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La lunga onda del sogno americano e le scogliere della realtà

di Sergio Cabras - 30/03/2020

La lunga onda del sogno americano e le scogliere della realtà

Fonte: Sergio Cabras

Il governatore di New York Andrew Cuomo ha definito pubblicamente l’ipotesi del lockdown della città da lui amministrata “una dichiarazione di guerra” da parte del governo federale USA e una misura “anti-americana”, oltre che “antisociale” e tale da “paralizzare l’economia”. Questo mentre i casi di contagio accertati nello stato di New York sono 52.000 (la metà del totale attuale negli USA) e nella sola metropoli muore una persona ogni 9 minuti a causa del Coronavirus.

Noi italiani immaginiamo gli americani come un popolo pratico, pragmatico, e forse in certa misura lo sono, almeno se paragonati a noi italiani. Ma evidentemente questa è una caratteristica che si rivela più apparente che reale una volta che si giunge a mettere in questione le loro credenze fondamentali. Ed è interessante notarlo perché queste credenze le hanno diffuse ampiamente nel mondo rendendole i valori egemonici dell’Occidente e dei popoli che hanno preso questo ad esempio o modello da imitare.
Non deve stupire che una parte significativa degli americani abbiano delle idee fondanti che rispettano alla stregua di dogmi: è qualcosa di meno estraneo allo spirito americano di quanto si potrebbe pensare; basti tener presente quanto forte sia il peso e la presenza di gruppi religiosi di vario genere in quel paese e quanto spesso Dio venga citato o ad Egli ci si appelli perfino nei documenti e nelle dichiarazioni ufficiali e politiche. Gli USA sono stati definiti “la democrazia di Dio” e certamente sono un ambiente cuturale al quale il fondamentalismo e l’integralismo religioso non sono affatto estranei. Sebbene si tratti di un fondamentalismo molto diverso da quello islamico o di altre culture.
Fondamentale nel sogno americano, nell’american way of life - definita a suo tempo qualcosa di non-negoziabile dall’ex presidente Bush – è il principio della libertà. La Libertà. Non a caso, la statua ad Essa dedicata incombe nell’approcciarsi alla città di New York e ne è un po’ il simbolo.
Incombe: perché è La Libertà, ma credere in essa nel modo in cui si pone, quasi come una dèa, nella mitologia statunitense è pressoché un dovere, un obbligo. C’è l’obbligo di combattere per essa, di morire ed uccidere per difenderla, se necessario, di morire ed uccidere per imporla.
Il mito della Libertà ha sempre giustificato e giustifica gli USA, non solo nelle sue guerre, fornendogli una sorta di benedizione divina, ma ha giustificato e teoricamente nobilitato l’energivora avidità con cui hanno rapinato risorse dal proprio continente e dal resto del mondo e che gli fa vedere come un diritto irrinunciabile e perfino come il tratto distintivo di una civiltà superiore il fatto che l’impronta ecologica del cittadino americano medio sia tripla rispetto a quella di uno medio europeo e oltre dieci volte tanto quella di uno dei paesi ipocritamente detti “in via di sviluppo”. Cioè? Cioè se è vero che se tutta l’umanità consumasse come un cittadino italiano medio già non basta la Terra: ci vorrebbero due pianeti, o due e mezzo, ma se consumasse come uno USA ce ne vorrebbero cinque o sei.
Essendo questo un valore, secondo una tale mentalità, in quanto è la diretta conseguenza/applicazione del sacro principio della libertà individuale (e della ricerca della felicità come scritto nella loro Costituzione – cosa peratro da alcuni invidiata, qui da noi) ne discende direttamente che, quando si parla di riduzione delle conseguenze distruttive di questo sviluppo consumista (cambiamento climatico, inquinamento, disuguaglianze sociali, fame e miseria nei paesi poveri, guerre, impoverimento della biodiversità….) solo le ipotesi che prevedano soluzioni in grado di limitare i danni senza interrompere né rallentare la crescita economica (che poi significa dei consumi, sia energetici che dei prodotti finiti) possono essere considerate legittime e degne di cittadinanza; altrimenti sono trattate alla stregua di cose inaccettabili a prescindere, nemiche della libertà: bestemmie, in buona sostanza.
Dovrebbe essere ben chiaro d’altronde, che questa mentalità è ormai fondante del Sistema che governa il mondo, ben al di là degli USA, ne abbiamo schiere di sostenitori dappertutto, purtroppo, anche se, storicamente, è soprattutto a partire da questo paese che si è diffusa…..diciamo, un po’ come il virus che oggi tanto ci spaventa è partito dalla Cina.

Ora, anticipando – e non di molto, probabilmente - il momento in cui gli effetti del cambiamento climatico si mostreranno con non più negabile evidenza (o forse essendone essa stessa una delle prime chiare evidenze) l’emergenza Coronavirus si presenta come una realtà di fatto che non tiene minimamente in conto i nostri ideali, i nostri valori. È una cosa che segue leggi biologiche, quelle che governano i sistemi viventi in Natura, che tendono ad equilibri dinamici, in prospettiva, ma che non tengono in alcun conto le nostre personali aspirazioni individuali, nemmeno quella di sopravvivere. È uno di quegli “schiaffi di Dio che appiccicano al muro” di cui parlava Giorgio Gaber, che ci sta arrivando ora. Non perché ci sia un Dio che ce li manda, ma perché, se la libertà e la democrazia sono cose che noi umani abbiamo la possibilità, nei limiti del possibile, di inventare e mantenere e proteggere e che sono buone per noi, la Natura, che è quella che stabilisce quali siano questi limiti, funziona, non in modo “antidemocratico”, però ben più ampio delle nostre nozioni umane di libertà e democrazia, perché su un ordine ben più ampio dell’umano. E questa è una cosa che se non la capiremo, non l’accetteremo e non la rispetteremo, sarà la nostra fine: questo va detto senza mezzi termini.
Questi sono dati di fatto (e peraltro è anche facile capirli teoricamente).

