Lo sforzo bellico ucraino è totalmente sostenuto dall’estero e ha il “fiato corto”. Mentre l’Europa è spinta sull’orlo del baratro
di Stefano Vernole - 29/10/2025

Fonte: faro di Roma
Lo scorso 9 ottobre il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che rischia di condurre il Vecchio Continente verso un conflitto più allargato e diretto con la Federazione Russa.
In particolare, i deputati europei condannano fermamente le “azioni sconsiderate e inasprite” della Russia, consistenti nella violazione dello spazio aereo di Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania e Romania, Stati dell’UE e della NATO. Denunciano inoltre “le incursioni deliberate di droni contro infrastrutture critiche in Danimarca, Svezia e Norvegia”. Tali azioni, affermano i deputati, rientrano nella “sistematica guerra militare e ibrida e nelle provocazioni della Russia contro l’UE e i suoi Stati membri. La Russia ha la piena e inequivocabile responsabilità delle azioni negli spazi aerei di Polonia, Estonia e Romania. Incoraggiando qualsiasi iniziativa che consenta all’UE e ai suoi Stati membri di adottare azioni coordinate, unite e proporzionate contro tutte le violazioni del loro spazio aereo, incluso l’abbattimento delle minacce aeree”, i deputati accolgono con favore il concetto di un muro di droni dell’UE e le iniziative di sorveglianza del fianco orientale, sottolineando al contempo la necessità di garantire una copertura completa di tutti gli Stati membri che affrontano sfide dirette alla sicurezza lungo il fianco meridionale. Ritengono che “la gamma di attività di sabotaggio e ibride della Russia contro l’UE costituisca terrorismo di Stato, anche se rientrano nella soglia di un attacco armato.
L’UE deve mostrare determinazione e segnalare che qualsiasi Paese terzo che tenti di violare la sovranità degli Stati membri subirà immediatamente ritorsioni”, afferma la risoluzione. I deputati chiedono inoltre al Consiglio e alla Commissione di aumentare l’efficacia e l’impatto delle sanzioni contro la Russia, “per indebolire definitivamente la capacità del Paese di continuare a condurre la sua brutale guerra di aggressione contro l’Ucraina”. Le misure punitive dovrebbero estendersi a tutti gli Stati che consentono le azioni della Russia, come Bielorussia, Iran e Corea del Nord, e i deputati chiedono anche sanzioni contro le entità cinesi che forniscono beni a duplice uso e materiali militari, essenziali per la produzione di droni e missili. Chiedendo un maggiore coordinamento, unità e solidarietà tra gli Stati membri, le istituzioni dell’UE e le strutture della NATO, i deputati insistono sull’urgente necessità di procedere verso una vera e propria Unione Europea della Difesa, basandosi e andando oltre i quadri esistenti, come il Libro Bianco per la Difesa Europea e la Prontezza 2030. Questo progresso dovrebbe andare di pari passo con finanziamenti adeguati nell’ambito dell’attuale e del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale. La risoluzione chiede un sostanziale “rafforzamento della cooperazione in materia di difesa con l’Ucraina”, in particolare per quanto riguarda la tecnologia dei droni e le contromisure, compreso il rafforzamento della cooperazione industriale. Esorta inoltre i colegislatori a finalizzare rapidamente la legislazione sul Programma industriale europeo per la difesa (EDIP). Questo dovrebbe essere utilizzato, insieme allo strumento di azione per la sicurezza in Europa (SAFE), “per stanziare risorse finanziarie per imparare dall’Ucraina e per sostenere l’Ucraina nella guerra con velivoli senza pilota (UAV)” (europarl.europa.eu).
Questa Risoluzione, adottata con 469 voti favorevoli, 97 contrari e 38 astensioni, dimostra quanto le classi dirigenti europee oggi siano distanti dalla realtà e costituiscano un pericolo per i propri popoli.
Innanzitutto, non viene valutato il rischio di escalation bellica alla luce delle nuove misure richieste dai parlamentari; davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (27/10/2025), il Ministro egli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha affermato che qualsiasi aggressione contro Mosca riceverà una “risposta decisiva”, mettendo in guardia contro tentativi di abbattere velivoli nello spazio aereo russo e accusando la Germania (Paese che per uscire dall’attuale recessione ha adottato un’economia di guerra) di retorica militarista.
