Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’Occidente e la sua sfida (II parte)

L’Occidente e la sua sfida (II parte)

di Aleksandr Dugin - 18/10/2018

L’Occidente e la sua sfida (II parte)

Fonte: Ereticamente

La Russia e l’Occidente negli anni ’90
In epoca sovietica, e specialmente durante la guerra fredda, la missione civilizzatrice russa era espressa ideologicamente nella forma della società sovietica. In essa riscontriamo la combinazione classica di opposizione all’Occidente (in questo caso, alla sua ipostasi borghese liberalcapitalista) e adozione di alcune specifiche idee e tecniche occidentali (marxismo). Questo è stato un periodo di tipica alter-modernizzazione, cioè modernizzazione esogena con la salvaguardia dell’indipendenza geopolitica.
Verso la fine del periodo sovietico, la guida politica dell’URSS non era più in grado di comprendere con chiarezza i processi mondiali in atto, in larga parte a causa dell’inadeguatezza della comprensione marxista del vero ruolo e della natura del marxismo medesimo, così come delle vere cause che portarono alla vittoria della rivoluzione socialista in un paese agrario e arretrato (a dispetto di ciò che aveva predetto Marx). Gli intellettuali sovietici ignoravano il carattere nazional-bolscevico (eurasiano) dell’URSS, e ciò li disorientava, impedendo loro di comprendere in profondità le relazioni tra Russia e Occidente. Pertanto, nella tarda e decadente società sovietica era sorta l’idea (suicida) di rivolgersi per un’ulteriore modernizzazione, che appariva in una condizione di stallo, direttamente all’Occidente.
Inizialmente il discorso ruotava attorno alla possibile convergenza dei due sistemi – occidentale e sovietico – con la conservazione dei rispettivi interessi e dei differenti regimi e stili di vita. Ma questa fase ben presto è mutata nella prassi di cedere le posizioni geopolitiche dell’URSS e dei suoi alleati in cambio di strumenti di sviluppo economici e tecnologici. Intraprendendo questo percorso, l’URSS è crollata rapidamente, e i riformatori liberali degli anni ’90 si sono prostrati all’Occidente, riconoscendone incondizionatamente il primato degli interessi e dei valori.
Gli anni ’90 sono stati gli anni dello spostamento della Russia dal lato dell’Occidente, un tentativo disperato di integrazione a tutti i costi. Sono emerse quindi una consolidata tendenza al pentimento per il passato zarista e sovietico, l’imperante imitazione del modello liberaldemocratico in politica e del sistema di mercato nella sua forma neoliberista, la rinuncia alle proprie istanze sia su scala globale che regionale e l’allineamento alle politiche statunitensi.
Tuttavia, contrariamente ai calcoli e alle speranze dei riformatori occidentalisti, questo corso, legato al nome di Eltsin e del suo entourage, non ha prodotto alcun risultato positivo.
 L’Occidente non ha fretta di modernizzare la Russia per due motivi:
il timore che la Russia possa nuovamente intraprendere il percorso di scontro con l’Occidente, ripristinando e rinforzando la sua potenza (l’Occidente è perfettamente consapevole che la Russia non è un paese europeo qualsiasi, ma piuttosto una civiltà indipendente e l’ha sempre considerata tale);
trovandosi in uno stato di transizione verso la postmodernità, l’Occidente stesso ha perso l’interesse ideologico a modernizzare gli altri spazi di civiltà, essendo immerso nella comprensione di nuove sfide.
 L’Occidente ha accolto con favore il repentino indebolimento della Russia, ma non ha creduto nella sincerità e nella fondatezza del suo nuovo corso occidentalista, osservandolo con indifferenza.
Per questa ragione, le relazioni della Russia con l’Occidente negli anni ’90 sono state un completo fallimento. La Russia, sotto il governo dei riformatori filo-occidentali, ha eroso la propria identità, ha perduto la propria posizione nel mondo, ha perso gli amici e ha sacrificato i propri interessi per imitare ciecamente l’Occidente senza alcuna comprensione di ciò che connota il suo sistema valoriale e senza nemmeno rendersi conto della reale natura della società postindustriale e della cultura postmoderna.
L’Occidente, da parte sua, ha fatto il possibile per indebolire ancor di più la Russia, non solo non esultando per il suo nuovo corso ma anzi criticandolo in ogni maniera e ridicolizzandone i modi grotteschi e il sostrato criminale corrotto. In questa situazione, la Russia non solo non ha iniziato un nuovo ciclo di modernizzazione, ma avendo distrutto le vecchie istituzioni e i vecchi strumenti socioeconomici, essa ha semplicemente adottato frammenti sparsi ed eterogenei di postmodernità, trapiantati rapidamente dalle élite, dagli oligarchi e da alcuni segmenti della sottocultura giovanile.
A metà degli anni ’90, sembrava che la Russia stesse cadendo in una nuova spirale di decadimento e disgregazione e che fosse minacciata la sua integrità territoriale (si veda la campagna cecena). L’erosione dell’identità, la mancanza di un’idea nazionale e i fallimenti della modernizzazione hanno portato la Russia sull’orlo della catastrofe. E l’Occidente in tale situazione non solo non è stato d’aiuto, ma ha promosso attivamente lo sviluppo di tendenze e scenari distruttivi.
La NATO si è allargata verso est, colmando i vuoti venutisi a creare in seguito alla ritirata e al crollo dell’URSS. Le reti degli agenti di influenza in Russia hanno continuato ad irretire la popolazione nello spirito del liberalismo e dei valori “universali” (leggi: occidentali). Tutti coloro che cercavano di sollevare la questione degli interessi nazionali della Russia venivano etichettati come “nazionalisti” o “rosso-bruni”.
Oggi possiamo affermare con certezza che le relazioni della Russia con l’Occidente negli anni ’90 sono state disastrose per la Russia, in quanto si sono basate su:
errori grossolani,
calcoli categoricamente errati,
completa incomprensione del reale stato delle cose,
in ultima analisi, diretto tradimento degli interessi nazionali.
 La Russia si stava trasformando davanti ai nostri occhi in una colonia, con l’esogena e frammentaria penetrazione della postmodernità e la graduale perdita di sovranità. A titolo di esempio, il vicepresidente della Duma di Stato e leader del partito “Unione delle forze di destra”, Irina Khakamada, ha seriamente offerto il suo sostegno ad una suddivisione internazionale del lavoro nel “governo mondiale”, che implicava “la trasformazione della Russia in un deposito di scorie nucleari per i paesi più sviluppati”.

