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La barbarie della modernità si chiama specialismo

di Francesco Lamendola - 15/05/2019

La barbarie della modernità si chiama specialismo

Fonte: Accademia nuova Italia

Se dovessimo sintetizzare in una sola parola la dimensione principale della barbarie moderna, diremmo lo specialismo. Barbarie, nel senso di un ritorno a modi di vita che poco o nulla hanno di sensato, di ordinato, di civile; e specialismo nel senso più ampio e comprensivo del termine, cioè non solo nell’ambito tecnico e scientifico, ma in ogni ambito delle attività umane. Ad esempio, il filologo è uno specialista: lo specialista dei documenti scritti; quindi il filologo, quando lavora sul Vangelo, può essere un barbaro quanto un tecnico nucleare che lavora a perfezionare una testata atomica per la distruzione di qualche centinaia di migliaia di esseri viventi. In che senso un filologo può essere un barbaro, se lavora ai testi del Vangelo? Nel senso che il barbaro è colui che non nutre alcun rispetto per la tradizione, anzi, la disprezza e gode nel vederla umiliata e negletta; allo stesso modo, vi sono dei teologi biblisti i quali godono nel “dimostrare”, documenti alla mano, che per duemila anni i cristiani hanno tradotto in maniera sbagliata la Parola di Dio, l’hanno fraintesa grossolanamente, ma ora, per fortuna, sono arrivati loro, a rimettere le cose a posto e restituire alle parole il loro autentico significato. Perché definiamo tutto ciò “barbarie”? Perché una operazione come quella ora descritta sarebbe lecita se applicata alle scienze profane, e anche lì, solo con molte accortezze e con dei precisi limiti. Nessuna scienza ha il “diritto” di rivoluzionare la vita e le convinzioni profonde degli esseri umani, a meno che vi sia l’assoluta certezza che da tale rivoluzione verrà qualcosa di meglio, per essi, e non qualcosa di peggio. Ma poiché una simile valutazione è difficilissima da fare ante rem, a meno di possedere le facoltà chiaroveggenti di un Nostradamus, resta inteso che la rivoluzione è sempre, in linea di massima, un male, giustificabile solo in casi estremi, quando ne va della sopravvivenza del corpo sociale. Una rivoluzione culturale non è un bene, è un male, a meno che sia realmente al servizio del bene e della vita, e non del male e della morte. Il cristianesimo è stato una rivoluzione, ma nel senso positivo del termine: ha sostituito dei modi di pensare e di vivere che erano contrari al bene e alla vita, e ne ha introdotti di nuovi, favorevoli alla vita e indirizzati verso il bene. La cessazione degli spettacoli gladiatori, tanto per fare un esempio, segna questo passaggio da un livello di vita inferiore a un livello superiore; da una morale grossolana, fondata sulla crudeltà e il sadismo, a una morale elevata, fondata sulla benevolenza e il perdono delle offese.

 

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Nessuna scienza ha il “diritto” di rivoluzionare la vita e le convinzioni profonde degli esseri umani, a meno che vi sia l’assoluta certezza che da tale rivoluzione verrà qualcosa di meglio, per essi, e non qualcosa di peggio.

 