In secondo luogo, le prove sulla presunta “guerra ibrida” condotta dalla Russia contro UE e NATO sono inesistenti. In diversi casi, è stato dimostrato come siano stati missili o droni provenienti proprio dai Paesi europei a provocare i danni e gli sconfinamenti denunciati nella risoluzione.
D’altronde, quale interesse avrebbe la Russia ad “allargare” il conflitto non avendo ancora raggiunto completamente i suoi obiettivi in Ucraina? E come potrebbe un Paese di poco più di 140 milioni di abitanti pensare di invadere un continente di oltre 450 milioni di persone? Il che, naturalmente, non esclude i rischi di cui sopra; diversi autorevoli analisti hanno sottolineato, anche recentemente, che se la Russia venisse attaccata potrebbe rispondere con l’arma atomica (cfr. Sergej Karaganov, “Limes” 8/2025).
In terzo luogo, estendendo le misure sanzionatorie ai Paesi accusati di sostenere lo sforzo bellico contro la Russia, l’Unione Europea si castra qualsiasi possibilità di migliorare la propria immagine nei confronti del Sud globale e appare sempre più come la depositaria del doppio standard geopolitico che ne sta affossando ogni credibilità a livello internazionale (19 sanzioni contro la Russia, nessuna contro Israele).
In quarto luogo, l’Europa si allinea totalmente alla strategia di “logoramento” della Casa Bianca lanciata dall’Amministrazione Biden e ora ripresa da quella Trump con la fornitura di armi a lungo raggio e missili Tomahawk per colpire le infrastrutture energetiche russe. Tuttavia, secondo l’analisi di settembre 2025 di “The Economist”, l’economia reale russa nel 2025 sta mostrando un rallentamento, con una stima di crescita del PIL intorno all’1,8% (surplus commerciale + 2,2%). Ciò è dovuto al completamento degli investimenti per la SMO, all’alta politica monetaria per combattere l’inflazione e a un rallentamento delle esportazioni di petrolio. Nonostante questi fattori, indicatori come l’occupazione (2,3%), l’attivo della bilancia dei pagamenti (+ 2,2%) e il basso deficit pubblico (-1,7% rispetto al PIL) rimangono stabili e decisamente migliori di quelli occidentali, mentre il PIL è proiettato a crescere nel 2025 rispetto all’Eurozona (ferma ad un misero 0,9%).
Mosca, perciò, dispone ancora di cospicue risorse finanziarie per far capitolare i propri avversari; come spiega Maurizio Boni, ex Generale italiano di Corpo d’armata, la Russia sta vincendo un conflitto ad esaurimento nel quale Ucraina e Occidente non hanno speranze di prevalere: “Zelensky dice che gli ucraini hanno ridotto del 20% le forniture russe di carburante, mentre la stessa stampa ucraina (il Kiyv Independent) ammette che i russi avrebbero ridotto del 50% la produzione di gas ucraina. Cosa ci dicono questi elementi? Mosca sta vincendo una guerra di logoramento: ha messo fuori uso anche il 60% della produzione elettrica ucraina. Anche le incursioni contro le raffinerie russe non bastano a pareggiare i danni inferti al sistema energetico ucraino. Non c’è paragone con la devastazione che i russi hanno provocato sistematicamente, frutto di un intervento che è in atto da tempo. È chiaro che la sconfitta dell’esercito passa anche attraverso il logoramento delle risorse industriali ed energetiche, le risorse del sistema Paese che possono sostenere lo sforzo bellico” (il sussidiario.net, 13/10/2025).
Lo sforzo bellico ucraino totalmente sostenuto dall’estero
Al contrario, secondo il rapporto dell’Ukraine Support Tracker dell’Università di Kiel (12/08/2025), nei primi tre anni Kiev ha ricevuto 267 miliardi di euro di aiuti, per metà in armi e assistenza militare, 118 miliardi come sostegno finanziario e 19 miliardi per aiuti umanitari. I finanziamenti sono venuti più dall’Europa (177,5 miliardi di euro, cfr. consilium.europa.eu) che dagli Usa: 62 miliardi di armi e 70 miliardi di altri aiuti dai Paesi europei, contro 64 miliardi di armi e 50 miliardi di altri aiuti dagli Stati Uniti. Le forniture di armi sono sempre più importanti; prima venivano dagli arsenali delle forze armate occidentali, ora si tratta soprattutto di nuove produzioni delle industrie militari di USA ed Europa. Le armi europee arrivano da forniture dei singoli Stati e dall’European Peace Facility, che mette insieme aiuti militari e armi dei Paesi europei; insieme all’Ukraine Assistance Fund, Kiev ha ricevuto in tre anni da Bruxelles armi per 11,1 miliardi di euro, secondo i dati del Consiglio europeo.
