Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La colpa di essere italiani

La colpa di essere italiani

di Francesco Lamendola - 28/07/2020

La colpa di essere italiani

Fonte: Accademia nuova Italia

Ciò che la dittatura sanitaria instaurata a livello mondiale, ma specie italiano (l’Italia è sempre stata un laboratorio) ha messo impietosamente in mostra, è un fatto che si sarebbe già dovuto notare, perché i segni erano visibili da tempo, bastava saperli cogliere: la rapida, inarrestabile perdita di consapevolezza da parte della stragrande maggiorana della popolazione. Esisteva già da tempo, cioè, una diffusa inconsapevolezza, da parte del cosiddetto uomo comune, circa i fatti più importanti della vita, a cominciare dalla giusta percezione di se stesso. È stato questo fatto che ha reso possibile a un miliardo e trecento milioni di cattolici, di non rendersi conto che la loro religione era stata scippata da un clero traditore, conquistato dalla massoneria, e che si trovavano fra le mani una religione nuova, artificiale, usa-e-getta, fabbricata lì per lì, all’epoca del Concilio Vaticano II, allo scopo di piacere al mondo e che di cattolico aveva ancora solamente il nome e certe forme esteriori. Ed è stato sempre questo fatto che ha reso possibile a circa un miliardo di occidentali di non accorgersi che stavano adottando stili di vita, sistemi sanitari e scolastici, modelli culturali e indirizzi tecnologici e finanziari diametralmente opposti al loro bene, nell’interesse esclusivo di pochissimi individui inconcepibilmente ricchi e potenti, bramosi di diventare ancor più ricchi e di sottomettere l’intera umanità al fine di sfruttarla metodicamente e illimitatamente, proprio come gli allevatori fanno con le mandrie di bestiame. Così, complici i mass-media asserviti all’élite finanziaria globale, e i cosiddetti intellettuali tenuti a libro paga da quella stessa élite, la massa della popolazione non si è accorta di nulla, ha seguitato ad inseguire i miraggi distruttivi di un consumismo demenziale, a danneggiare la propria salute con un’alimentazione assurda, con ritmi di vita sbagliati, intossicando la propria mente e le proprie emozioni con film e programmi televisivi aberranti, nichilisti, moralmente devastanti, e affidandosi alle cure mediche di un sistema sanitario totalmente piegato ai voleri e agl’interessi delle multinazionali farmaceutiche, cioè ancora e sempre, ai signori di quella minuscola ma potentissima élite che controlla già quasi tutto il resto. Sul terreno politico, la gente non pare essersi resa conto, nel corso degli ultimi decenni, che la contesa fra destra e sinistra, fra conservatori e progressisti, si era ridotto via via ad un teatrino preconfezionato, ove partiti di plastica, contenitori del nulla, hanno giocato a interpretare le rispettive parti, sia al governo che all’opposizione, esclusivamente per dare l’illusione di una dialettica e una effettiva libertà di scelta che, in effetti, sono ormai scomparse già da molto tempo.
Tale inconsapevolezza avrebbe già dovuto essere evidente al livello della percezione del proprio corpo. Un personaggio del dialogo di Kierkegaard In vino veritas dice che, volendo, un abile persuasore sarebbe capace di far sì che le donne si mettano tutte l’anello al naso e se ne vadano in giro così, felici e soddisfatte di seguire l’ultimo grido della moda. Oggi si può estendere il discorso agli uomini, osservando con quanta soddisfazione la gente si affretti a imitare qualsiasi moda, ad adottare qualsiasi stile che faccia tendenza, senza alcun senso critico riguardo ai tempi e ai modi. Così, per anni abbiamo visto ragazze e ragazzi presentarsi a scuola, e anche agli esami di Stato, in tenute balneari, succinte, coi pantaloni a vita bassissima, mostrando perfino l’orlo delle mutande: ora vediamo che anche non pochi insegnanti fanno la stessa cosa. Ci si chiede: i genitori non trovano nulla di strano nel vedere i loro pargoletti recarsi a scuola abbigliati a quel modo? E i professori, perché hanno taciuto per anni, e tollerato un andazzo che è via via degenerato? Negli uffici pubblici si assiste allo stesso spettacolo: pare che per un’impiegata di trenta, quaranta o cinquant’anni non vi sia nulla di più naturale che recarsi al lavoro abbigliata come per andare in spiaggia, e far vedere  agli utenti il reggiseno, o la mancanza di esso, sotto la camicia trasparente, o mostrare, al minimo movimento per abbassarsi, il filo del perizoma. I maschi si presentano in pianelle e pantaloni corti, con la camicia sbottonata, o la maglietta ampiamente scollata e sbracciata, così da mostrare i peli del petto e i numerosi tatuaggi sparsi sulle spalle e sulle braccia. È normale tutto questo? Non c’è più distinzione tra