E ora torniamo agli specialisti. Essi, nella società moderna, hanno preso il timone del progresso: sono loro che decidono in che direzione deve andare l’intera società. A rigore, essi non lo sanno, per la semplice ragione che non rientra nei loro scopi e meno ancora nei loro interessi, posto che ne abbiano. Lo specialista è un signore che possiede la capacità di studiare e approfondire un singolo ambito del reale con metodi più efficaci ed esatti di chiunque altro, e il cui lavoro, sommato a quello di migliaia di altri individui come lui, effettivamente determina lo sviluppo e il progresso dell’intero corpo sociale; ma egli, quanto a sé, può essere, e generalmente è un colossale ignorante per tutto ciò che riguarda gli altri ambiti del sapere. Nove volte su dieci lo specialista di elettronica non sa nulla di filosofia o storia dell’arte; anzi, nove volte su dieci lo specialista non sa nulla neanche della scienza di cui si occupa, perché, specializzandosi, egli ha rinunciato a coltivare lo studio delle altre parti. In definitiva, è un colossale ignorante riguardo al novantanove per cento del sapere; però, in quell’uno per cento cui si è dedicato, nessuno ne sa più di lui. E ciò lo rende fiero e orgoglioso; lo gonfiano di superbia le applicazioni delle scoperte che egli riesce a fare, con l’ausilio della tecnica, seguendo una strada collaudata, nella quale non vi è posto per la genialità, intesa come pensiero creativo. In definitiva, il vero specialista è non solo un colossale ignorante e un colossale presuntuoso, ma anche un colossale stupido, perché crede di sapere, mentre non sa nulla, se non quell’uno per cento in cui non teme rivali. Ma l’uno per cento è troppo poco per alimentare una vera intelligenza: può alimentare solo un tecnicismo fine a se stesso. Infatti un tecnico non si chiederà mai quale impatto avranno le sue scoperte sulla vita degli altri; al massimo si preoccupa di quale impatto avranno sulla sua, nel senso di recargli fama, soldi, potere. Tornando all’esempio del filologo neotestamentario: a lui non importa se duemila anni di Tradizione hanno avvalorato una certa interpretazione del Vangelo; a lui importa solo l’assoluta esattezza della sua disciplina. Quindi, le proposte che sarà portato a fare, nel senso di perfezionare e aggiornare la traduzione della Scrittura, saranno formulate in base a dei criteri meramente scientifici, che non si curano per niente della fede di milioni di persone. Se ciò sia un bene o un male, se sia giusto o sbagliato, lasciamo giudicare a ciascuno per proprio conto. Noi ci limitiamo ad osservare che il tecnico tende a impadronirsi della direzione di qualsiasi ambito dell’esistenza: e come una innovazione tecnologica cambia, da un giorno all’altro, la vita materiale di moltissime persone, così una riforma di tipo filologico può esercitare un influsso incalcolabile sulla fede. Tali influssi non potranno mai essere buoni: perché, di fatto, essi vanno nella direzione di porre la Parola di Dio sotto la tutela della sapienza umana; peggio: sotto la tutela di quell’uno per cento di sapienza, e novantanove per cento d’ignoranza, che è proprio di quel particolare tipo di specialista che è il filologo.

 

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Lo specialista è un "Saggio-ignorante", cosa oltremodo grave, poiché significa che è un tipo il quale si comporterà, in tutte le questioni che ignora, non già come un ignorante, bensì con tutta la petulanza di chi nei suoi problemi speciali è un saggio…

 

Il filologo sarà allora un barbaro che disprezza la Tradizione perché si fida esclusivamente del suo sapere tecnico. Esiste una conflittualità di fondo tra costui e l’uomo di fede: perché la fede ha a che fare con l’eterno, la filologia con il tempo e la storia. Cambiano i tempi, sopraggiungono nuove scoperte, e la filologia cambia la traduzione di una parola, di una frase, di una pagina del Vangelo: ma il significato del Vangelo va assai oltre il suo senso immediato immediato. È questo che non vogliono capire i fautori di una riforma liturgica come quella di Paolo VI del 1969, con la nuova Messa: non si tratta solo di cambiare delle forme esteriori, ma di por mano a una riforma della dimensione più intima della fede, che nella liturgia trova espressione. La quale liturgia si chiama sacra non solo perché ha per oggetto il sacro, ma anche perché affonda le sue radici nella Tradizione, che è sacra, perché viene direttamente da Dio. La cosa essenziale non è che il fedele pronunci una parola filologicamente esatta, come sarebbe auspicabile in un’accademia scientifica, ma che la liturgia lo predisponga a un atteggiamento di fede.