Tra la spesa interna e gli aiuti esterni, si può stimare che i costi diretti della guerra siano stati finora – dal lato ucraino – pari a più di due volte il volume del Pil del Paese. Poi ci sono i sostegni indiretti, molto difficili da quantificare. Le operazioni di guerra dell’Ucraina si fondano su sistemi di “comando, controllo, comunicazione e intelligence” (C3I) che sono nelle mani di Stati Uniti e Paesi europei: l’utilizzo dei satelliti, la ricognizione sui campi di battaglia, la guerra di missili e droni, l’individuazione degli obiettivi da attaccare, la logistica e le forniture, il coordinamento delle operazioni militari sono possibili soltanto grazie all’azione occidentale. In più, si potrebbe considerare il ruolo che il sostegno NATO a Kiev esercita in termini di “dissuasione” da ulteriori azioni militari russe o dall’escalation nelle armi utilizzate.
Tra il 2014 e il 2024 i Paesi atlantici dell’Unione europea hanno visto crescere la spesa militare in termini reali del 66%; nell’ultimo anno, tra il 2023 e il 2024 l’aumento è stato del 17%; nel 2024 la spesa totale è di 346 miliardi di euro, più di tre volte la spesa militare della Russia riportata dai dati Sipri. Con i vincoli che il Patto di stabilità europeo pone alla spesa pubblica, l’aumento dei costi militari è stato pagato dai tagli al welfare – scuola, sanità, ricerca, ambiente, pensioni, con l’inevitabile peggioramento delle condizioni di vita di gran parte della popolazione.
Il caso italiano è clamoroso
Arrivare al 5% significa destinare alle spese militari 75 miliardi di euro in più all’anno, tutti gli anni: una cifra pari a più di metà dell’intero fondo sanitario nazionale, già sottofinanziato e che dovrebbe crescere per l’invecchiamento della popolazione e il maggior costo delle cure mediche.
Mentre la Francia dell’oltranzista Macron si trova alle prese con una crisi politica irreversibile, in Germania il sistema tedesco è in panne soprattutto sull’economia: la perdita del gas russo e i rincari conseguenti dell’energia hanno fiaccato l’industria tedesca (- 4,3% ad agosto 2025, la produzione industriale), l’Italia ha scontato un calo della produzione industriale per 26 mesi consecutivi, una breve risalita e ora una nuova discesa (- 2,4% ad agosto 2025).
Der Spiegel ha intervistato Jorg Kramer, adviser di Commerzbank, il quale ha parlato della probabilità che la Francia stia facendo sprofondare gli europei in una nuova crisi del debito: “La formazione di un governo in Francia fallisce e i mercati finanziari reagiscono nervosamente”, ha detto l’economista. Avvertendo che un debito troppo alto potrebbe minare la stabilità dell’euro. Ma la domanda più importante, che comincia ad avere risposte concrete (e alternative) da parte degli elettori in altri Paesi (si vedano le recenti elezioni in Repubblica Ceca), è se la crisi francese rappresenti una fase di transizione verso nuovi modelli di governance della società occidentale.
Lo stesso recente Vertice di Stresa dei ministri delle finanze del G7 ha ammesso che l’Europa si trova ad affrontare un periodo di stagnazione economica: “La Germania sta attraversando il suo terzo anno di rallentamento.
Nel frattempo, il Regno Unito combatte contro un’inflazione elevata. La Francia, in particolare, si confronta con una stretta situazione finanziaria”. Questo significa che è necessario affrontare le sfide esistenti per poter tornare a una crescita sostenibile: affrontare l’inflazione; rafforzare i bilanci nazionali; promuovere la crescita economica. “I leader europei devono affrontare le crisi sociali e trovare soluzioni efficaci. Solo così si potrà ristabilire la fiducia e garantire la stabilità del continente”: ma come farlo se si combatte una “guerra esistenziale” contro la Russia?