La strategia del “Governo mondiale” in relazione all’Unione Sovietica e alla Russia
È significativo che, a partire dal 1980, le principali sedi intellettuali dell’Occidente – l’americano “Council of Foreign Relations” (CFR) e la sua versione ampliata, la “Commissione Trilaterale” (Trilateral) – abbiano attivamente cercato di coinvolgere la dirigenza sovietica nel dialogo, al fine di mitigare lo scontro di civiltà tra “l’Oriente” e “l’Occidente” con promesse di “modernizzazione” e “convergenza” volte a includere parte dell’élite tardo sovietica nel proprio campo concettuale, sulla base della particolare prossimità valoriale delle ideologie sovietica e capitalista, derivanti dall’Illuminismo. Queste organizzazioni svolgono la funzione di incubatori di un “governo mondiale”, di cui esse pianificano l’instaurazione allorché l’Occidente diventerà globale e giungerà la “fine della storia”. È importante notare come il principale gioco concettuale del CFR con la dirigenza politica sovietica abbia ruotato precisamente intorno alla polisemia dei concetti di “Occidente” e “Modernità” (Illuminismo).
Parte della dirigenza sovietica andò in questa direzione, e in URSS, presso l’Istituto di analisi dei sistemi dell’Accademia delle scienze russa (diretto da Dzhermen Gvishiani, ramo dell’Istituto internazionale di analisi dei sistemi applicati IIASA con sede a Vienna) si formò un team dedicato di scienziati, che promuovevano un dialogo attivo con i centri intellettuali dell’Occidente. Di fatto, Mosca acconsentì all’ingresso della delegazione dei suoi rappresentanti – inizialmente nelle vesti di studiosi, analisti e giovani economisti – nel “governo mondiale”. È significativo che a tutto ciò abbiano soprinteso i ranghi più alti nel Comitato centrale del PCUS: A. Yakovlev, E. Shevardnadze, A. Primakov. Ancora più impressionante è la composizione del gruppo dei “giovani economisti”: Y. Gaidar, A. Chubais, G. Yavlinsky, P. Aven. Presso l’Istituto di analisi dei sistemi iniziò la sua carriera anche B. Berezovsky. I membri del circolo di Chubais a San Pietroburgo – G. Glazkov, S. Vasilyev, M. Dimitriev, S. Ignatyev, V. Lyvin, A. Illarionov, M. Manevich, A. Miller, D. Vasilyev, A. Koch, I. Yuzanov, A. Kudrin, O. Dmitrieva – e del circolo di Gaidar a Mosca – K. Kagalovsky, A. Ulyukaev, A. Nechaev, V. Mashits – costituivano un secondo scaglione. La maggior parte dei partecipanti a questa rete del CFR ha successivamente assunto posizioni di primo piano nel governo russo.
Le conseguenze dell’attività del CFR in URSS sono note. Gorbaciov diede il via libera all’orientamento verso la “convergenza” e così iniziò la perestroika. Nel 1989, al Cremlino venne accolta una commissione di rappresentanti di alto livello del CFR, guidata da D. Rockefeller, Henry Kissinger e altri, il blocco socialista si sgretolò, e nel 1991 crollò anche l’Unione Sovietica.
Le strutture del CFR in Russia sono state completamente legalizzate nel 1991 nella forma del Consiglio per la politica estera e di difesa (di cui è stato fondatore nonché presidente onorario S. Karaganov, che figura ufficialmente nel consiglio di sorveglianza del CFR e partecipa ai panel della Commissione Trilaterale), mentre i “giovani economisti” hanno costituito la spina dorsale del governo Eltsin e ne hanno plasmato la base ideologica.
Nelle attività della rete del CFR e delle sue affiliate russe è facile osservare come i modelli concettuali che operano con le categorie di “valori”, “convergenza”, “Occidente”, e “Illuminismo”, possano influenzare attivamente i processi principali della politica mondiale e portare alla distruzione di una civiltà concorrente.

