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La crisi della egemonia americana

di Fabio Falchi - 07/01/2021

La crisi della egemonia americana

Fonte: Fabio Falchi

Fino a non molti anni il problema principale che poneva la crisi dell’egemonia americana era come l’America si sarebbe comportata in una fase multipolare. La crisi economica seguita allo scoppio della bolla finanziaria nel 2007-08 ha però evidenziato un altro problema, benché in verità non si tratti, per così dire, che dell’altra faccia (quella politico-sociale) della crisi dell’egemonia americana.
In pratica, per la prima volta nella storia dell’America la classe media (perlopiù “bianca”) ha dovuto subire le conseguenze negative della politica di potenza degli Stati Uniti, ossia del loro ruolo di gendarme mondiale del liberal-capitalismo, di modo che la distanza tra “popolo” ed élites, già significativa alla fine del secolo scorso, è inevitabilmente aumentata, tanto da rendere sempre più difficile “istituzionalizzare” il conflitto politico e sociale e “governare” le numerose contraddizioni che caratterizzano la società americana.
Le tensioni interne quindi si sommano a quelle esterne, creando una pericolosa “miscela esplosiva”, tanto più che anche sotto il profilo geopolitico gli USA in questi ultimi lustri hanno dimostrato di non essere in grado (si intende sotto l’aspetto politico-strategico) di affrontare con successo le nuove e complesse sfide che pone un modo multipolare. Peraltro, anche il ricorso all’uso della forza (Iraq, Afghanistan, ecc.) e perfino il sostegno a varie rivoluzioni od operazioni “colorate” (Georgia, Ucraina, Hong Kong ecc.) non hanno risolto i problemi di Washington, anzi in molti casi li hanno solo aggravati.
Pessima è stata, del resto, anche la gestione della emergenza sanitaria causata dal Covid-19. Il confronto con la Cina è dunque inevitabile, e per l’America equivale ad una gravissima diminuzione di quel softpower che non è certo una delle armi meno significative a disposizione di Washington per difendere e consolidare l’egemonia americana a livello mondiale. D’altra parte, anche il rapporto con i “vassalli” europei è peggiorato, e “forze centrifughe” di vario genere (Germania, Turchia, ecc.) minacciano seriamente l’ordine geopolitico e geoeconomico “a guida americana”. Fallito è pure il tentativo di “inglobare” la Cina nel sistema liberal-capitalistico egemonizzato dagli USA, e, in pratica, fallimentare si è rivelata pure la strategia americana in Medio Oriente, mentre non accenna nemmeno a calare la tensione con la Russia, che non si è piegata ai diktat di Washington, rafforzando sempre più le sue relazioni (economiche e militari) con la Cina.
In sostanza, l’America non sa come risolvere una crisi di “sovraesposizione imperiale", aggravata da una politica economica neoliberista che ha prodotto ferite profonde nel “corpo vivo” della società americana.
 Non si tratta allora solo di crisi della potenza egemonica ma della crisi di una potenza egemonica che pare essere ormai “fuori controllo”, anche se può sempre contare su un gigantesco apparato militare. Ma come impiegarlo in modo vantaggioso sotto il profilo politico e geopolitico? Un conto è, infatti, poter distruggere un Paese, un altro avere il potere di “controllarlo”.  E per questo non serve la potenza distruttiva dell’apparato militare americano, come ha ampiamente dimostrato la storia politico-militare a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale.
D’altronde, è evidente che la strategia di Trump, sintetizzata nello slogan “Make America Great Again” non ha dato i frutti che Trump e i “suoi” speravano, anzi ha reso l’America ancora più debole e fragile. Ma non è che con Biden possa cambiare molto. Il “problema di fondo” è sempre lo stesso, ovverosia in una fase multipolare non ci può essere posto per una sola potenza egemonica. Ma adesso Biden deve pure evitare il pericolo della “stasis”. In questo contesto, evocare lo spettro di un nemico esterno, al fine di cercare di risolvere i problemi interni e quelli con i “vassalli”, sembra quindi essere l’unica carta politica e geopolitica che Washington possa giocare, dato che non ha alcuna intenzione di rinunciare al suo progetto di egemonia mondiale.
In definitiva, il Leviatano è certamente ferito, ma proprio per questo si deve essere consapevoli che è più pericoloso che mai.