Opporre ad una realtà biologica la difesa di ideali valoriali umani, che sono ideologia e sono storicamente e culturalmente determinati, ovvero soggetti a cambiare in tempi molto più brevi di quanto non cambino le realtà biologiche, non è razionale, non è scientifico: è, in buona sostanza, un atteggiamento religioso, fondamentalista. Crederli talmente veri che difenderli equivale a difendere la nostra sopravvivenza e che non si potrà – né si deve – sopravvivere senza di essi, o che non ne varrebbe la pena, è superstizione. Ed è il segno di chi preferisce mettere a rischio la vita, reale, vissuta, piuttosto che mettere in dubbio dei principi teorici. Ovvero è il segno di chi riconosce più realtà e più valore a concetti e parole che alla realtà vivente/vissuta stessa. E non sa vedere che se qualcosa di sacro esiste, invece, quella è proprio la Vita in sé, senza qualificazioni, senza scopo né obiettivi da raggiungere, né limitata alla vita personale dell’individuo o della specie umana. Ma la Vita in sé.
Il cui modo di funzionare bisogna capire. E che va capito, necessariamente, in una prospettiva che deve andare al di là di noi umani, perché la Vita in sé non è limitata a noi umani: siamo noi che ne siamo parte. E questa non è una questione di opinioni: è semplicemente così.

Rifiutare delle misure che possono essere necessarie in un’ottica pragmatica per la sopravvivenza di molte persone – e che, altrettanto pragmaticamente dovrebbero poi esser ritirate, una volta passata l’emergenza (...intendiamoci) – perché anti-americane culturalmente e perché deprimerebbero le attività economiche, i consumi, la finanza, mostra tutta l’inadeguatezza di una civiltà al capolinea, la cui idea di libertà individuale è stata sempre così teorica, così astratta, di principio – diciamo pure, un’idea che rivela tutta la sua origine borghese - da non tenere conto delle sue conseguenze sul piano della realtà, del fatto che la libertà del vincente diventa la schiavitù del perdente, che corollario imprescindibile dell’american way of life è che va bene solo finché tutto va bene: sono le masse di lavoratori precari che in una situazione di blocco dell’economia si ritrovano senza una base di sussistenza e quasi senza assistenza medica, senza una rete sociale solidale a sostenerli, né garanzie di welfare statale, con la conseguenza che in un momento di crisi come questo la risposta più immediata da parte di molti negli USA sono le file fuori dai negozi di armi perché tutti si aspettano di trovarsi di qui a breve a dover difendere quel poco che hanno con pistole e fucili dagli assalti di chi non avrà nemmeno più da mangiare. Una reazione che noi qui facciamo fatica a comprendere, ma dovremmo pensare che per decenni ci hanno detto che anche qui dovevamo seguire questo modello e, dato che in parte l'abbiamo effettivamente seguito, già vediamo episodi drammatici cominciare a verificarsi anche da noi, da parte di chi non può permettersi di stare a lungo senza nemmeno i lavoretti precari con cui solo riesce a sopravvivere: una condizione evidentemente ignota a chi si trova a gestire politicamente le situazioni.

La civiltà della Modernità Occidentale, di cui il culto americano della Libertà è emblematico, ha creato, come altre civiltà prima di essa, i presupposti per la messa in questione delle premesse, in termini di visione del mondo, sulle quali si fonda. Ciò è sempre avvenuto, per ogni civiltà, dato che ogni visione del mondo è parziale e che una civiltà, se ha successo, cresce, e crescendo ad un certo punto diventa troppo vasta, così vasta da incontrare la parzialità, l’unilateralità della propria visione fondante e perciò entra in contraddizione con sé stessa e col mondo che la circonda: per salvarsi, per sopravvivere, deve mettere in questione i propri presupposti, deve riconoscerli limitati, deve andarne al di là, diventare qualcos’altro.
Oggi che la civiltà nata dalla Modernità Occidentale è cresciuta fino a toccare i confini del pianeta e delle sue possibilità di sviluppo, delle possibilità umane di sviluppo, sul piano tecnologico, in un pianeta finito, le contraddizioni che ci troviamo davanti riguardano niente di meno che il nostro posto come esseri umani su questo pianeta.
Pertanto la questione possibilità di sopravvivenza non è più come civiltà, ma come specie. E può essere trovata solo in una prospettiva che non è unilateralmente umana, bensì di cui la dimensione umana è parte.
Figuriamoci quella individuale e la libertà dell’individuo di consumare a volontà.

I sogni si infrangono sulle scogliere della realtà: è il momento di svegliarci;
è ora di crescere nella consapevolezza di ciò che siamo, non più nei consumi.