La Russia e l’Occidente nell’era di Putin
 L’avvento al potere di Vladimir Putin ha corretto in modo sostanziale il corso degli anni ’90. Il fattore dirimente è stato la ferma volontà del nuovo presidente di difendere gli interessi nazionali russi. Dal momento che la minaccia più grande per loro proveniva proprio dall’Occidente – in primo luogo, dagli Stati Uniti e dai paesi della NATO – questo ha avuto un impatto immediato sull’aumento delle tensioni internazionali.
Putin ha cambiato corso politico, rafforzando la sovranità e smantellando le strutture di controllo esterno, operanti attraverso i politici liberali, gli oligarchi, i funzionari corrotti e l’intellighenzia metropolitana filo-occidentale.
Da questo momento, il fatto che la Russia abbia i suoi interessi e che questi spesso non coincidano con quelli europei e americani è diventata una verità indiscutibile. Allo stesso tempo, tuttavia, Putin – specialmente nel suo primo mandato presidenziale – ha più volte dichiarato che egli “considera la Russia un paese europeo”, che “condivide i valori occidentali”, e che è “sempre incline a cooperare con l’Occidente”, specialmente quando “i nostri interessi hanno punti di contatto comuni”. In altre parole, egli ha effettuato una svolta a 90 gradi rispetto al modello di relazioni Russia-Occidente del periodo di Eltsin. La politica di affermazione dei propri interessi ha differito radicalmente dalla completa sottomissione dei riformatori liberali alla volontà degli Stati Uniti, ma l’idea di integrare la Russia in Occidente, modernizzandola secondo il copione occidentale, è rimasta intatta.
Allo stesso tempo, Putin ha iniziato a prestare sempre più attenzione alla geopolitica. Egli ha distinto chiaramente due poli nella struttura dell’Occidente, l’Europa continentale e gli Stati Uniti, e ha cercato di avvicinarsi al primo a scapito del secondo. Gli Stati Uniti, parallelamente, hanno accresciuto il sentimento anti-russo nell’Unione Europea attraverso l’euro-atlantismo, utilizzando attivamente i paesi della Nuova Europa per creare un “cordone sanitario” volto a separare la Russia dall’Europa continentale. Successivamente, gli Stati Uniti sono passati alla tattica di accerchiamento della Russia nello spazio post-sovietico attraverso l’organizzazione di “rivoluzioni colorate” (Georgia, Ucraina, ecc.). Il modello geopolitico della politica estera di Putin è stato adeguato alla realtà internazionale, differenziando la politica nelle direzioni europea e americana.
Tutto ciò risulta evidente a livello di interessi, in particolar modo nel caso del partenariato energetico russo-europeo: la vecchia Europa, estremamente interessata al gas e al petrolio russi – di vitale importanza per il suo fabbisogno energetico – spinge per un partenariato pragmatico con noi; gli Stati Uniti d’altro canto cercano di impedirlo in ogni modo possibile. Ma nel complesso, la dirigenza politica russa per la prima volta ha assunto consapevolezza storica degli interessi russi dopo il cupo periodo di delirio tardo sovietico e riformatore-liberale e di aperto tradimento.

La sfida all’Occidente
Durante il secondo mandato presidenziale, Putin è giunto alla revisione di un’altra componente nelle relazioni della Russia con l’Occidente: la questione dei valori. Pur ripetendo le rassicurazioni di “fedeltà ai valori occidentali”, egli ha iniziato a parlare delle differenze nella concezione della democrazia, delle peculiarità nazionali del sistema politico, delle tradizioni russe. Inoltre, bisogna annoverare anche la timida teoria della “democrazia sovrana”.
A livello geopolitico, nel suo famoso discorso di Monaco, Putin ha criticato aspramente la politica internazionale degli Stati Uniti e il progetto di creare un mondo unipolare. In sostanza, egli ha sfidato l’Occidente, nella forma in cui esso si presenta attualmente. E qui ci avviciniamo al limite delle possibili interpretazioni della posizione di Putin. Pur allontanandosi gradualmente dall’occidentalismo incondizionato dell’era di Eltsin, Putin rimane fino all’ultimo momento nel quadro del modello “Russia = paese europeo”. In una prima fase ciò stava a significare: “Russia = grande paese europeo sovrano con i suoi interessi”. In seguito, la sua posizione è diventata ancora più marcata: “Russia = grande paese europeo sovrano con i suoi interessi e con valori specifici e peculiari, che si oppone fermamente all’unipolarismo americano”. Ma qui è insita una contraddizione concettuale: se “Russia = grande paese europeo sovrano con i suoi interessi e con valori specifici e peculiari, che si oppone fermamente all’unipolarismo americano”, allora essa non può essere in alcun modo considerata come un paese europeo, giacché mette in discussione l’universalismo dei valori occidentali (rivendicando una loro originale interpretazione nazionale) e si oppone al modello di civiltà di un mondo unipolare con architettura occidentale-centrica. Non solo, essa non può essere considerata nemmeno come un “paese”, giacché è semplicemente impossibile possedere dei valori peculiari e al contempo far parte di una comune civiltà insieme ad altri paesi; in questo caso, si dovrebbe parlare di civiltà distinta.
È significativo che nei sondaggi condotti regolarmente dal VCIOM (Russian Public Opinion Research Centre), il 71-73% dei russi negli ultimi 10 anni, alla domanda “a suo avviso, la Russia fa parte dell’Europa o di una civiltà – ortodossa o eurasiatica – indipendente?”, abbia sistematicamente risposto “la Russia è una civiltà”. Questa risposta raggiunge un certo consenso tra le masse (il popolo). Ma nell’alta élite politica ed economica le proporzioni sono chiaramente diverse.
La posizione di Putin nei confronti dell’Occidente – così come in una serie di altre importanti questioni politiche – è un tentativo di riconciliare le élite con le masse. Alle masse egli trasmette il richiamo all’identità della Russia, mentre alle élite fornisce rassicurazioni di lealtà verso il corso occidentale e la modernizzazione. Non si può determinare in modo univoco di cosa si tratta: se è una tattica premeditata volta a dissimulare la sua reale posizione o se piuttosto si tratta di un tentennamento tra queste due concezioni: “Russia come paese” e “Russia come civiltà”. Se si osserva l’evoluzione delle sue valutazioni sull’Occidente, si può supporre sia che egli stia gradualmente palesando il suo patriottismo per la civiltà russa rimasto finora velato, sia che l’evolversi di questa tendenza sia dettata da circostanze legate allo sviluppo degli eventi nella sfera internazionale.
Il corso del neoeletto Presidente Medvedev, nel suo insieme, replica le linee di forza fondamentali e i proclami principali del corso di Putin. Il suo atteggiamento nei confronti dell’Occidente è molto simile alla posizione di quest’ultimo: anche Medvedev ha dichiarato che “la Russia è un paese europeo”, ma allo stesso tempo, come il suo predecessore, ha insistito sugli interessi nazionali (e in parte anche sui valori), e ha criticato aspramente gli Stati Uniti e il mondo unipolare.
 