 

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Perchè gli effetti del progresso scientifico sono: "Auto-evidenti, non necessitano di conferme, perché si giustificano da sé"; mentre quelli di ordine spirituale e morale sono inchiodati alla cultura del relativismo, la quale pretende che ogni verità soggettiva abbia la sua dignità e che nessuno presuma di trovare la verità in se stessa, a esclusione delle altre?

 

Intanto, giorno per giorno, l’incessante lavoro di ricerca dello specialista fa cambiare aspetto al mondo in cui viviamo. Progrediscono le conoscenze, progredisce la capacità umana di dare ad esse applicazione per eseguire dei lavori utili, ad esempio per costruire ponti più audaci, per debellare malattie, per inviare missioni spaziali su qualche pianeta; e da ciò si presume che l’intera società goda di un progresso, naturalmente senza chiarire se il progresso tecnico-scientifico sia il progresso tout-court, perché la costruzione di ponti sempre più grandi, la lotta vittoriosa contro le infezioni batteriche e il successo registrato dalle missioni spaziali sono eventi quantificabili e misurabili in maniera oggettiva; mentre i progressi spirituali, se pure qualcuno si pone il problema, sembrano fluttuare in una dimensione soggettiva e opinabile, nella quale pare impossibile affermare con certezza se si stia realmente andando innanzi, o se si stia regredendo verso forme di esistenza più primitive. Ciò dipende dal dilagare della cultura del relativismo, secondo la quale non si devono più porre domande riguardo ai valori ed ai fini, ma solo riguardo ai tempi e ai modi degli obiettivi da raggiungere. Il relativismo, infatti, riguarda la sfera spirituale; per ciò che attiene la sfera materiale, gli indici scientifici sono più che sufficienti ad attestare la bontà di una scoperta o di una nuova applicazione del sapere. In altre parole, gli effetti del progresso scientifico sono auto-evidenti, non necessitano di conferme, perché si giustificano da sé; mentre quelli di ordine spirituale e morale sono inchiodati alla cultura del relativismo, la quale pretende che ogni verità soggettiva abbia la sua dignità e che nessuno presuma di trovare la verità in se stessa, a esclusione delle altre. In questo scenario, lo specialista è colui che fa progredire le aspettative della società in direzione di una espansione e di un controllo sulle cose.

 

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Il cristianesimo è stato una rivoluzione, ma nel senso positivo del termine: ha sostituito dei modi di pensare e di vivere che erano contrari al bene e alla vita, e ne ha introdotti di nuovi, favorevoli alla vita e indirizzati verso il bene.

 

Scriveva in proposito José Ortega y Gasset nel suo classico La ribellione delle masse (titolo originale; la rebelión de las masas, 1930; traduzione dallo spagnolo Bologna, il Mulino, 1962):

La specializzazione comincia, precisamente, in un tempo in cui si chiama uomo civile l’uomo “enciclopedico”. Il secolo XIX inizia il suo destino sotto la direzione di creature che vivono in un’atmosfera enciclopedica, anche se la loro produzione riveste già un carattere di specializzazione. Nella degenerazione successiva, l’equazione si è spostata, e la specialità comincia a scalzare nell’intimo di ciascun uomo di scienza la cultura integrale. Quando nel 1890 una terza generazione assume la guida intellettuale dell’Europa, c’incontriamo con un tipo di scienziato senza esempio nella storia. È un uomo che, di tutto ciò che occorre sapere per essere un personaggio intelligente, conosce soltanto una scienza determinata, e anche di questa scienza conosce bene soltanto una piccola parte di cui egli è investigatore attivo. Arriva a proclamare come una virtù questa sua catena d’informazione per quanto rimane fuori dall’angusto paesaggio che coltiva particolarmente, e chiama “dilettantismo”  la curiosità per l’insieme del sapere.

