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La NATO è a pezzi? L’Europa implode? Ma soprattutto, chi cadrà nella “trappola di Tucidide” la Russia o gli USA’

di Luigi Tedeschi - 16/07/2022

La NATO è a pezzi? L’Europa implode? Ma soprattutto, chi cadrà nella “trappola di Tucidide” la Russia o gli USA’

Fonte: Italicum

Sin dall’inizio della guerra ucraina, l’interpretazione del mainstream occidentale riguardo all’evoluzione conflitto è stata univoca: la strategia di Putin di dividere l’Occidente è fallita, data la granitica unità della Nato dinanzi al comune nemico e le sanzioni avrebbero determinato a breve il default della Russia, con la conseguente destabilizzazione politica del regime di Putin. Oggi dobbiamo costatare la totale infondatezza di tali previsioni. Le sanzioni, più che la Russia, hanno semmai determinato una crisi energetica e una recessione economica incombente in Europa dagli esiti imprevedibili. La stessa unità della Nato e della UE, al di là della retorica filoccidentale e russofobica, è del tutto apparente. Tra i membri della Nato e della UE si evidenziano profonde fratture e potenziali conflittualità. E’ prevedibile che l’Occidente uscirà da questa crisi profondamente diviso.

La Nato è in pezzi?

All’interno della Nato si distinguono varie aree geopolitiche dalla storia e dagli interessi assai diversificati e contrastanti.

L’area baltica è costituita da Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, la cui adesione alla UE è stata concepita come una diretta e necessaria conseguenza del suo ingresso nella Nato. Questi paesi costituiscono un’area di influenza degli USA, che si sono sostituiti militarmente all’URSS. La presenza della Nato nell’area baltica si configura dunque come un avamposto occidentale strategico ed ideologico (quale area più marcatamente russofobica della Nato), di contrapposizione alla Russia.

La regione scandinava, in cui la Nato si è rafforzata con l’adesione recente di Svezia e Finlandia è invece, dal secondo dopoguerra in poi, un’area di influenza anglosassone – britannica, contrapposta alla Russia, ma anche incline a compromessi con Mosca. Data la cultura pacifista dominante nei popoli scandinavi, è da ritenersi assai improbabile la possibilità di conflitti bellici con la Russia.

L’area dell’Europa centro – occidentale, rappresentata da Germania, Francia, Italia e Spagna (l’Olanda è in bilico tra l’influenza germanica e quella anglosassone), che costituisce il nucleo predominante nella UE, è invece sostanzialmente refrattaria alla nuova cortina di ferro innalzata dalla Nato nell’Europa orientale. L’Europa continentale, sebbene abbia aderito alle sanzioni contro la Russia, è comunque contraria a recidere i legami sia storico – culturali che economici con Mosca, poiché tale frattura geopolitica inciderebbe negativamente ed in misura assai rilevante sull’economia europea e potrebbe inficiare lo stesso primato economico della Germania. Occorre inoltre tenere conto che i paesi dell’est europeo sono in realtà satelliti economici di una Germania alla cui influenza economica dominante non fa riscontro un corrispondente primato politico, data la sua subalternità alla Nato e agli USA. Lo stesso ruolo della UE, risulta attualmente assai indebolito e marginalizzato rispetto alla Nato. Basti citare il caso della Polonia, paese cui sono state comminate sanzioni da parte della Corte di Giustizia europea per violazione delle regole dello stato di diritto. Tali sanzioni sono state disapplicate, in virtù del ruolo strategico preminente ricoperto dalla Polonia nella espansione della Nato ad est. Occorre infine rilevare che la predominanza della Nato in Europa ha del tutto vanificato le aspirazioni europee riguardo alla creazione di una propria autonomia strategica.

L’Ungheria di Orban, benché membro della Nato, persegue una politica autonoma. L’Ungheria non ha mai interrotto i propri legami energetici con la Russia ed è refrattaria alle sanzioni occidentali contro Putin.

