Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La fine del bipolarismo

La fine del bipolarismo

di Matteo Volpe - 14/09/2017

La fine del bipolarismo

Fonte: L'intellettuale dissidente

 

La logica bipolare fondata su una retorica “di guerra” compare nuovamente nei discorsi politici, ma la sua efficacia sembra ormai essersi di molto attenuata.

Le regionali in Sicilia saranno le ennesime elezioni incentrate sui personaggi piuttosto che sui programmi. La possibile alleanza del PD con Alfano (non sarebbe la prima a costituire una coalizione al centro) scontenta una parte della sinistra. Il progetto di un nuovo centrosinistrache interessa molti nel Partito Democratico sembra pertanto difficile da riproporre nell’attuale scenario, anche a livello locale. Troppo lontani sono i tempi in cui due poli si fronteggiavano proponendo ciascuno un unico candidato. Tuttavia la logica bipolare tarda a scomparire, rimane in ciò che viene detto e in ciò che non viene detto. La logica bipolare è molto utile ai partiti più grandi per arginare i concorrenti che potrebbero attingere allo stesso bacino elettorale, nel caso del PD la sinistra ma anche il Movimento Cinque Stelle. Ma è utile soprattutto come strategia retorica perché consente di spostare l’attenzione da se stessi e dai propri problemi a quelli degli avversari. I propri difetti vengono così percepiti come minori rispetto alla minaccia maggiore rappresentata dagli avversari e chiunque non accetta la logica bipolare del “o noi o loro” viene rappresentato come un complice di quegli avversari che sono la sintesi di tutti i mali. La logica bipolare può essere definita come uno stato di guerra permanente. Nel senso che concepisce soltanto una contrapposizione immediata con un nemico come durante una guerra; in guerra si accetta di allearsi con chi in pace non potremmo tollerare. Ogni critica ai propri alleati può causare divisione nel proprio schieramento e favorire il nemico e deve perciò essere rinviata al tempo di pace. La coesione delle proprie armate conta molto di più delle differenze interne e chiunque può essere sospettato di complottare con il nemico se non dà prova di fedeltà. In guerra sconfiggere il nemico è la priorità assoluta e importa relativamente poco come si riesce a farlo, con quali armi e mezzi, ovvero, fuor di metafora, con quali programmi: la vittoria del nemico è sempre l’eventualità peggiore da evitare in ogni modo. La logica bipolare dello stato di guerra ha avuto successo per una ragione psicologica e una politica. Sul piano psicologico individua subito un nemico visibile e conosciuto da tutti che viene ritenuto responsabile di tutti i mali e consente pertanto un’identificazione immediata con chi intende combattere quel nemico; raccoglie una grande carica emotiva e canalizza tutta l’insoddisfazione e la rabbia contro un unico obiettivo. Dal punto di vista politico, invece, il suo successo deriva dalla possibilità di mascherare non solo le proprie inadeguatezze e ciò che non è gradito all’elettore, ma anche tutte le affinità con il nemico, o presunto nemico. Il bipolarista, si potrebbe dire, non conosce il proprio schieramento, ma soltanto quello avverso.

bipolarismo

Sceso in campo nel gennaio del ’94, Silvio Berlusconi rappresenta per molti ancora oggi l’ago della bilancia della politica italiana.

In passato si è fatto molto ricorso allo stato di guerra; se a destra il nemico era “la sinistra”, oppure “il comunismo” (sebbene in quest’ultimo caso si trattasse di un nemico immaginario) a sinistra è stato per molti anni identificato nella figura di Berlusconi. Berlusconi è, in un certo senso, il nemico che tutti vorrebbero. È dotato di una personalità esuberante che catalizza emozioni opposte, è fortemente egocentrico, ama essere al centro dell’attenzione ed è quindi un bersaglio evidente, non ama la diplomazia e il politicamente corretto e le sue esternazioni possono essere facilmente criticabili. Berlusconi, in altre parole, fungeva da “parafulmine” per la sinistra, cioè concentrava su di sé tutto il malcontento e la frustrazione degli elettori di sinistra. Infatti, contrariamente a quanto si possa pensare, la forza di Berlusconi non era inversamente proporzionale a quella dei suoi avversari, i quali invece si potenziavano più lui si potenziava. Non a caso i momenti di massimo successo del centrosinistra sono quelli in cui Berlusconi era il capo indiscusso del centrodestra e raccoglieva un gran numero di consensi. Dopo la disfatta di Berlusconi e il suo indebolimento anche il PD e la sinistra hanno perso un numero impressionante di voti, soprattutto se si considerano i voti assoluti e non le percentuali. Oggi si cerca di riproporre la logica bipolare con altri nemici. Renzi ha detto recentemente:

“a chi ci attacca da sinistra diciamo: ‘Siete davvero convinti che il problema di questo Paese sia il Pd? O magari sono Salvini e Grillo?’. Le divisioni a sinistra hanno sempre fatto vincere la destra”.

Vediamo qui un classico esempio di retorica bipolare: la deviazione dell’attenzione da se stessi (siete davvero convinti che il problema di questo Paese sia il Pd?) a un nemico catalizzatore (o magari sono Salvini e Grillo?), infine il “richiamo all’ordine” contro il nemico comune come priorità (Le divisioni a sinistra hanno sempre fatto vincere la destra). In questo caso non c’è più Berlusconi come nemico, che oggi è troppo debole per fungere da catalizzatore, ma “il populismo” (Renzi non lo nomina esplicitamente in questa frase ma si capisce che vi fa riferimento).


Renzi punta il mirino contro il “populismo” di Salvini e Grillo durante la trasmissione “Otto e Mezzo”.

Si tratta di un nemico simile al precedente, non solo per la sua funzione, ma anche per le caratteristiche che gli vengono attribuite: i suoi discorsi “poco educati” e politicamente scorretti, i suoi atteggiamenti provocatori, il suo uso spregiudicato dei media (anche se, a differenza di Berlusconi, non si tratta prevalentemente di quelli televisivi, ma anche della rete). La strategia comunicativa di Renzi è la stessa che usava il centrosinistra con Berlusconi: “Il nostro nemico è irresponsabile come dimostrano i suoi atteggiamenti grossolani, è poco stimato dalle istituzioni internazionali, non è in grado di governare e, qualora lo facesse, sarebbe un disastro”. Tuttavia se nel caso di Berlusconi questa strategia aveva funzionato alla perfezione ora non risulta della stessa efficacia. Per due ragioni: innanzitutto perché “il populismo” è un nemico astratto, un mero concetto, mentre Berlusconi era un nemico concreto, un individuo in carne ed ossa. Inoltre si tratta di una categoria che riunisce soggetti molto diversi come Grillo e Salvini, il Movimento Cinque Stelle e la Lega che, sebbene presentino diverse somiglianze, su molte cose sono dissimili. In secondo luogo, ma non di minore importanza, è cambiato il quadro generale. Nel quadro della Seconda Repubblica, quando i partiti non subivano ancora la crisi di consenso nelle proporzioni attuali e quando la narrazione neoliberale era al suo massimo fulgore, la retorica bipolare si inseriva alla perfezione. Venuto meno da pochi anni lo scontro capitalismo/socialismo, bisognava surrogarlo con un dualismo comunicativo che compensasse il sostanziale monopolio ideologico. La crisi di tale narrazione ha investito tutti i partiti e anche la strategia comunicativa bipolare, che non può più contare sulla precedente capacità di mobilitazione. Questa strategia, alla lunga, potrebbe addirittura rivelarsi controproducente e favorire l’avversario senza però, come faceva in passato, avvantaggiare chi vorrebbe avvalersene.