E tuttavia, recluso nella ristrettezza del suo campo visivo riesce, effettivamente, a scoprire nuovi fatti e a fare progredire la scienza, che egli conosce appena, e con essa l’enciclopedia del pensiero, che coscienziosamente ignora. Come è stato possibile, e lo è, una cosa simile? È necessario ribadire la stravaganza di questo fatto innegabile: la scienza sperimentale ha progredito in buona parte mercé il lavoro di uomini assolutamente mediocri, e anche meno che mediocri, vale a dire che la scienza moderna, radice e simbolo della civiltà contemporanea, accoglie dentro di sé l’uomo intellettuale “medio” e gli permette d’operare con successo. La ragione di ciò consiste in un fatto che è, a un tempo stesso, il maggior vantaggio e il più grave pericolo della scienza nuova e di tutta la civiltà che quella dirige e rappresenta: la meccanizzazione. Una buona parte delle cose che bisogna operare in fisica e biologia è lavoro meccanico del pensiero che può essere eseguito, più o meno, da chiunque. Per effetto d’innumerevoli ricerche è possibile suddividere la scienza in piccoli settori, rinchiudersi in uno di essi e disinteressarsi degli altri La stabilità e l‘esattezza dei metodi permettono questa provvisoria e pratica disarticolazione del sapere. Si lavora con uno di questi metodi come una macchina, e nemmeno è obbligatorio, per ottenere buoni risultati, possedere idee rigorose sul significato e fondamento del metodo. Così, la maggior parte degli scienziati danno impulso al progresso generale della scienza, chiusi nella piccola cella del loro laboratorio, come l’ape nel suo favo.

Però tutto questo finisce per produrre una casta d’uomini oltremodo strani. Il ricercatore che ha scoperto un nuovo fenomeno della Natura, deve per forza sentire un’impressione di dominio e di sicurezza nella sua persona. Con certa apparente giustizia si considererà come “un uomo che sa”. E, in realtà, in lui esiste un frammento di qualcosa, che insieme ad altri frammenti che non esistono in lui, costituisce veramente il sapere. Questa è la situazione intima dello specialista, che nei primi anni di questo secolo è giunto alla sua più frenetica esagerazione. Lo specialista “conosce” assai bene il suo minimo angolo d’Universo; però ignora profondamente tutto il resto.

Ecco qui un preciso esemplare di questo strano uomo nuovo che ho cercato di definire, mediante l’uno o l’altro dei suoi aspetti. Ho detto che è una configurazione umana senza pari in tutta la Storia. Lo specialista ci serve per individuare con energica concretezza la specie e perché ci fa vedere tutto il radicalismo della sua novità. Dato che prima gli uomini potevano dividersi, semplicemente, in saggi e ignoranti, in più o meno saggi e più o meno ignoranti. E, invece, lo specialista non può essere compreso sotto nessuna di queste due categorie. Non è un saggio, perché ignora formalmente quanto non entra nella sua specializzazione; però neppure è un ignorante, perché è “un uomo di scienza” e conosce benissimo la sua particella d’Universo. Dovremo concludere che è un saggio-ignorante, cosa oltremodo grave, poiché significa che è un tipo il quale si comporterà, in tutte le questioni che ignora, non già come un ignorante, bensì con tutta la petulanza di chi nei suoi problemi speciali è un saggio

 

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Se un secolo fa eravamo in balia degli specialisti, oggi lo siamo dei calcolatori elettronici. Le macchine decidono il nostro destino e lo decideranno sempre più nel prossimo futuro!

 

E pensare che Ortega scriveva queste parole profetiche nel 1930: circa novant’anni fa. Cosa direbbe oggi, nell’era dell’informatica, quando la somma e l’assemblaggio dei risultati della ricerca dei diversi specialisti non avviene per via umana, ma per mezzo di un computer, che la elabora nel giro di pochi istanti, anche con ordini di grandezza di milioni e miliardi? In fondo, quale barbarie peggiore di questa? Se un secolo fa eravamo in balia degli specialisti, oggi lo siamo dei calcolatori elettronici. Le macchine decidono il nostro destino e lo decideranno sempre più nel prossimo futuro.