La Turchia è un paese membro della Nato che tuttavia svolge una propria politica estera autoreferente. Non ha aderito alle sanzioni contro la Russia. Anzi ha assunto un ruolo di mediatore nel conflitto.

La creazione di una nuova “Cortina d’acciaio” nell’Europa orientale in chiave russofobica, ha fatto venir meno l’interesse strategico della Nato nell’area mediterranea dell’Europa. Questi mutamenti della strategia geopolitica della Nato coinvolgono direttamente l’Italia. Tuttavia nell’area mediterranea, l’apparente disinteresse della Nato per il fronte meridionale dell’Europa (determinato dal disimpegno americano in Medio oriente e nel Nord Africa), si è tramutato nei fatti, in un tacito assenso alla politica di espansione neo ottomana di Erdogan, con la conseguente penetrazione della Turchia stessa nel continente africano, a danno dell’Europa e soprattutto dell’Italia, che è stata estromessa dalla Libia. La Turchia è un paese membro della Nato, che comunque persegue una politica imperialista nel mediterraneo e in Africa, ma le strategie di Erdogan non si rivelano mai in contrasto con quelle della Nato.

L’Europa implode?

Il conflitto tra USA e Russia in Ucraina ha anche una valenza ideologica. La propaganda del mainstream ripropone lo scontro di civiltà tra l’Occidente liberal – democratico e le autocrazie di Russia e Cina. Emerge dunque da tale contrapposizione il configurarsi del modello occidentale come una civiltà superiore, quale espressione del primato americano nel mondo. Primato in virtù del quale, le guerre americane sono ideologicamente e moralmente legittimate come missioni in difesa della civiltà occidentale. Ma nel modello liberal – democratico occidentale si evidenziano fattori di crisi e conflittualità che finiranno per condurre alla progressiva decadenza dell’Occidente stesso.

La crisi del modello occidentale appare evidente: la stessa UE ha largamente contribuito al processo di disgregazione progressiva delle istituzioni politiche degli stati europei.

La Germania è la potenza economica dominante nella UE, ma è irrilevante dal punto di vista geopolitico, a causa del suo status di paese a sovranità limitata nell’ambito della Nato. Data la sua dipendenza da gas russo, la crisi energetica e la guerra potrebbero compromettere il suo stesso primato economico. Al suo interno la Germania appare divisa in tre aree diversificate dal punto di vista culturale e socio – economico: la Baviera, che è il land più avanzato economicamente e dotato di larga autonomia anche nella UE, l’area renano – anseatica e la parte orientale corrispondente alla ex DDR.

Quest’ultima area, per quanto concerne le forniture energetiche, non è collegata all’Occidente, in quanto viene rifornita di petrolio russo mediante l’oleodotto Druzhba, che attraversa Bielorussia e Polonia. Pertanto, i land orientali potranno difficilmente affrancarsi dalla dipendenza energetica russa e rimarranno esposti alle possibili ritorsioni di Putin verso l’Occidente e alle eventuali azioni disgregatrici della Polonia in funzione anti russa. Aggiungasi che la riunificazione tedesca si è realizzata attraverso l’annessione della ex DDR alla RFT, con relativo accaparramento da parte di quest’ultima delle risorse economiche e con la destrutturazione del tessuto industriale della ex Germania orientale. I land orientali hanno subito un forte decremento demografico e le loro attuali condizioni economico – sociali sono largamente inferiori a quelle dei cittadini dell’ovest. E’ molto diffusa tra i tedeschi dell’est (gli ossis), la convinzione di vivere in uno stato di palese diseguaglianza economica e politica e la riunificazione tedesca viene considerata alla stregua di una occupazione dei territori dell’est da parte della Germania occidentale. Sono quindi assai diffusi nella popolazione della ex DDR sentimenti filorussi, al contrario dei land occidentali da sempre allineati con l’Occidente e la Nato. Con la guerra potrebbe accentuarsi questa faglia divisoria tra est e ovest.