la sfera della vita privata e quella della vita pubblica; e col linguaggio è la stessa cosa: parolacce, imprecazioni e bestemmie sono all’ordine del giorno anche a scuola e nei luoghi di lavoro. Colpisce poi l’assenza di coscienza della propria specifica fisicità: si vedono donne alte un metro e mezzo, decisamente sovrappeso oltre che già avanti negli anni, pavoneggiarsi in strada indossando degli aderentissimo fuseaux, o delle minigonne inguinali. Ci si chiede: ma si sono guardate allo specchio, prima di uscir di casa? Senza dubbio sì. Ci si chiede allora: e cos’hanno visto? Evidentemente si son viste belle, bellissime, conciate a quel modo. Non sono state sfiorate da alcun dubbio di opportunità, di proporzione tra le proprie caratteristiche fisiche e il tipo di look sfoggiato, e magari sottolineato da una tinta fiammeggiante dei capelli, o magari azzurra, o meglio ancora verde. O forse sì, magari a livello subconscio; ma poi devono aver pensato: «Perché io no? Perché? Le alte, le magre, le giovani, sì, e io no? Perché le attrici dei film di Hollywood sì, le cantanti, le soubrette televisive possono, e io non posso? Che cosa ho di meno, io? Ho forse meno diritti? Sono forse un individuo di serie B, devo forse vergognarmi di essere come sono?». Ecco: qui si percepisce l’opera devastante della neo-scuola, della neo-chiesa, della neo-famiglia; qui si toccano con mano gli effetti micidiali di un democraticismo d’accatto, di un livellamento sistematico delle differenze, anche se a parole la cultura dominante esalta precisamente il contrario, ossia l’unicità delle persone. «Se tutti siamo uguali quanto a bellezza, anche perché la bellezza è soggettiva, e se non ci sono differenze nell’esercizio dei diritti, perché io non dovrei usufruire per me stesso degli stessi vantaggi che l’ultima moda offre alle attrici famose e alle giovani e snelle soubrette televisive, anche se io non sono né giovane, né snella? Voglio proprio vedere chi avrà il coraggio di criticarmi; chi oserà avanzare la più piccola obiezione al mio diritto sacrosanto di acconciarmi come loro. Se qualcuno fa tanto da provarci, lo fulmino: infine, non ho il politicamente corretto dalla mia?».
Questo discorso si può applicare anche al campo dell’intelligenza, della laboriosità, del merito in generale. Oggi non ci sono più persone pigre, svogliate, che non hanno alcuna voglia di guadagnarsi la vita lavorando onestamente: ci sono solo persone che faticano a inserirsi, a integrarsi, senza dubbio per colpa della società egoista e insensibile, giammai per colpa loro. E se un pensionato italiano di ritorno da una degenza ospedaliera, trova la sua casa occupata nel frattempo da una famiglia di zingari, o di clandestini, deve andarsene all’albergo, perché magistrati e carabinieri non provvedono a espellere immediatamente gli abusivi, ma spiegano a lui che, avendo una fonte di reddito, può sistemarsi altrove, mentre quelli, poverini, che non hanno un tetto sopra la testa, e devono provvedere anche a dei bimbi, non saprebbero dove andare. S’intende che le bollette, l’affitto e le spese condominiali devono esse puntualmente pagate, ci mancherebbe altro: e da chi, se non dal legittimo proprietario, nonostante il trascurabile dettaglio che è stato estromesso dalla sua casa e che altri ci stanno dentro più che comodamente al posto suo? Così, non ci sono più persone violente, irresponsabili, antisociali: ci sono solo persone che hanno bisogno di comprensione e di sostegno. Chi ha paura delle mele marce?, chiede con tono di sfida tutta la cultura buonista, specie di matrice cattolica, ripetendo le parole di don Luigi Ciotti. Nessuno, è chiaro: anche perché di mele marce non ce ne sono, neppure una. Son tutte belle e sane, o alla peggio rivedibili, migliorabili, risanabili. La mitezza della giustizia di fronte ai crimini e ai criminali ha qui la sua radice; l’arrendevolezza verso i delitti dei clandestini trae da qui il suo alimento. Se il criminale agisce a quel modo, è perché non gli sono state date le giuste opportunità; e se gli spacciatori nigeriani non solo diffondono la droga, ma si macchiano di delitti orripilanti, è perché non vengono accolti con sufficiente spirito di benevolenza, dialogo e inclusione. Sì, è vero, qualche volta stuprano, uccidono e tagliano a pezzi le loro vittime; e qualche volta pure se le mangiano: ma che volete, bisogna capirli; sono spaesati, vengono da un’altra cultura, e nella loro tali cose sono considerate più o meno normali. Siamo noi, pertanto, che dobbiamo fare uno sforzo supplementare per capire, per accogliere, per integrare. E guai a dire che son loro a non volersi integrare; che la loro cultura è incompatibile con la nostra; guai, soprattutto a chiedere quale elemento consenta di affermare, come fanno i buonisti di professione, che tutte le culture sono parimenti sviluppate, e con quale capolavoro artistico o letterario, con quale alto discorso filosofico o brillante scoperta scientifica quella cultura abbia contribuito al patrimonio complessivo del genere umano. No, no, tali cose non  si devono dire, assolutamente: sarebbe la forma più esecrabile di razzismo, se non addirittura d’incitamento all’odio!