Le reti del CFR durante il periodo di Putin
 Nonostante una significativa correzione dell’atteggiamento nei confronti dell’Occidente nell’era di Putin, è molto significativo il fatto che le reti di influenza principali, stabilite negli anni ’80 dall’Occidente, siano rimaste intatte in Russia durante questo periodo. Sergei Karaganov e altri esponenti del Consiglio per la politica estera e di difesa (SWAP) continuano ad essere figure influenti. Sotto l’egida di Karaganov, nel 2003 esce la rivista “Russia in Global Affairs” (caporedattore F. Lukyanov), un’affiliata della rivista americana “Foreign Affairs” (organo ufficiale del CFR). Il comitato di redazione della rivista include molte persone che ricoprono alte cariche nel governo, nelle aziende, nei partiti politici, ecc. Il Consiglio di amministrazione è guidato dall’oligarca Potanin.
Ufficialmente, gli interessi del CFR in Russia sono rappresentati dal “Gruppo Alpha”: P. Aven e M. Friedman. Grazie agli sforzi di questa struttura, nel tempo hanno visitato la sede del CFR a New York il Ministro della Difesa della Federazione Russa S. V. Ivanov, il Ministro degli Esteri della Federazione Russa S. Lavrov nell’autunno del 2008, e persino il Presidente della Federazione Russa D. Medvedev (durante la riunione dei “Venti”). Le strutture economiche di Aven e Friedman (in particolare, TNK-BP) sono profondamente integrate nell’economia degli Stati Uniti, in quel suo segmento controllato dal gruppo Rockefeller-Morgan, e D. Rockefeller per molti decenni è rimasto il principale ideologo e sponsor del CFR (il CFR stesso è stato creato dai suoi antenati, i banchieri Rockefeller, subito dopo la fine della prima guerra mondiale con il chiaro intento di creare un “governo mondiale”).
Questi esempi dimostrano che l’evoluzione delle opinioni di Putin e Medvedev sulle relazioni della Russia con l’Occidente non ha oltrepassato un certo punto critico, oltre il quale la presenza di reti di influenza dell’“Occidente” in Russia, e in primo luogo ai vertici della sua classe dirigente, diverrebbe un’assurdità inaccettabile. Questo è direttamente correlato alla titubanza dei vertici della dirigenza politica nel riconoscere la Russia come civiltà indipendente e nell’adottare una visione finalmente critica e lucida dell’Occidente. Fintantoché il presidente e il premier della Russia continueranno ad asserire che “la Russia è un paese europeo” (indipendentemente da come essi interpretino queste parole), le strutture di influenza occidentaliste eserciteranno una grande – se non decisiva – influenza sulla sua politica estera e interna.
Oltre all’organizzazione del CFR, gli altri organismi che istituzionalizzano una tale influenza sono quelle piattaforme come l’Istituto per lo sviluppo contemporaneo di Igor Yurgens, il forum Strategia 2020, la Scuola Superiore di Economia, il gruppo di liberali all’interno dell’amministrazione presidenziale, ecc.

Le relazioni tra Russia e Occidente nel futuro
Siamo infine giunti alla parte conclusiva: alle previsioni, ai desideri e alle raccomandazioni concernenti lo sviluppo delle relazioni future tra Russia e Occidente. L’analisi precedente aveva come obiettivo quello di dimostrare quanto sia complicata questa questione, quanti cambiamenti semantici, sfumature, imposizioni di valori diversi e schemi geopolitici esistano. Il concetto di “Occidente” cambia, così come i suoi confini. Non vi è chiarezza nella definizione dell’identità russa, e dunque anche le sfumature delle definizioni e i supplementi alla formulazione principale possono risultare decisivi e trasformare una sconfitta in vittoria o viceversa.
La Russia si trova dinanzi ad un dilemma storico, il cui nocciolo consiste nello sviluppo in una nuova fase e in nuove condizioni del suo rapporto con l’Occidente. La situazione è aggravata dalla profonda crisi economica e, probabilmente, ideologica, che non solo gli Stati Uniti ma tutto il mondo sta attualmente attraversando; un mondo così globalizzato che un guasto nel funzionamento del suo nucleo occidentale provocherebbe il crollo dell’economia di tutti gli altri paesi, o porterebbe quantomeno a danni giganteschi e irreversibili. L’Occidente è diventato così globale, che i problemi al suo centro colpiscono istantaneamente l’intera periferia.
Al fine di elaborare previsioni e strategie per il futuro sviluppo delle relazioni tra Russia e Occidente, è necessario in primo luogo definire alcuni concetti.