E’ stato programmato un riarmo della Germania con investimenti per 100 miliardi nel contesto della strategia della Nato di contrapposizione alla Russia. Quindi la Germania dovrà distogliere rilevanti risorse dagli investimenti nell’economia e nelle infrastrutture sociali per destinarli agli armamenti. I rincari energetici, l’inflazione, la carenza di semiconduttori, sono fattori che potranno incidere negativamente sulla competitività di una industria tedesca ed europea basata sull’export. E’ però assai dubbio che una popolazione falcidiata dalla incombente recessione economica possa accettare questa trasformazione  dello status geopolitico della Germania da potenza economica dominante a potenza militare in funzione della politica di contenimento degli USA nei confronti della Russia. I giudizi della opinione pubblica tedesca sono attualmente assai critici verso la “coalizione semaforo” del governo Scholz riguardo alla politica economica e il ruolo svolto dalla Germania nella crisi ucraina.

In Francia la crisi istituzionale si è manifestata in tutta la sua evidenza. Il malcontento sociale già esploso con i gilet gialli negli anni scorsi è destinato ad espandersi e l’astensionismo è ormai maggioritario nelle elezioni politiche. Tali fenomeni evidenziano il totale distacco tra il popolo francese e le sue istituzioni. L’attuale ingovernabilità della Francia di Macron, scaturita dai risultati delle ultime elezioni, ne è la dimostrazione evidente.

Anche in Italia l’astensione dal voto è dilagante. Governi tecnici o comunque non rappresentativi degli orientamenti espressi dal corpo elettorale si sono succeduti da oltre un decennio. Governi tecnici e/o di unità nazionale come quelli di Draghi e Macron rappresentano la prevalenza di poteri tecnocratici legittimati dalla UE che si sovrappongono alla volontà popolare. I governi guidati dal pilota automatico europeo hanno sovvertito progressivamente le istituzioni democratiche e hanno inciso profondamente sulla sovranità stessa degli stati.

Si è manifestato inoltre in Europa già da lungo tempo un processo di decomposizione degli stati con l’emergere del fenomeno dell’autonomismo / separatismo. La Spagna (con la Catalogna) e la Gran Bretagna (con la Scozia e l’Irlanda del Nord), sono in stato di avanzata dissoluzione. Nella UE si è del resto imposto un sistema di ripartizione territoriale distinto per aree economiche omogenee a discapito dell’unità e dell’indipendenza degli stati nazionali.

Non sarà certo Putin a determinare la dissoluzione dell’Europa, che invece potrebbe implodere al suo interno, dilaniata dalle diseguaglianze sociali o tra gli stati e dagli egoismi regionali, nazionali o di classe.

L’occidentalizzazione predatoria dell’Ucraina

La solidarietà occidentale verso l’Ucraina si rivela cinica e ipocrita. Macron Draghi e Scholz, nell’incontro di Kiev con Zelensky, hanno sostenuto la candidatura dell’Ucraina per adesione alla UE, che potrebbe realizzarsi in un decennio. Ma l’ingresso dell’Ucraina nella UE altro non è se non l’integrazione di essa nel sistema capitalista occidentale.

La futura Ucraina, quale membro della UE sarà infatti inglobata nell’Europa dell’est, nell’area cioè di dominio economico tedesco, quale fornitore di materie prime e manodopera a basso costo, oltre a divenire un territorio destinato ad ospitare le delocalizzazioni industriali dell’Occidente. L’adesione dell’Ucraina alla UE rappresenterebbe dunque l’integrazione di un paese (che già vive in Occidente in uno status di subalternità politica), in un sistema di espansione economica incontrollata, di diseguaglianze, dominato dalle oligarchie finanziarie della UE.

