone sotto la soglia della povertà che rappresenta l’ultimo stadio prima del collasso, non è possibile fare la stessa cosa per la concentrazione di ricchezza, per la disoccupazione, per altre patologie sociali. Semplicemente la società dell’uomo non ha elementi certi e misurabili del suo punto di rottura e tutte le rivoluzioni e le guerre della storia dimostrano l’incapacità di prevedere il tracollo. Se Luigi XVI avesse capito il livello di indigenza della popolazione francese avrebbe mandato carretti di pane e non i fucilieri. Così è stato per la Russia dei Romanov e gli Stati Uniti contro la corona inglese. La storia conferma la visione di Keynes e decreta il fallimento di un liberismo che senza regole morali diventa devastante perché finisce per assecondare la parte più barbara dell’uomo. La scuola di Chicago espressa da Milton Friedman – prese il Nobel nel 1976, due anni dopo quello di Hayek della Scuola di Vienna, che era su posizioni opposte – ha finito per scontrarsi con l’infondatezza delle sue ipotesi in cui la realtà si deve adattare ai modello e il caso del Cile di Pinochet è l’espressione più evidente del macroscopico errore di non considerare la storia e la natura dell’uomo nella vita sociale. Pensare che si possa applicare la stessa ricetta a realtà profondamente diverse come era il caso del Cile che con la sua disparità di ricchezza, con la sua arretratezza culturale non avrebbe mai potuto vestire un modello culturale pensato in una realtà come quella nordamericana. Non è mai l’ignoranza il problema che deve affrontare l’evoluzione della scienza, bensì la supponenza di chi si considera investito dalla verità incontrovertibile; purtroppo, alla fine, è sempre la povera gente che ne paga le conseguenze. I lavori di Posner ma anche di Gary Baker mostrano quanto, anche all’interno del mondo culturale Usa, si stia comprendendo il progressivo sgretolamento di un modello incapace di rispondere ai problemi che ha creato e che, non volendo mettersi in discussione (o non essendone capace), non fa che aumentarli e peggiorali. Il loro richiamo al pensiero di Keynes è sempre più forte e ascoltato. Gli Stati Uniti che hanno sposato indissolubilmente quella cultura facendola diventare verità assoluta sono la rappresentazione estrema della verità tradita: un paese che ha dimenticato i suoi principi costitutivi rappresentati dalle formule E pluribus unum e In God we trust ed è di fronte ad un collasso socioculturale senza precedenti nella sua storia. Avere affidato il futuro alla finanza è stato un suicidio perché alla fine quella falsa verità dei mercati razionali ha finito per spolpare la società dal di dentro e oggi è un gigante con i piedi d’argilla. Oggi gli Stati Uniti, come possiamo vedere, sono un paese socialmente prima ancora che tecnicamente fallito.