Perestroika 2.0: la Russia si integra nell’“Occidente globale”
La posizione teoricamente più coerente in questa situazione sarebbe quella di una ancor più radicale occidentalizzazione: l’Occidente si globalizza, e questo deve essere accettato integrandosi con le sue strutture a qualsiasi condizione – e prima è, meglio è. Se per tale passo è necessario rinunciare alla sovranità, è opportuno che lo si faccia, poiché presto o tardi la globalizzazione trasferirà il potere nelle mani di un “governo mondiale” sovranazionale e bisognerebbe cercare di acquisire voce in capitolo al suo interno piuttosto che entrare in un conflitto perso in partenza. E se attualmente l’economia liberale sta attraversando un momento di crisi, questi problemi in realtà sono solo “dettagli tecnici relativi all’autoregolamentazione del mercato”; sarà il mercato stesso a trovare una via d’uscita dalla crisi. Inoltre, poiché attualmente nessuno offre una chiara e coerente alternativa al liberalismo occidentale (tutte le precedenti alternative contrapposte ad esso hanno fallito), alla Russia semplicemente non resta che condividere con l’Occidente le sue difficolta.
All’incirca in questo modo ragionava M. Chodorkovskij; le stesse posizioni erano sostenute dai membri del partito di opposizione “L’Altra Russia”. Ma soprattutto, anche gli occidentalisti più moderati, appartenenti alla rete del CFR e occupanti posti chiave nell’economia russa e in parte nella sfera politica, mantengono questo punto di vista benché in forma attenuata. E sebbene oggi poche persone esprimano apertamente idee simili, è precisamente questa linea strategica a caratterizzare il blocco economico di governo (A. Kudrin, E. Nabiullina, A. Dvorkovich, I. Shuvalov), gli architetti della politica internazionale russa al Ministero degli Affari Esteri, la MGIMO (Università Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali), l’amministrazione presidenziale, gli oligarchi russi (rappresentati dall’Unione russa degli imprenditori e degli industriali o dall’Istituto per lo sviluppo contemporaneo di Igor Yurgens) e altri segmenti influenti dell’élite russa. La quale, nel complesso, rimane fedele all’Occidente, ne assorbe i valori, custodisce i propri capitali all’estero e inoltre alloggia lì con la propria famiglia, vi trascorre il tempo libero ed educa lì i propri figli. E anche se le figure di Putin e Medvedev dividono nettamente gli occidentalisti russi in due parti (una favorevole nei loro confronti, l’altra fortemente contraria), queste muovono entrambe dal principio dell’inevitabilità della globalizzazione e dell’instaurazione di un “governo mondiale” [8].
Bisogna dire che questa posizione ha un significativo “pregio”: permette di vivere e lavorare per inerzia, senza troppo stress e fatica. Le tendenze della globalizzazione e la costruzione di un mondo unipolare sono sviluppate dall’Occidente sia sotto la spinta inerziale del volano della storia mondiale, sia attraverso l’intenso lavoro svolto per affermare i suoi interessi. I valori e gli interessi dell’Occidente nelle loro caratteristiche di base coincidono; il movimento verso la “fine della storia” è irreversibile, si può discutere solo sulla sua velocità, sulle sue fasi e i suoi dettagli. Sebbene la postmodernità terrorizzi anche alcuni dei suoi seguaci, è inscritta nella logica dei processi sociali, culturali, tecnologici e geopolitici; nessuno può ritardarli né, tanto più, abolirli per decreto. Dunque, gli occidentalisti russi offrono “relax e divertimento”, anche se si tratta di qualcosa di spiacevole o persino mortale per il paese, per le ambizioni del popolo e per la missione storica della Russia.
Essi contestano e ridicolizzano l’esistenza stessa di questa missione, consigliano di ridimensionare le ambizioni del popolo, e affermano che tutto ciò che vi è di spiacevole nell’occidentalizzazione possa essere appianato grazie alla sempre crescente industria dell’intrattenimento, alla propaganda “totalitaria” del glamour e allo show business. Se a seguito della globalizzazione la Russia perisse, i liberali si consolerebbero con il suo “carro funebre”: ciò che conta è solo fare in modo che questa scomparsa sia la più discreta e “confortevole” possibile. La Russia scomparirà, ma la gente – se potrà, ovviamente – avrà la possibilità di integrarsi nell’Occidente globale e, probabilmente, sarà in grado anche di sfruttarne le nuove e numerose opportunità: libertà di movimento e di comunicazione, accesso alla conoscenza, ricerca di lavoro e parità delle condizioni di partenza. E bisogna ammettere che, se si considera la Russia come un paese europeo, i liberali hanno ragione. Dopotutto, gli altri paesi europei stanno già rinunciando gradualmente alla loro sovranità, cedendola – anche se a fatica – a organismi sovranazionali (la burocrazia di Bruxelles), eguagliando giuridicamente le popolazioni indigene e i migranti provenienti da Africa e Asia, cancellando i confini, adottando la lingua inglese e cancellando le radici nazionali, culturali e religiose. Se “la Russia è un paese europeo”, allora, come il resto dei paesi europei, essa deve prepararsi ad essere cancellata dalla faccia della Terra, cedendo il suo posto a una nuova organizzazione globalista. Dopotutto, per l’Europa stessa, l’integrazione è solo una fase temporanea. Seguendo il processo di globalizzazione, il passo successivo sarà l’unificazione del mondo intero in uno “stato unificato” (Stato Mondiale) dove tutti i popoli e i paesi del pianeta cederanno il potere ad un “governo mondiale” (il cui embrione è oggi rappresentato dal CFR o dalla Trilaterale).
Questa tendenza proiettata sulle relazioni della Russia con l’Occidente non è così assurda e marginale, come potrebbe apparire a prima vista dopo l’ascesa dei sentimenti patriottici montati durante l’era di Putin e l’inizio della presidenza di Medvedev (soprattutto dopo il conflitto russo-georgiano verificatosi ad agosto del 2008). L’integrazione nell’Occidente globale (= “civiltà mondiale”) è la soluzione più semplice, che non richiede sforzi. I processi di globalizzazione procedono autonomamente, e anche quei paesi che non accettano i valori del loro contenuto ideologico (per esempio, la Cina e, in misura minore, l’India) cercano esclusivamente di correggere questi processi in loro favore, contenendoli o rallentandoli un po’, conferendo loro un carattere locale specifico, contestandone le sfumature; ma nessuno – tranne i circoli degli islamisti radicali e i movimenti anarchici giovanili antiglobalisti – è costantemente e integralmente contrario. Da questa prospettiva, la partecipazione alla globalizzazione è vista non come una scelta volontaria ma come qualcosa di ineluttabile; non richiede una scelta, in quanto questa è stata già presa per noi dalla logica della storia dell’era moderna, dall’insorgenza della postmodernità e dalla “fine della storia”.
Pertanto, non possiamo non tenere in conto una tale soluzione occidentalizzante. Il regime sovietico, molto più ideologizzato, radicalmente antioccidentale, totalitario e controllato rispetto a quello attuale, è crollato al cospetto di questa inesorabile logica dell’Occidente e ha rinunciato ai suoi principii dinanzi ai convincenti argomenti delle reti di influenza che quest’ultimo aveva creato. Desiderosa di prender parte alla modernizzazione straniera con uno sforzo minimo, l’Unione Sovietica ha pagato il suo errore con la vita. Ma lo shock è stato dimenticato rapidamente, e di fronte ai crescenti problemi potrebbe ripetersi un analogo approccio alle cose basato su perestroika, riforme liberali, riavvicinamento agli Stati Uniti, ingresso nella NATO, abbandono di vasti territori e regioni etnosociali. L’opposizione liberale ne parla apertamente. Ma segretamente la stessa opinione è condivisa anche da una significativa percentuale della moderna élite politica russa. Pertanto, un tale scenario – una immaginaria “Perestroika 2.0” –, nonostante la bassa probabilità che si verifichi nel contesto dell’escalation del moderno patriottismo russo, non può essere in alcun modo escluso.