L’Ucraina è comunque un paese le cui risorse sono già state oggetto di saccheggio da parte delle multinazionali dell’Occidente. Dopo il crollo dell’URSS, con l’indipendenza ucraina sono stati messi in atto programmi di privatizzazioni delle sue risorse agricole ed industriali, sotto l’egida del FMI, che concesse finanziamenti vincolati all’imposizione di politiche di rigore fiscale ed austerity. L’Ucraina dispone di 32 milioni di ettari coltivabili e produce annualmente 64 milioni di tonnellate di cereali e sementi, oltre ad orzo ed olio di semi di girasole di cui è tra i maggiori esportatori nel mondo. L’Ucraina, divenuta uno dei mercati agroalimentari più importanti del mondo, fu oggetto di gigantesche ondate speculative, a seguito delle riforme ultraliberiste imposte dall’Occidente. Grandi fondi di investimento quali Black Rock, acquisirono rapidamente il patrimonio agroalimentare ucraino. Secondo le stime di Open Democracy, oggi 10 aziende private controllano il 71% del mercato agricolo ucraino. Oltre agli oligarchi ucraini, multinazionali come Monsanto,  Cargill, Archer Daniels Midland e Dupont detengono la gestione di impianti di allevamento, di stabilimenti di fertilizzanti e le infrastrutture commerciali per l’export.

Si sta manifestando una crisi alimentare dagli effetti devastanti, specie nel terzo mondo a causa della carenza di prodotti alimentari esportati da Ucraina e Russia. Ma la crisi non dipende tanto dalla guerra, quanto dalla speculazione finanziaria. Da una recente intervista su “il Manifesto” all’economista francese Frédéric Mousseau, intitolata «Il grano c’è, le speculazioni sul prezzo provocano la crisi», emerge quanto segue: “La Fao all’inizio di maggio ha affermato che le scorte mondiali di cereali sono relativamente stabili. La Banca mondiale conferma che gli stock di cereali sono vicini a record storici e che tre quarti dei raccolti russi e ucraini erano già stati consegnati prima dell’inizio della guerra. Possiamo dire che non si prospetta una carenza imminente quanto piuttosto forti speculazioni sui mercati dei futures che scommettono sull’aumento dei prezzi e sulle carestie future per ottimizzare i guadagni”… “Chiaramente una crisi alimentare c’è, con milioni o centinaia di milioni di persone nel mondo in stato di insicurezza, senza accesso ad alimentazione adeguata o dipendenti dalle reti assistenziali, ma questo sussiste a prescindere dalla guerra. Esiste una crisi alimentare ma è una crisi senza effettiva carenza di alimenti”.

Il business rapace della ricostruzione dell’Ucraina

Con il protrarsi della guerra diviene sempre più attuale in Europa la prospettiva di una programmazione del business per la ricostruzione ucraina. Nella “Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina”, tenutasi recentemente a Lugano, Zelensky ha presentato un piano di 750 miliardi per il decennio 2023 – 2032. Si pone dunque il problema del reperimento dei fondi necessari. Nella UE si prospettano donazioni, emissioni di eurobond come per il NGEU (ma non sarà facile superare l’ostilità dei paesi frugali), o il reperimento di fondi mediante l’utilizzo dei 300 miliardi di beni e capitali russi congelati dai governi occidentali (la cui confisca difficilmente sarà consentita dai giudici).

Quali garanzie potranno essere offerte dall’Ucraina a fronte di tali finanziamenti? E’ dunque prevedibile un indebitamento ucraino che comporterà l’espropriazione delle sue risorse da parte dei creditori dell’Occidente? Si è comunque programmata una spartizione tra gli stati occidentali delle aree di ricostruzione. All’Italia è stato assegnato il Donetsk, che tuttavia è ora nelle mani dei russi. E’ un territorio occupato dal 2014 dai separatisti russi. E il paradosso è che la ricostruzione verrebbe effettuata su territori bombardati dagli ucraini per riconquistarli.

