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La filosofia dell'erranza. Nietzsche, il buon europeo

di Stenio Solinas - 08/02/2021

La filosofia dell'erranza. Nietzsche, il buon europeo

Fonte: Il Giornale

Una ventina d'anni fa, quando c'era ancora il Novecento, comprai in una libreria di Macao un libro intitolato The Good European e aveva per sottotitolo «Nietzsche's Work Sites in Word and Image», i luoghi dove Nietzsche aveva lavorato raccontati e fotografati.
Perché un libro del genere si trovasse in una libreria dell'Estremo Oriente aveva una risposta semplice: era stato stampato a Hong Kong, nonostante la casa editrice fosse l'americana Chicago Press. Perché lo comprassi ne aveva una più complicata. Alla mezzanotte di quell'anno Macao avrebbe smesso di essere portoghese, così come due anni prima Hong Kong aveva cessato di essere inglese e insomma era la fine di un ciclo, la plurisecolare porta europea sull'impero cinese che si chiudeva per sempre e la parola Europa che lì non voleva dire più niente. Anche le slot machine avevano gli occhi a mandorla, «tigri affamate» era il loro soprannome, e di portoghese oltre le insegne e le rovine non restava altro che le ricette di cucina: il «caldo verde», il bacalhau Così, quel titolo The Good European, il buon europeo, mi dovette sembrare una consolazione e/o una rivendicazione e insieme un monito: si nasce e si muore, le nazioni, gli imperi, le civiltà e ciò che ti si chiede è di farlo senza dovertene vergognare.
Poi, naturalmente, c'era Friedrich Nietzsche (1844-1900), l'unico filosofo, Schopenauer a parte, che una mente non filosofica come la mia potesse leggere con passione. E c'era l'imponente apparto iconografico, ritratti, panorami e documenti d'epoca contrapposti a immagini e paesaggi contemporanei, e insomma una sorta di guida di viaggio costruita in modo architettonico in nome di un'estetica dell'occhio e della mente. È anche probabile che abbia accarezzato l'idea di fare anch'io qualcosa del genere: il numero dei miei libri non scritti potrebbe riempire una biblioteca
Ci sono volumi che tu compri perché sai che un giorno li leggerai, non ora, non qui, forse fra un mese, magri fra un anno, o fra vent'anni Non è stato un capriccio, un impulso banale, la distrazione di un momento: l'hai fatto intenzionalmente, sai che ti serviranno
The Good European l'ho ritirato fuori mentre leggevo Nietzsche on the Road di Paolo Pagani (Neri Pozza, pagg. 396, euro 18), una cavalcata, fisica e mentale, di 4mila chilometri attraverso tutta la Germania di Nietzsche, tutta la Svizzera di Nietzsche, tutto il suo andare verso il sole, la scoperta dell'Italia, della Costa Azzurra, «il cielo alcionio di Nizza che splendeva allora per la prima volta sulla mia vita». Perché poi, come giustamente scrive Pagani, «dove Nietzsche vive, lì pensa. Quando vive, poiché la sua è una vita priva di azione, lì scrive». Il che significa altresì, in un'esistenza crivellata dalla sofferenza fisica, emicranie lancinanti, feroci disturbi agli occhi, tremendi problemi gastrici, «il fuoco di fucileria dei suoi dolori», per dirla con Stefan Zweig, la quasi rabdomantica capacità di scovare luoghi di possente, taumaturgica bellezza. Al termine di una passeggiata intorno a Rapallo, eccolo annotare: «Stupendo angolo del mondo: un'isola dell'arcipelago greco con delle foreste e dei mondi, arbitrariamente sparpagliato, che il caso ha portato fino alla terraferma e che non riesce più a distaccarsene». La genesi della terza parte di Zarathustra, annota, «fu composta durante la faticosissima ascesa dalla stazione al meraviglioso villaggio moresco di Eze, annidato fra le rocce». Pagani, che la ripercorre a beneficio di noi lettori sedentari, arrivato in cima, dopo un'ora di cammino «in mezzo a lentischi selvatici, olivi, rare querce, euforbie» si trova davanti «un panorama che sfolgora, l'aria profuma di sapone e lavanda: Il mare si spalanca sotto ma il suo rumore non arriva».
Tornando ancora in Liguria, intelligentemente ripesca e spiega quel «ligurischer Komplex» di cui aveva parlato il poeta tedesco Gottfried Benn, «un mal d'Africa in sedicesimo che intontiva i viaggiatori nordici improvvisamente inebriati di luce corrusca, tra nuvole e onde» e definisce La gaia scienza «un libro genovesissimo, sprofondato nella gioia del passeggiare». È in queste pagine, del resto, che Nietzsche, nota sempre Pagani, scrive il proprio ritratto: «Qui, a ogni angolo di strada, trovi un uomo che sta per conto proprio, che conosce il mare, l'avventura e l'Oriente, un uomo che è avverso alla legge e al vicino, come a qualcosa di tedioso».
Si sarà capito, dai luoghi, dalle citazioni, che il Nietzsche da me preferito è quello mediterraneo, la disperata corsa verso il sole di una fenice che solo lì si illude di poter rinascere. Ma si farebbe un torto al libro e alla fatica del suo autore se non si tenesse conto di un certo coté svizzero-tedesco, quello che egli chiama «l'unicità della Turingia», con Weimar «morbida geografia dello spirito», città «che gronda ancora sapienza, eleganza, nobiltà, significato e rende incantevole il vagabondaggio»; l'Oberland Bernese: È sorprendente verificare come tutti i luoghi del girovagare alpino in Svizzera di Nietzsche siano rimati i più incantati d'Europa. Persino gli alloggi restituiscono un fascino raro».
Anche Nietzsche on the Road riprende il tema del «buon europeo» da cui siamo partiti e nel quale si mischiano tanti elementi, filosofici, piscologici, di vera e propria weltanschauung, non a caso un termine tedesco, che impongono di non scadere nei luoghi comuni sulla pesante ottusità teutonica L'europeismo nietzschiano è tutt'uno con chi, nel decennio che lo separa dalla pazzia, «percorre migliaia di chilometri. In qualche luogo si ferma pochi giorni appena, in cinque città rimane per sei anni in tutto». È una sorta di filosofia dell'erranza, di uno che non ha un posto, una professione, una nazionalità, «senza più fissa dimora, col suo intero mondo lucchettato in una valigia». È sempre di Stefan Zweig un'immagine meravigliosa: «Con Nietzsche la bandiera nera del pirata compare per la prima volta sui mari della conoscenza tedesca. Un uomo di altra specie, di altra stirpe». È però intero merito di Pagani l'aver costruito un libro dove la geografia tiene a battesimo il genio del più dinamitardo dei pensatori, modella e si modella su un pensiero: «La forma che deve prendere, la sostanza che esprime, le tonalità emotive che lo colora». Un libro in movimento, on the road, all'ombra del viandante per eccellenza, ancora e sempre pellegrino e straniero.