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L’uomo rinasce dal sacro

di Luca Leonello Rimbotti - 10/03/2024

L’uomo rinasce dal sacro

Fonte: Italicum

In realtà, la connessione fra arcaico e postmoderno sarebbe sempre possibile, quando ci fosse un’adeguata decisione politica. Secondo Scaligero, l’attualità non è che l’ultimo sbocco del primordiale. E nessuno può invocare l’incompatibilità fra primordiale e futuristico.

La virtù del pensiero sarebbe di creare l’azione. Si tratta di vedere se non sia possibile attuare un collegamento fra la sfera interiore, da cui nasce la volontà, e la decisione, da cui prende vita l’agire. Di solito, nella storia, è nei momenti di tracollo civile, di decadenza politica e culturale, che l’uomo si rivolge all’interno della sua anima, interrogandola circa il senso dell’esistere, chiedendo risposte assolute, e indagando la possibilità di attivare solidarismi protettivi. Quando una società è trionfante, affogata nel benessere, difficilmente sorgono mistiche e profeti. Basta la scienza della quotidianità, che sazia ogni domanda. Basta la contraffazione dello spirito, la superficialità, come è accaduto per la New Age nel mondo occidentale. Lo spirito di un popolo, e anche quello del singolo individuo, aleggiano allorquando si agitano inquietudini e vengono poste domande. La vera antitesi creativa al materialismo profano è la cura dell’anima, l’edificazione di uno spirito artefice.

Le scienze spirituali, in questo senso, hanno sempre costituito una contro-cultura atta alla riedificazione della storia come apparizione del sacro. Soprattutto nella modernità, questa convergenza ha spesso assunto significati di resistenza caratteriale e culturale, in grado di incidere linee di roccia sulle quali costruire l’apparato di una volontà antagonista. Il Novecento europeo ha conosciuto figure che, da Schuré a Guénon, da Meyrinck a Steiner ed oltre, hanno contribuito, sul lato per così dire esoterico, a erigere una barriera – comunque la si giudichi – sulla quale alcune derive della modernità si sono a volte infrante, lasciando non solo testimonianze, ma argomenti, gesti mentali, attitudini ed esempi che in ogni epoca sono patrimonio prezioso della “razza indomabile”.

Un personaggio come Massimo Scaligero, oggi ridotto a nume secondario e quasi settario, lui come tanti altri corrente sul pericoloso crinale delle “nuove spiritualità” corrose dal vizio americano, in quell’ambiguo comparto che è il pensiero esoterico, lo prendiamo come esempio di ciò che potrebbe rappresentare la condizione in cui si trova l’uomo che intende opporre ostacoli al dilagare della Cosmopoli materialista. Si direbbe una faccenda di individualità, di singoli, di avanguardie, ma potenzialmente l’evento della rivolta interiore investe le masse, coinvolge l’intera società barcollante. In effetti, la rivoluzione dello spirito creatore, necessaria sia per sostenere il peso della quotidiana degradazione, sia per pensare di abbatterla, è il primo giro di una ruota confuciana in grado di muovere la storia ed anche di rovesciarla.

La ricerca di una verità assoluta si volge a Oriente. È un classico della modernità europea. Dai tempi di Schopenhauer, questo “ex Oriente lux” ha governato più di una stagione. E proprio “l’Uomo di Luce”, sulle tracce persiane della gnosi illuminante, proprio questo ente trasfigurato è il miraggio che tiene in piedi la volontà creatrice. Scaligero ne rilanciò il significato in un momento di grande scompaginamento, l’immediato secondo dopoguerra. Allora si verificò il congiungersi della richiesta di salvezza, di fuga dal mondo della brama, e l’ingresso in una dimensione di alterità e di liberazione dal bisogno. La virtù “consolatoria” della filosofia, applicata alla catastrofe storica, genera la mistica, lo sappiamo. E Mistica di Luce è stato il pensiero di Scaligero.

Il suo è stato il tentativo – uno dei tanti, nel Novecento, ma uno dei pochi, in Italia – di arginare lo sgretolamento modernista e di innestare sul progresso materiale alcuni tra i più frondosi rami della tradizione. Ma è in grado il pensiero di arrestare il crollo della civiltà nell’incultura? Potrebbe una ritirata tra le pieghe dello spirito costruire una verità ancora nuova?