L’Ucraina è un paese devastato oltre che dalla guerra, anche e soprattutto dalle politiche neoliberiste imposte dall’Occidente. Dopo 30 anni di indipendenza, i redditi e la qualità della vita sono inferiori agli standard degli anni ’90. Dal punto di vista demografico, l’Ucraina presenta un accentuato calo delle nascite ed un’alta percentuale di mortalità infantile, oltre ad essere falcidiata dalla emigrazione. Le migrazioni sono considerate una grande opportunità per i paesi capitalisti, in quanto la mobilità della forza lavoro incrementa “l’esercito industriale di riserva” e favorisce la compressione salariale. Ma l’emigrazione sottrae risorse umane ai paesi d’origine. Le migrazioni dall’est europeo, fenomeno correlato all’espansione della Nato in Eurasia, rivelano il tragico destino cui sono incorsi tanti popoli con l’avvento della globalizzazione. L’Occidente ha infatti trasformato in un popolo di badanti, manovali ed emarginati, milioni di individui che negli stati d’origine ricoprivano spesso ben altre posizioni sociali. La situazione della ricostruzione dell’Ucraina è ben descritta da Fabio Mini, coautore con Franco Cardini del libro “Ucraina, la guerra e la storia” PaperFist 2022: “Nel frattempo l’UE ha già erogato 600 milioni del miliardo a due concessi per l’assistenza. La Banca mondiale ha già previsto un prestito integrativo di 350 milioni e una garanzia per altri 139 milioni. Il Fondo monetario internazionale (FMI) ha in programma uno stanziamento di 2,2 miliardi. Nella corsa alla ricostruzione sono già in prima fila Polonia, Germania e Francia. Ma l’inventario delle ricostruzioni potrebbe durare anni. L’Ucraina “liberata” si appresta ad essere uno Stato schiavo dei debiti nelle mani di una troika che non farà sconti a nessuno (Grecia docet). Sul piano demografico, l’Ucraina è già un Paese in capitolazione con una decrescita costante del 7 per mille e una forte emigrazione. In una nazione disastrata dalla guerra la gente non torna volentieri e il Paese diventa dipendente dalle rimesse degli emigrati (cosa che l’Ucraina è già), e preda dei profittatori del dopoguerra che in genere controllano i governi e non arricchiscono di certo la popolazione”.

L’Occidente e il nuovo multilateralismo

Questa guerra ha fatto emergere una profonda divaricazione nella geopolitica mondiale, che non è quella tra Occidente ed Oriente della Guerra fredda. Si è invece determinata una contrapposizione netta tra L’Occidente e il resto del mondo, ossia il non – occidente. La globalizzazione ha dunque fallito, quale fenomeno di espansione economico - finanziaria illimitata che ha comportato parallelamente l’esportazione a livello planetario di un sistema neoliberista di matrice anglosassone. Non a caso il tramonto della globalizzazione coincide con il declino della potenza americana. La globalizzazione non ha generato dialogo, pacificazione e sviluppo tra i popoli, ma ha dato luogo semmai a contrapposizioni sempre più nette e prodotto infiniti conflitti.

La faglia sempre più profonda di incomunicabilità che divide l’Occidente dai popoli degli altri continenti è di natura ideologico –  culturale. L’identità assunta dall’Occidente negli ultimi tre secoli scaturisce dalla cultura illuminista, che è all’origine della società liberale e quindi del dominio capitalista a livello globale. Il modello occidentale è fondato su di un individualismo astratto che conduce allo sradicamento delle identità storico – culturali dei popoli, in vista di un progresso illimitato e irreversibile. Pertanto, in virtù di una ideologia che postula il dogma aprioristico della necessità storica del progresso, l’Occidente si è auto legittimato ad imporre una sua superiorità morale (perfettamente coincidente con la dottrina americana del “destino manifesto”, secondo cui i valori e gli interessi degli USA si identificano con i destini del mondo), con l’esportazione nel mondo di un modello di società neoliberista che comporta l’annullamento del senso e della coscienza della storia dei popoli.