Se poi la U.E. dovesse procedere al sequestro dei beni russi congelati all’estero per finanziare l’Ucraina, come proposto da Ursula Von der Leyen al Vertice di Copenaghen dello scorso 2 ottobre, per rappresaglia Mosca potrebbe nazionalizzare numerosi beni e conti correnti appartenenti a società e agenzie governative straniere. In base ad una legge di recente adozione, i beni nazionalizzati potrebbero essere privatizzati “rapidamente” sul mercato interno, con la possibile compartecipazione di società di Paesi amici (centinaia di aziende occidentali attive in settori che vanno dal bancario ai beni di consumo operano ancora in Russia, tra cui Unicredit, Raiffeisen Bank International AG, PepsiCo e Mondelez international). Gli economisti indipendenti e l’agenzia “Bloomberg” stimano che le entrate potenziali dello Stato russo derivanti da tale privatizzazione non siano inferiori a 250 miliardi di dollari, una cifra quasi paragonabile alla quantità di beni russi attualmente congelati all’estero.
La Russia, che fino al 2021 inviava all’Europa gran parte delle proprie esportazioni di gas, sta riuscendo a diversificare i propri acquirenti, sempre più a Oriente. Pochi giorni fa l’accordo definitivo sul nuovo gasdotto Power of Siberia 2 (materia prima che verrà pagata in rubli e yuan cinesi e realizzato da Gazprom con Cnpc), un colosso che porterà in Cina 50 miliardi di m3 di gas all’anno. A questi si sommano i 38 miliardi già in funzione con il primo Power of Siberia e altri progetti minori. Attorno al 2030 Mosca venderà a Pechino più di 100 miliardi di m3, cioè i 2/3 di quello che un tempo arrivava in Europa.
Per la Cina significa energia a basso prezzo circa 350 dollari per 1.000 m3, meno di quanto oggi l’Europa paga il gas liquefatto che arriva via nave dagli Stati Uniti, nonché lo stesso gas russo che ancora consumiamo. Per la Russia significa aver sostituito buona parte del mercato europeo: “Per noi, invece, significa una sola cosa: bollette più care e industrie meno competitive” (cfr. Demostenes Floros, “Sabato Sera”, 9/10/2025).
Infine, appare lontano anche l’obiettivo di compattare l’Unione Europea nella cooperazione a tutto tondo con l’Ucraina. Se la vittoria di Babis a Praga allinea la Repubblica Ceca alle posizioni slovacche in materia di sostegno militare a Kiev, l’Ungheria appare ancora più ostile alla linea atlantista.
Il Primo Ministro ungherese Orbán ha dichiarato che l’intelligence ucraina si è infiltrata nel partito Tisa e sta fornendo supporto per aiutarli a salire al potere: “Gli ucraini stanno lavorando attivamente per cambiare il potere in Ungheria. I loro servizi segreti sono ovunque qui. Naturalmente, li stiamo monitorando e osservando cosa sta succedendo. Si sono infiltrati nella comunità intellettuale ungherese. Sono penetrati nel consiglio, nei dibattiti politici e hanno un partito. Il partito Tisa è filoucraino, è il loro partito. Ecco perché faranno di tutto per portare Tisa al potere”, ha affermato il Primo Ministro ungherese. Orbán ha anche accusato Kiev di tentativi di infiltrazione in Ungheria da parte di gruppi di sabotaggio ucraini addestrati. Secondo il Primo Ministro ungherese, Kiev intende “portare l’Europa in guerra a tutti i costi”. Inoltre, l’Ucraina “vuole entrare nella NATO e nell’UE, motivo per cui vuole un cambio di governo in Ungheria” (mezha.net, 10/10/2025).
Intanto tedeschi e polacchi litigano sull’inchiesta relativa al sabotaggio del gasdotto Nord Stream, un attentato compiuto dai servizi segreti ucraini con l’evidente sostegno della NATO.
In conclusione, i “mantra politici” lanciati dai commissari della U.E. e dalla maggioranza dei parlamentari conducono ad un calo della spesa sociale in Europa, all’impoverimento dei cittadini europei e, in ultima analisi, a una grave crisi politico-economica. Se la militarizzazione dell’Unione Europea continua e le politiche anti-russe a Bruxelles, Parigi, Londra e Berlino si intensificano, il mondo sprofonderà inevitabilmente nella catastrofe e nella Terza Guerra Mondiale.
Per uscire dall’impasse in cui gli europei sono stati spinti da politici incompetenti, esiste una sola soluzione: un urgente ripristino dei legami economici con la Russia, insieme a una “distensione” militare e politica.
Stefano Vernole, vicepresidente del Centro Studi Eurasia Mediterraneo