E se vogliamo restare nell’ambito della nostra cultura e della nostra gente, perché non parlare anche della disinvoltura con cui i genitori di ragazzi seriamente handicappati iscrivono i loro figli al liceo e all’università? E dell’esagerato, parossistico spirito di accoglienza con cui la scuola e l’università accolgono tali alunni, contribuendo ad abbassare ulteriormente il livello dell’apprendimento per tutti gli altri, e inasprendo il disagio che già esiste, a causa dei numerosi disservizi, in qualsiasi classe e in qualsiasi corso accademico? Eppure tali richieste d’iscrizione non vengono mai respinte: il diritto allo studio è sacro e viene prima di qualsiasi cosa. Perciò un bambino caratteriale, violento, che pesta i compagni tutti i giorni, minaccia e aggredisce perfino le maestre, ha diritto, si sa, di frequentare la scuola, anzi sono i suoi genitori che vanno a chiedere spiegazioni al dirigente e fanno una bella scenata, se un giorno arriva in classe una maestra nuova e il ragazzino, che non c’era abituato, dà in escandescenze e manda al pronto soccorso l’intrusa, a farsi cucire i punti provocati dai suoi morsi. E che altro dire, se non intenerirsi ed esultare per l’alto livello d’integrazione raggiunto, se una ragazza affetta dalla sindrome di Down si laurea con centodieci e lode, ossia con un punteggio assai più alto degli altri studenti, pur bravi e meritevoli, ma al tempo stesso, evidentemente, colpevoli di non essere né handicappati, né provenienti da famiglie disagiate, né figli d’immigrati, ma solo ragazzi e ragazze normali, volonterosi, intelligenti, portati per gli studi e originali nel modo di pensare, di studiare e di organizzare il sapere acquisito? Ci rendiamo perfettamente conto della delicatezza del tema e non intendiamo in alcun modo discriminare i ragazzi disabili, né colpevolizzare le loro famiglie: sappiamo bene che molte di esse portano la loro croce in silenzio e lottano quotidianamente per dare una vita accettabile ai loro figli, senza avanzare assurde pretese o far valere diritti aberranti, che vanno a danno del prossimo. Tuttavia bisogna guardare in faccia la realtà. Ci sono anche le situazioni che abbiamo qui descritto; e ce ne sono perfino di peggiori. Si è creata una cultura radicalmente sbagliata, fondata su valori capovolti, e sempre per la stessa ragione: lo stravolgimento della bontà, dell’accoglienza e della solidarietà. Ma bisogna ricordare che l’esasperazione della bontà si chiama buonismo, e il buonismo è il contrario della bontà vera: illude chi non ha certi diritti, di essere come gli altri; e intanto castiga tutti gli altri e li fa sentire colpevoli per il fatto di essere autonomi, o più bravi, o più intelligenti, o più sani. Non avere il dono della salute, o quello dell’intelligenza, non è certo una colpa: ma non è neppure un diritto, tanto meno un diritto da brandire come un randello per sottomettere gli altri. Gli italiani, ormai, sono stati portati quasi a sentirsi colpevoli di essere bianchi, viste le tremende malefatte che i bianchi hanno fatto a danno degli altri popoli. Per questo non si parla mai dei crimini commessi dai negri contro i bianchi del Sudafrica, mentre prima non passava giorno senza che stampa e televisione stigmatizzassero la barbarie dell’apartheid. In ambito religioso, è la stessa cosa: i cristiani devono vergognarsi di essere cristiani; solo gli altri, specie ebrei e islamici, possono andarsene a testa alta. E infatti: in Europa si bruciano e si profanano le chiese, si oltraggiano i Crocifissi, ma guai se per caso una sinagoga o una moschea sono oggetto di qualche atto di violenza, guai se un cimitero ebraico viene sporcato con scritte antisemite: la notizia troverà un’eco assai maggiore di quella relativa all’eccidio di migliaia di cristiani in qualche luogo dell’Africa o dell’Asia. Controprova: è stato un gioco da ragazzi privare i cristiani della santa Messa, Pasqua compresa; ma nessuno ha osato privare i musulmani del Ramadan. Ogni giorno è lecito insultare Cristo, la Madonna e i Santi, ma guai se qualcuno si azzarda a dire che il diario di Anna Frank potrebbe anche essere un falso letterario. Queste sono le cose che non si possono dire, né perdonare. Ma insultare i cristiani tutti i giorni, questo sì che si può fare, senza aver timore alcuno…