Tutto ruota attorno al concetto di edificazione. Il pensiero attinto dalle profondità del trascendente può costruire, educare, formare. Su questo punto il procedimento di concentrazione interiore esce dalla fase solipsistica individuale e diviene – può divenire – faccenda comunitaria, di ricrescita di nuove tecniche di apprendimento formativo. La solitudine del saggio, da Zarathustra in poi, accade che possa diventare il quadro di valori di un popolo. Ogni pensiero, che scavi in sé energie, ed ogni religione o religiosità, purché messa a contatto col fuoco dell’azione, può diventare e diventa rivoluzione.  Questo, pertanto, significa che il ritorno alla cura dell’anima non è una fuga nell’irrealtà, nell’intimità, oppure nel segreto dell’arcano, se svolta con l’intendimento della vera metànoia, la sete di cambiamento che cresce, ogni volta che un uomo legge negli occhi del simile i suoi medesimi sogni.

L’Oriente ripensato da Massimo Scaligero intendeva essere una medicina per l’Occidente dissestato dalla liberaldemocrazia e gettato a piene mani nelle fauci del brutale materialismo laico. L’ossessione progressista necessita di un lenimento, e questo potere il saggio lo indica nei procedimenti di rinascita dell’Io. Come sfuggire alla morsa del tempo progredito, che incastra individui e masse nell’angoscia dello smarrimento, a contatto con la violenza nichilistica? Come si fa per non sentire nel cervello e nella carne il sopruso del mondo su di noi? Questa civilizzazione fatta di annientamenti ha un solo avversario: noi stessi e la nostra forza. Scaligero si era formato attraverso Nietzsche, Stirner e Steiner: questo ci dice già tutto. L’uomo rompe la sua catena schizofrenica infrangendo l’incantesimo progressista che l’ha forgiata. L’uomo è potenza, forza, lotta. Egli ha in sé gli strumenti della liberazione. Ecco che, dunque, il pensiero può diventare, e diventa, esercizio, cioè ascesi, di contrapposizione. Ognuno può abbeverarsi alla fonte che gli aggrada. Scaligero, come molti altri prima di lui, nel lungo secondo dopoguerra additò l’Oriente tradizionale in quanto bacino di consapevolezza e di edificazione interiore ancora sufficientemente limpido, poi lo fuse con apporti cristici, con intuiti neopagani, con folgori ermetiche. Anche se quell’Oriente si è nel frattempo ulteriormente contratto, per via della disastrosa occidentalizzazione planetaria, col suo corteggio di profitto, regno del denaro, oblìo dei saperi, dominio tecno-scientista, nonostante il grandeggiare dell’insieme che massacra i retaggi e che si chiama potere mondiale, nonostante questo e l’epocale arretramento del pensiero mitico e trascendente, tutto ciò non è ancora abbastanza per dichiarare l’inanità del perseverare.

La civiltà sorta dalla dialettica socratica e dallo scientismo cartesiano è stata a sua volta distrutta e fagocitata da quella tempesta rovinosa che è l’irruzione mondiale del potere economico sui sostrati cognitivi dell’uomo e sui suoi abituali parametri esistenziali. Davanti a questo assalto, l’uomo cosciente chiede armi di fronteggiamento. La “vitalità trascendente” e il “calore degli istinti” erano secondo Scaligero altrettanti momenti di quel “potere d’amore” che, come una nuova gnosi, doveva rimuovere le pesantezze del presente. Ed ecco il farsi luce, l’avvìo di un potere solare che concresce nel distacco dalla rovina e nella ginnastica/ascesi contemplante il simbolo: qualcosa che si muove e che deriva, anch’esso come l’intera nostra vita, dalla “memoria senziente”, quella sorta di atavismo innato comunitario che ogni individuo può dissotterrare da sé, come un’ascia di guerra[1].

In queste proposte non troviamo impotenza passatista. Troviamo invece la calma determinazione di dissotterrare i tesori dell’autocoscienza. Il riandare verso la sorgente non è oggi il vezzo dell’intellettuale disorganico e neppure il lamento impotente del melanconico: chi vede e tocca e assapora la sorgente compie un miracolo comunitario, egli irradia attorno a sé la forza del sacro. “Un risalire i tempi, controcorrente”, se non sbaglio, diceva Evola. Sapendo unire le cose del mondo a quelle dell’idea iperborea si innesca il potere di questa rivoluzione a espansione: cielo e terra. Lo sporgersi verso i pericoli della trascendenza, la decisione di attivare l’ascesi, queste sono vie del mondo, non fughe dal mondo. Si mette in gestazione la formazione di una specie d’uomo antica e rinnovatrice, si invoca l’avvento di un tipo, cui riservare il compito di distruggere la società dell’usura per dar vita alla società del valore. Pensare trascendente e vivere la vita. Due simboli in movimento. Ciò che Scaligero, a un certo punto, ancora giovanile, della sua maturazione intellettuale, aveva anche tratteggiato in chiave di potere politico organico, che, storicamente, unisce sfera privata e sfera cosmica:

La razza che venera le forze del cielo concepisce una relazione simbolica tra il fuoco del focolare, l’atmosfera e il fuoco solare, onde attraverso la fiamma le offerte si bruciano e sono assorbite dall’etere, grande nume celeste; la razza che adora le forze terrestri comunica con le sue divinità recando offerte nelle grotte e precipitandole negli abissi. Nell’unità olimpico – terrestre, d’origine iperborea, rinnovata da Roma, un motivo simbolico dominante è il “fuoco che riscalda la terra”, la fiamma che arde all’interno del tempio di Vesta: qui è evidente l’incontro dei due simboli e delle due spiritualità che sono i fondamenti metafisici dell’Impero.[2]

Il connubio tra tellurico e uranico è la garanzia che non c’è dissociazione fra sacro e profano.

È questa forse una concezione dell’esistere troppo lontana dalla quotidianità banale della società dell’anarco-liberismo mondialista? Soltanto in apparenza, e soltanto per chi ha smarrito ogni capacità di credere nella possibilità di rovesciare il nulla massificato.

In realtà, la connessione fra arcaico e postmoderno sarebbe sempre possibile, quando ci fosse un’adeguata decisione politica. Nulla esiste di ineluttabile, se non la rassegnazione. Gli antichi culti, per dire, potrebbero anche oggi, e anche domani, riapparire come credibili momenti di reciprocità sociale, di nuovo praticabili. Tradizione sacerdotale e tradizione eroica, in questo senso, secondo il linguaggio delle scienze dello spirito, possono ben convivere con la tecnoscienza di massa e la “megamacchina” produttivista.

Secondo Scaligero, così come secondo le grandi vie dell’Oriente ed anche dell’Occidente metafisico, l’attualità non è che l’ultimo sbocco del primordiale. E nessuno può invocare l’incompatibilità fra primordiale e futuristico. Il discorso ci porterebbe lontano, ma la storia ha più volte dimostrato che l’origine rivive nell’attualità, se solo esiste una volontà – non solo culturale, ma proprio politica – che la evoca. Il mondo del Logos e del Mythos trova la strada sbarrata se la trascendenza si rifugia nelle pieghe dell’intimità individuale; vede aprirsi l’orizzonte se, invece, il sacro dilaga nel mondo come obbedienza alla vita. «La memoria del Logos è il principio della rigenerazione dell’uomo», ha scritto Scaligero. «Ogni volta che lo Spirito incontra l’anima per l’espressione del pensiero, il Logos riluce, ma impercepito». Per invertire la tendenza, e far sì che l’apertura al trascendente venga percepita anche nel bel mezzo del fragore modernista, deve sorgere un pensiero che unifica idea ed esperienza, mondo e sovramondo:

Nei nuovi tempi, la via della donazione della Vita passa per il pensiero: che solo potrà ridestare la vita perduta del sentire. Oggi la possibilità diretta dello Spirito è il pensiero. […] Questo pensiero vuole risorgere dalla sua morte, vuole ritornare vita, Luce di Vita: vuole risorgere come melodia, perché la melodia cosmica è la forza da cui in realtà muove.[3]

Queste non sono cavalcate a briglia sciolta nelle praterie dell’illusione o della sognante divagazione esoterica, ma il prodotto di una fatica anche empirica, fisica, senza la quale non è possibile attaccare il mondo nel quale viviamo, così imponente, così monolitico, neppure dal lato dell’utopia. Tutto si riduce, in fondo, a dar voce a quella particolare razza d’uomini che, nella storia mondiale di ogni epoca, hanno sempre costituito il motore immobile del mutamento e dell’evento: coloro che, per educazione, personale edificazione, santificazione provvidenziale o che altro, custodiscono sempre in sé, in ogni frangente, anche il più apparentemente disperato, il «coraggio dell’impossibile».[4]

 

[1] Cfr. Scaligero, L’immaginazione creatrice [1964], introd. di Pio Filippani Ronconi, F.lli Melita Editori, Roma 1989, p. 27, in cui, richiamandosi alla sostanza di luce dell’essere eterico, Scaligero afferma che nell’uomo si producono immagini che «si traducono in lui immediatamente in sensazioni e in pensieri conformi alla memoria senziente: che è la memoria della razza e del sangue».

[2] Scaligero, La razza di Roma, ed. Mantero, Tivoli 1938, p. 49.

[3] Scaligero, Iside-Sophia, la dea ignota, Edizioni Mediterranee, Roma 1980, pp. 62-63.

[4] Cfr. Aa. Vv., Massimo Scaligero. Il coraggio dell’impossibile, Tilopa, Teramo 1982.