La decrescita non sarà felice, ma è l'unica chance di futuro
di Massimo Fini - 03/03/2023
Fonte: Massimo Fini
Su Repubblica il capo del Politico Stefano Cappellini consiglia a Elly Schlein di aderire al principio di realtà “senza cedimenti alle seduzioni della decrescita”. A parte che non credo che Schlein abbia bisogno di pelosi consigli perché sembra una che va diritta per la sua strada, come del resto Giorgia Meloni che a me piace come persona, perché è fresca, diretta e cocciuta, anche se non condivido quasi nulla del suo pensiero (non si può essere europeisti e nello stesso tempo atlantisti cioè senza condannarsi a un perenne servaggio americano) la decrescita, che non sarà “felice” come ipotizza Maurizio Pallante un pensatore troppo spesso messo ai margini, ma sanguinosa . Però è il solo modo di salvarci.
La crescita ha creato sconquassi inauditi in campo sociale, economico e militare. È stato Alexis de Tocqueville il primo a notare, con un certo sbalordimento, nel suo saggio “Sulla povertà”, scritto nel 1830, che nell’Inghilterra del suo tempo, il Paese più opulento d’Europa, nel pieno del suo sforzo industriale, cioè della sua crescita, i poveri erano sei volte di più che in Spagna e Portogallo che erano appena all’inizio di quel processo, mentre nei Paesi non ancora toccati dall’industrializzazione, quindi dalla crescita, la povertà non esisteva.
È un dato sotto gli occhi di tutti che la crescita è causa della divaricazione sempre crescente, a volte spinta fino allo sbalorditivo (Elon Musk, Bezos), fra ceti ricchi e sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. E questo vale anche a livello internazionale con il divario crescente fra Paesi ipocritamente detti “in via di sviluppo” e quelli già sviluppati (il disastro africano evocato anche da Papa Bergoglio in una sua omelia). Viene quindi pian piano erosa la classe media che fa da collante fra queste due realtà, nazionali e internazionali, così lontane e questo, oltre che indecente, è pericoloso perché può portare, con buona pace di Cappellini (ma chi era costui?) e di tutti i Cappellini, a uno scontro sociale violento. Il vecchio Marx pensava che alla lunga i ricchi sarebbero diventati così pochi che per cacciarli non ci sarebbe stato bisogno di una rivoluzione, ma sarebbe bastata una pedata nel culo. Si sbagliava. Perché oggi i ricchi oltre che piuttosto numerosi hanno in mano tutte le leve del potere, e in particolare quello finanziario, per schiacciare nel sangue la classe media, i poveri e i miserabili. Ma se l’attuale successo della crescita continuerà verrà un giorno, non poi tanto troppo lontano visto la velocità esponenziale cui sta andando questo processo, in cui saranno quel che resta della classe media, i poveri sempre più poveri, i miserabili a innocuizzare i ricchi e i potenti in un bagno di sangue. Sarà il “dies irae”, il giorno del redde rationem.
È stata la crescita tecnologica a portare gli strumenti bellici dalla spada, cioè dal virile corpo a corpo, alle attuali armi a distanza che non solo distruggono l’epica della guerra ma anche la sua etica (Catilina. Ritratto di un uomo in rivolta) ma soprattutto si prefigurano come l’autodistruzione dell’intero genere umano (“il progresso non ha partorito l’uomo migliore, una società migliore e comincia ad essere una minaccia per il genere umano”, Ratzinger). Più che una minaccia è ormai quasi una realtà se i potenti della Terra arriveranno all’uso della Bomba travolgendo tutti noi, miserabili cittadini del tutto ininfluenti (Don’t look up, Adam Mckay), ma pure, per fortuna, anche se stessi.
È l’antica questione che contrappone le società statiche, quali erano sostanzialmente quelle preindustriali, contadine e artigiane, e quelle dinamiche che sono destinate, per definizione, per la loro criminale coerenza interna, all’autodistruzione. Questo, perlomeno, è il mio personale wishful thinking. Bye bye.