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L’arduo risveglio dello spirito

di Marcello Veneziani - 12/11/2021

L’arduo risveglio dello spirito

Fonte: Marcello Veneziani

Se uno dice oggi spiritualismo, la gente non capisce, qualcuno si mette a ridere. Spiritualismo è diventata una parola incomprensibile, tra lo spiritico, l’arcaico e il conventuale. A parte il riferimento alla spiritualità in ambito religioso o new age, l’unica accezione corrente e comprensibile a tutti resta un genere musicale che evoca lo schiavismo, lo spiritual. Per il resto, sostituito il cristiano Spirito Santo con l’hegeliano Spirito del Tempo, si è via via capovolto in tempo senza spirito. Al più lo spirito è materia per la psicanalisi. Lo spirituale cede allo spiritoso, lo spirito è sinonimo di alcol. Parole che indicavano contenuti, visioni, stati d’animo diventano vuote, insignificanti, perfino grottesche, come se un’ottusità di ritorno avesse chiuso spazi di pensiero, porte dell’anima e campi di valori. Ma spirituale diventa ancor più inverosimile e alieno se correlato alla politica. Che vuol dire spiritualismo politico? Vuol dire farsi guidare nelle scelte e nei comportamenti da una visione spirituale della vita. E opporsi a una concezione materialistica, utilitaristica, opportunistica della politica. In pratica opporsi a un arco pressoché onnicomprensivo della politica contemporanea, dalla sinistra di derivazione radicale e marxista allo scientismo e al liberismo, dal razzismo – che è materialismo biologico, anzi zoologico  ̶  al dominio planetario della tecnica e della finanza.

Le opere disseminate lungo il Novecento da autori e pensatori spiritualisti sono state rimosse e cancellate, come se non fossero mai esistite. Eppure costituiscono un tratto saliente della cultura italiana ed europea del secolo scorso. Lo spiritualismo, anzi, ha permeato il pensiero italiano assai più che il materialismo storico e il radicalismo, ma anche più dell’utilitarismo e del pragmatismo, del liberalismo e degli altri filoni di pensiero scientifici e strutturalisti, analitici ed esistenzialisti. E non solo: per un secolo almeno la scuola pubblica e l’università sono state permeate dall’umanesimo spiritualista. Missione dei docenti era educare i ragazzi a una concezione spiritualista ben riassunta nel dantesco “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”. Non mancava l’abuso retorico e ‘nozionista’ dello spiritualismo in versione scolastica che lo riduceva a manierismo e astrazione.

Lo spiritualismo appare ora un reperto del passato, una traccia storica, affettiva e culturale di un pensiero ormai tramontato, legato ad un tempo ormai improponibile ed esaurito nella gran fiammata del novecento. Si può  parlare oggi di spiritualismo, di visione spirituale della vita? Io credo di sì nonostante tutto, e il naufragio dei pensieri “corretti” e dei canoni ideologici che lo affossarono ne è ulteriore conferma. Anzi, si può arrivare a dire che una visione della vita o ha una sua matrice spirituale o visione non è. L’impresa va tentata; nella peggiore delle ipotesi gioverà almeno allo spirito di chi la tenta, nella migliore lascerà qualche traccia in altre anime e produrrà qualche effetto nel pensiero e nella vita di una civiltà. E, comunque, se l’impresa è ardua e temeraria, è una ragione in più per tentarla. Il risveglio dello spirito nell’epoca degli automi.

C’è una dieta spirituale da consigliare? Lo spirito, dicevamo, è parola desueta, intrusa, se non estinta nel nostro lessico quotidiano. Eppure mai come ora necessaria perché laddove tornano in gioco la vita e la morte, la vecchiaia e la malattia, la solitudine e la solidarietà, come nel tempo interminabile della pandemia, torna l’urgenza di una preparazione spirituale agli eventi e alla nostra vita. E invece, l’ambito interiore è materia di psicologi, psicanalisti e psichiatri. Viene medicalizzata pure la coscienza, ospedalizzata anche l’anima.

È forse la prima volta che davanti al contagio è apparsa del tutto irrilevante il ruolo della religione; in ogni evenienza tragica del passato è sempre stata il rifugio, il conforto, l’invocazione e perfino l’esorcismo per fronteggiare il male o disporsi al rischio mortale. Ora è come se si fosse ritirata dal mondo. Ma la dieta spirituale a cui facevo riferimento non è solo di natura religiosa e confessionale; certo, non può eludere il ruolo della fede, della preghiera e della liturgia ma spirituale allude a una visione della vita, a un rapporto tra i fatti e la nostra interiorità, la relazione tra anima e corpo, il senso della vita e della morte.

La risposta spirituale è riattivare quelle energie e quei mondi che abbiamo atrofizzato nell’indaffarato scorrere dei giorni. Riprendere a fare i conti con la memoria, la storia e i suoi eventi, le aspettative e i progetti, il senso delle cose che durano; applicarsi come un esercizio di attenzione, concentrazione e collegamento con energie spirituali superiori, restituendo un disegno compiuto alla vita. Riprendiamo il filo d’oro dell’amore come nostalgia e lontananza, pathos della distanza.

Il livello spirituale più delicato riguarda il nostro rapporto con la vita e con la morte. Lo eludiamo da tempo, non guardiamo più in faccia la morte.  Dobbiamo rielaborare il rapporto con la morte, riuscire a concepire la nostra scomparsa, sforzarsi di pensare che il mondo non cominciò con noi e non finirà con noi, l’essere sopravanza l’esistere. Acquistare dalla disperazione una fiducia ulteriore che è amor fati e abbandono fiducioso alla sorte, dopo aver fatto tutto quel che potevamo per disporla verso il meglio.

Non sono rimedi, tantomeno soluzioni, ma piccole ed enormi svolte per guardare la realtà con altri occhi. Chi le sta ora indicando non ha raggiunto la saggezza, tantomeno la sapienza, ma è ancora immerso nelle contraddizioni, paure e insofferenze. Però è necessario rianimare la propria vita spirituale, senza farsi succubi del vivere o spenti dalla noia e dalla paura. Cominciate provando a pronunciare la parola spirituale…