La Russia e l’Occidente nella teoria eurasista
 Una premessa diametralmente opposta, su cui basare una previsione di sviluppo delle relazioni della Russia con l’Occidente, è la tesi secondo cui “la Russia è una civiltà indipendente”, Russia-Eurasia, uno “Stato-mondo”. In questo caso, il concetto di Occidente (così come quello di modernità e di modernizzazione nelle sue varie forme) – in praticamente tutti i suoi significati, da quello storico al morale e ideologico – è considerato come un concetto negativo, l’antitesi hegeliana, un qualcosa di empio che dovrebbe essere respinto, combattuto, sconfitto, debellato – nel lungo periodo, distrutto. Un tale punto di vista è stato adottato dagli Zar russi del periodo moscovita (i quali vedevano nell’Europa “il regno degli eretici”, “papisti e luterani”), dagli slavofili (in particolare gli ultimi in ordine di tempo), dai populisti russi, dagli eurasisti e dai comunisti (in accordo con la loro particolare ideologica di classe).
Partendo da questa prospettiva slavofila (eurasista), le relazioni della Russia con l’Occidente dovrebbero essere costruite in un modo completamente diverso. Questa posizione può essere definita rigorosamente anti-occidentale. La civiltà russa (ortodosso-slava, eurasiatica) deve quindi intraprendere un’ultima e decisiva battaglia.
Tale atteggiamento porta ad una totale negazione del percorso di sviluppo lungo il quale si è incamminato l’Occidente seguito da coloro che sono entrati – volontariamente o coattivamente (mediante la colonizzazione) – nella sua zona d’influenza.
Il primo (e principale) passo consiste dunque nella negazione dell’universalità dell’esperienza storica della civiltà europea, riducendola ad un caso particolare e contestando la sua pretesa di essere la principale via di sviluppo per tutta l’umanità. Ciò implica né più né meno che una sfida all’intera struttura dell’era moderna, un rifiuto l’Illuminismo e l’equiparazione dello spirito dell’era moderna ad un fenomeno geograficamente e storicamente locale. Se la Russia è una civiltà indipendente, allora la sua logica, i suoi stadi, le sue dinamiche, i suoi obiettivi, i suoi valori e orientamenti possono essere completamente diversi da quelli che caratterizzano il percorso di formazione e sviluppo dell’Occidente. In qualunque modo e secondo qualunque logica l’Occidente vada incontro alla fine della storia, alla società postmoderna e postindustriale, la Russia-Eurasia è perfettamente in grado di dire a tutto questo un sonoro “no!”, respingendolo sulla base dei propri valori, priorità, punti di riferimento, scelte e, in definitiva, interessi.
Questa posizione richiede un ripensamento metafisico dell’identità russa, una immediata elaborazione dell’idea nazionale russa per una nuova fase del suo sviluppo, che poggi su solide fondamenta ideologiche e filosofiche basate su un totale rifiuto dell’Occidente.
Intraprendendo questa strada, è possibile delineare i principii fondamentali a partire dai quali la Russia-Eurasia, la Russia come civiltà, potrà costruire nuove relazioni con l’Occidente.
Il primo e più importante aspetto in queste relazioni dovrà essere un rifiuto totale delle tendenze legate all’“Occidente globale”. L’Occidente è un fenomeno locale e regionale, e tutti i suoi tentativi di presentarsi come un modello universale di sviluppo non sono altro che una rivendicazione razzista e colonialista di predominio sull’umanità. Si deve quindi dichiarare guerra all’universalismo occidentale.
Ne discende un’altra importante conclusione: la modernizzazione, che l’Occidente ha conseguito e ha poi esportato nel resto del mondo, non è un destino già scritto, ma una possibilità che gli altri possono scegliere di abbracciare o meno su base volontaria. In questo caso, la modernizzazione si trasforma non tanto in un oggetto del desiderio quanto in una discutibile avventura, in cui la società sacrifica religione, etica e valori tradizionali per ottenere in cambio benessere e comodità tecniche elevati al valore supremo e al criterio predominante. La modernità – con il suo materialismo, il suo ateismo ed il suo utilitarismo – si presenta come una tentazione attraente ma fatale per lo spirito e l’identità delle culture e dei popoli. La modernità viene così privata del suo valore storico e la società tradizionale – inclusi religione, culti, costumi, ecc. – viene intesa non come qualcosa di obsoleto, caratterizzato da inerzia e superstizione, ma come una libera scelta di una società libera.
L’Occidente ha legato il suo destino alla modernità e alla modernizzazione. Se la Russia è una civiltà indipendente, distinta da quella occidentale, allora può (e dovrebbe) agire diversamente, optando per una società di tipo tradizionale. Ne consegue una conclusione molto importante: modernità e modernizzazione non rappresentano valori assoluti e l’incondizionato imperativo di sviluppo. La Russia è in grado di svilupparsi e vivere secondo la sua logica interna – dettata dalla sua religione, dalla sua missione storica, dalla sua originale e distinta cultura.
La Russia, intesa come civiltà, non solo può ma deve avere i suoi valori, diversi da quelli delle altre civiltà. Pertanto, ha tutto il diritto di creare i propri modelli politici, sociali, giuridici, economici, culturali e tecnologici, senza prestare attenzione alla reazione dell’Occidente (né dell’Oriente).
In termini di politiche concrete, questi principii si traducono in un modello di mondo multipolare, i cui poli non sono i segmenti dell’Occidente globale che si prendono una pausa dalla modernizzazione al solo fine di adeguare più efficacemente le loro società allo standard universale, ma singole civiltà separate che rivendicano una propria comprensione della storia, un proprio particolare tempo storico (ciclico o lineare), una propria ontologia, antropologia, sociologia, politologia, un proprio mondo, che ad altri potrebbe non piacere ma questo non pregiudica nulla.
Nasce così la filosofia fondamentale del multipolarismo, che nega le pretese di universalità del modello occidentale e invita i popoli del mondo non solo a cercare da sé i mezzi di sviluppo, ma anche a definirne gli obiettivi e la direzione.
Se la Russia intraprenderà tale strada e si riconoscerà come una civiltà (come la schiacciante maggioranza della popolazione la riconosce), ciò significherà l’inizio di una crociata contro l’Occidente, la negazione della sua missione universale e, di conseguenza, il rifiuto della modernità e della postmodernità come sua ultima espressione.
Questa posizione non è così inverosimile, anche se attualmente è adottata solo da Iran, Venezuela, Siria, Bolivia, Nicaragua, Corea del Nord, Bielorussia e, cautamente, dalla Cina.
Se la dirigenza politica russa facesse questo passo, proclamando la Russia una civiltà, darebbe il via ad una catena coerente di azioni concrete:
1) la Russia rafforzerebbe le sue relazioni con quei paesi che sfidano radicalmente l’Occidente, la globalizzazione, la modernità e la postmodernità;
2) la Russia inizierebbe a spaccare l’Occidente, rafforzando i suoi legami con l’Europa continentale e cercando di portarla fuori dal controllo degli Stati Uniti;
3) la Russia stabilirebbe un filtro rispetto ai processi di globalizzazione – nel campo della cultura, della tecnologia e dei valori – accettando solo ciò che rafforza il suo potere strategico e bandendo tutto ciò che invece indebolisce, erode e relativizza la sua identità di civiltà.
Una tale svolta porterebbe ad un’escalation nei rapporti con gli Stati Uniti e con tutti gli apologeti dell’“Occidente globale”, ma allo stesso tempo procurerebbe alla Russia miliardi di alleati in quei paesi che vorranno rimanere fedeli ai propri valori e tradizioni, piuttosto che dissolversi in uno “stato mondiale”.
Nessuno può conoscere l’esito finale di questo scontro, dal momento che la posta storica in gioco è troppo alta; scoppierà un’autentica battaglia per il significato della “fine della storia” o, in base al risultato, per la sua ulteriore continuazione. Se verrà costruito un mondo multipolare, la storia continuerà. Altrimenti, la postmodernità regnerà sovrana in modo definitivo e terminerà cedendo il posto alla “post-storia” (questa volta, senza nessuno spiraglio).