La società europea dalla metà del secolo scorso vive nella dimensione della post – storia. L’Europa attuale è infatti priva di memoria storica, estranea agli eventi geopolitici del presente ed è incapace di concepire progetti futuri. La dimensione della non – storia in cui si dibatte l’attuale Europa è ben delineata da Romano Ferrari Zumbini in un articolo intitolato “L’Occidente nella trappola di Narciso”, apparso sul numero 5/2022 di “Limes”: “La società occidentale del XXI secolo è pervasa dal razionalismo. L’illuminismo è immanente alla società contemporanea. Si pensi al fascino della parola <rivoluzionario>: quale pubblicitario non ricorre all’aggettivo <rivoluzionario> per propagandare con enfasi la (più o meno effettiva) migliore qualità di un nuovo prodotto da lanciare sul mercato? Il nuovo è sempre garanzia di migliore. Così facendo, si cancella il passato e si ipoteca il presente, destinato a soccombere di fronte al futuro”.

La guerra russo – ucraina è in realtà un conflitto geopolitico tra USA e Russia destinato a trasformare l’ordine mondiale. Il suo esito e soprattutto le sue conseguenze sono imprevedibili. In questo conflitto occorre distinguere un aggressore tattico, che materialmente ha provocato la guerra (la Russia), e un aggressore strategico che ha reso inevitabile la guerra (gli USA). Nel sopra citato libro “Ucraina, la guerra e la storia”, Franco Cardini ripropone una interpretazione degli eventi desunta dalla cultura classica: “la trappola di Tucidide”. Secondo quanto afferma Franco Cardini: “La trappola che reca il suo nome scatta quando una grande potenza, che però si sente per certi versi minacciata dalla decadenza, ritiene di poter arrestare quel processo negativo assalendo una potenza subordinata e periferica. Lo fecero gli ateniesi con Delo all’origine dell’evento noto come <guerra del Peloponneso>. Ma dietro la fragile Delo c’era la grande Sparta: e ciò fu alla base della rovina dell’antica Grecia”.

E’ dunque caduto nella trappola Putin, che aggredendo l’Ucraina ha provocato l’intervento americano che alla lunga logorerà e destabilizzerà la Russia, oppure vi è caduto Biden, che con la guerra farà sorgere una alleanza tra Russia e Cina che porrà fine al primato americano nel mondo? E’ al momento impossibile qualunque risposta, data l’imprevedibilità della storia.

Un nuovo ordine mondiale ispirato al multilateralismo va comunque delineandosi. Si è tenuto tra il 23 e il 24 giugno un vertice dei paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), da cui sono emerse le linee direttive di un nuovo ordine mondiale. Tali paesi rappresentano un terzo delle terre emerse, il 43% della popolazione mondiale e il 25% del Pil globale, oltre ad essere detentori di larga parte delle materie prime del pianeta. Tale compagine è destinata ad ampliarsi. Vogliono aderire l’Argentina, potenza agricola condannata al default dall’imperialismo americano e l’Iran, grande produttore petrolifero, sotto embargo americano e soggetto alla criminalizzazione internazionale per non essersi mai piegato alla potenza USA.

I BRICS sono paesi assai diversificati nelle loro culture e nei loro interessi. Sono però in grado di generare una contrapposizione geopolitica globale nei confronti degli USA. In tale nuovo contesto multilaterale, l’Occidente ne esce isolato e ridimensionato nel suo ruolo geopolitico egemone nel mondo. Così si esprime Andrea Zhok, in un recente articolo intitolato “La capovolta del mondo che abbiamo conosciuto”: “Certo, i BRICS avranno la difficoltà consistente di muoversi armonicamente, in quanto hanno alle spalle una pluralità di tradizioni e culture differenti, ma finché esisterà l'impero americano con il suo bullismo internazionale, essi avranno sia un forte incentivo a farlo, sia una guida chiara a cosa fare.

Dunque, nonostante battute d'arresto, questo sarà lo scenario emergente, che travolgerà e capovolgerà il mondo che abbiamo conosciuto. Ci vorranno alcuni decenni per vedere pienamente tutti gli effetti economici e demografici, ma un effetto si vedrà subito: le province dell'impero americano faranno i conti con il crollo della propria struttura ideologica, quella struttura che li ha condotti a innalzare una teoria economica neoliberale e una teoria etica liberale a unica visione del mondo”.