La Russia e l’Occidente nell’ottica della moderna potenza russa
Per non indulgere in vuote illusioni e non spacciare desideri per realtà, occorre constatare che oggi il governo russo non è assolutamente pronto a fare una scelta né in una direzione né nell’altra. Né Putin né Medvedev hanno in programma di dissolvere la Russia nell’Occidente o d’altra parte di riconoscere la Russia come una civiltà indipendente, affrontando l’Occidente nell’ultima e decisiva battaglia. Né il governo né la società sono pronti per un passo così drastico.
Prendendo in considerazione la logica di tutto il periodo post-sovietico, è facile notare che dall’occidentalismo sfrenato il pendolo della politica russa si stia costantemente spostando verso il lato opposto. L’intera storia della presidenza di Putin, la sua straordinaria popolarità e il sostegno popolare alle sue politiche testimoniano che l’autocoscienza dei russi è incline a ritenere la Russia una civiltà distinta e a rifiutare l’occidentalismo. E qualsiasi accenno del governo a procedere in questa direzione viene immediatamente salutato con entusiasmo dalle grandi masse. Ma, nonostante ciò, vi è una barriera invisibile che frena gli sviluppi in tal senso. Forse, si tratta dell’efficacia delle attività degli agenti e delle reti di influenza dell’Occidente (in primo luogo, il CFR). O forse, la società non è ancora abbastanza forte da intraprendere un nuovo ciclo di battaglie di civiltà, che – in una forma o nell’altra – i russi hanno combattuto nel corso della loro storia.
In ogni caso, ad oggi la posizione delle autorità russe in relazione all’Occidente (nella sua attuale manifestazione) rimane incerta. Esse hanno respinto il diretto occidentalismo, ma non hanno assunto neppure una posizione alternativa (slavofila, eurasista). Sono in stallo, “bloccate” allo stesso modo in cui talvolta si blocca un computer. Né da una parte né dall’altra.
Abbiamo delineato lo scenario generale per lo sviluppo delle relazioni con l’Occidente, a seconda che prevalga tra i vertici della dirigenza russa una delle due posizioni fondamentali: l’integrazione nell’Occidente globale o la difesa dei valori e degli interessi della Russia come civiltà indipendente in un mondo multipolare.
Al momento, non è stata fatta alcuna scelta. Essa viene posticipata, ritardata in ogni modo. Si ha l’impressione che le autorità russe (Medvedev e Putin) patiscano per la stessa necessità di fare questa scelta, che farebbero tutto il possibile per fare in modo che un’alternativa così rigida non esistesse, per evitarla con una opzione mediana, di compromesso tra l’Occidente e la sua negazione.
La Russia dovrebbe integrarsi e modernizzarsi, ma allo stesso tempo preservare la sua sovranità e la sua identità. Diverse concezioni come quella di “democrazia sovrana” rappresentano un disperato tentativo di riconciliare l’inconciliabile.
Tali indeterminatezze e ambiguità risultano utili per un ampliamento tattico del campo delle possibilità. Ma allo stesso tempo ciò non rappresenta una soluzione al problema, bensì il suo differimento. Questo può avere (ed ha) un effetto positivo per la riconciliazione delle élite occidentaliste con le masse eurasiste (nazionali). Ma presto o tardi una scelta dovrà esser fatta. Le autorità russe sono convinte: meglio tardi.
Probabilmente, esistono specifici motivi che giustificano una tale posizione, ma “tardi” non significa “mai”. Arriverà un momento in cui si dovrà dare una risposta chiara e non ambigua a questo dilemma: dunque, la Russia è un paese europeo o una civiltà indipendente?
Quando Medvedev parla di multipolarismo e critica gli Stati Uniti, si ha l’impressione che egli abbia fatto una scelta a favore della Russia civiltà. Ma successivamente appare in pubblico, accompagnato da oligarchi e agenti di influenza del CFR, e parla di “democrazia e modernizzazione”, sottolineando la determinazione della Russia a diventare parte dell’Occidente globale. Putin agisce esattamente allo stesso modo: egli sconfessa costantemente le proprie direttive ideologiche, mescolando in uno stesso discorso ciò che è inconciliabile e mutuamente esclusivo.
Questa osservazione mostra che le relazioni della Russia con l’Occidente sotto l’attuale amministrazione si svilupperanno in uno spazio intermedio tra due specifiche e distinte posizioni. Invece di un inequivocabile “aut-aut”, che predeterminerebbe nel lungo periodo la logica delle relazioni Russia-Occidente, siamo per qualche tempo condannati a omissioni, esitazioni e silenzi. Le autorità russe non hanno maturato una risposta univoca a questo fondamentale quesito. Probabilmente, la società stessa non l’ha maturata fino in fondo. L’umore delle masse è chiaramente orientato in una direzione mentre l’umore delle élite in un’altra. L’attuale governo russo si basa su un compromesso tra questi due poli.
Finché esisterà questo compromesso, non vedremo una soluzione valida e definitiva. Ciò significa che le relazioni della Russia con l’Occidente si svilupperanno in modo contraddittorio e ambiguo: sia sì che no.
Tuttavia, la crisi economica globale e la logica della globalizzazione, a cui l’Occidente non intende rinunciare, accelereranno oggettivamente (per noi) il processo decisionale. Oltre un certo punto critico non sarà più possibile “menare il can per l’aia”. Le autorità russe dovranno fare una scelta che predeterminerà nel lungo periodo la logica delle relazioni con l’Occidente. È difficile prevedere quando ciò avverrà e che tipo di decisione verrà presa. Ma abbiamo cercato di descrivere quali sono le alternative tra cui si dovrà scegliere.

Posizione soggettiva dell’autore
In questa sezione, il mio compito è stato quello di descrivere, nel modo più corretto e rigoroso possibile, i modelli delle relazioni della Russia con l’Occidente. Pertanto, ho cercato di astenermi da valutazioni e manifestazioni pubbliche di preferenze personali. Tuttavia, in conclusione, non posso esimermi dall’esprimere la mia opinione in merito a quanto è stato esposto finora.

A mio parere:
la Russia è una civiltà indipendente;
l’Occidente e la logica della sua costituzione sono la via per l’abisso;
dietro la pretesa di universalità di quei fenomeni come il progresso tecnologico, la democrazia, l’individualismo e il liberalismo si celano razzismo, supremazia culturale e aspirazioni coloniali;
la “tolleranza” propugnata dall’Occidente è una forma di imposizione aggressiva dei suoi valori a tutte le altre culture e civiltà;
il destino della Russia è quello di difendere la sua identità, di seguire la propria strada, di salvaguardare i propri valori originali (Ortodossia, morale, giustizia, sobornost [9], olismo, ecc.) e di opporsi all’Occidente in tutte le sue forme.

NOTE
[1] Già nel XVII secolo gli autori europei e americani (in particolare i gesuiti) si ponevano la questione se gli indiani nativi appartenessero alla popolazione nativa americana, al genere umano, o se fossero un qualche tipo di animale.
[2] Thomas Barnett. The Pentagon’s New Map: War and Peace in the Twenty-First Century (New York: Putnam, 2004).
[3] Gilles Deleuze. The Logic of Sense (New York: Columbia University Press, 1993). Il concetto di Deleuze di “Aion” (temporalità razionale, comprendente il passato e il futuro, ma non il presente esistenziale) e “Kronos” (temporalità esistenziale, che rappresenta il puro presente); entrambe le temporalità, secondo Deleuze, acquisiscono libertà nella condizione del “rizoma”. Cfr. anche: Alexander Dugin, Post-philosophy (Mosca, 2009).
[4] Francis Fukuyama. Our Post-Human Future: Consequences of the Biotechnology Revolution (New York: Farrar Straus & Giroux, 2002).
[5] Robert Cooper. The Breaking of Nations: Order and Chaos in the Twenty-First Century (New York: Grove Press, 2003).
[6] Robert Kagan. Of Paradise and Power (New York: Vintage Books, 2004).
[7] Alain de Benoist. L’Europe, Tiers-monde, Meme Combat (Paris, 1992).
[8] È facile scorgere questa somiglianza nelle posizioni degli occidentalisti pro-Putin e anti-Putin considerando ad esempio l’evoluzione delle posizioni dell’ex primo ministro Kasyanov o del consigliere presidenziale Illarionov, il quale si è avvicinato con facilità all’opposizione più radicale, ma anche consultando attentamente la lista del comitato di redazione della pubblicazione filoamericana, Russia in Global Affairs, dove i membri dell’opposizione radicale (Ryzhkov, Khakamada) figurano affianco a ministri e alti funzionari dell’amministrazione presidenziale.
[9] Termine teologico russo che equivale a “cattolicità”, ma anche a “conciliarità, unanimità”. Il termine diventa importante nel XIX secolo, quando la chiesa ortodossa, passando attraverso il rinnovamento teologico ed ecclesiologico, si interroga sul significato della vera chiesa. Sobornost è la capacità di partecipare alle decisioni della chiesa da parte di tutti i gradi e le funzioni presenti nella comunità, dal laicato all’episcopato. Tutto ciò in contrapposizione all’autoritarismo cattolico-romano ed all’individualismo protestante. [NdT]
*  *  *
Italian translation of “THE WEST AND ITS CHALLANGE” (ЗАПАД И ЕГО ВЫЗОВ).
Author: Aleksandr Dugin
Translator: Donato Mancuso