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La rivoluzione liberal che cancellerà l'uomo dall'orizzonte della storia

di Riccardo Paccosi - 16/06/2020

La rivoluzione liberal che cancellerà l'uomo dall'orizzonte della storia

Fonte: Riccardo Paccosi

LA RIVOLUZIONE LIBERAL, CHE CANCELLERÀ L’UOMO DALL’ORIZZONTE DELLA STORIA E REALIZZERA’ L’OBIETTIVO NICHILISTA SUPREMO, NON PUÒ ESSERE FERMATA.

PREMESSA
In questi giorni, insieme al consolidarsi del paradigma sanitario come fondamento ordinativo della società e insieme alla fine della parabola politica di Donald Trump e quindi di quella fase post-globalista che parzialmente egli incarnava, stiamo assistendo a quella che potrebbe rivelarsi la più radicale trasformazione della storia umana.
Per delinearne i tratti generali, questo intervento non si pone il problema della cautela né del rispondere alle immancabili contestazioni da parte d’una cultura di sinistra che, in questa sede, è esattamente enunciata come nemico principale della specie umana nonché latrice d’una visione di morte.
Quantunque implicante trasformazioni radicali, questa rivoluzione in realtà non dovrebbe essere definita tale, a meno di non considerare rivoluzionario anche l’uso della mobilitazione di massa da parte di fascismo e nazismo nel secolo scorso. Si tratta, piuttosto, di una rinnovata presa del potere in cui, come in altre fasi storiche, è il capitalismo – e non i suoi deboli o presunti antagonisti - a farsi carico dello spazzar via il proprio e precedente assetto sistemico andato in crisi.

CINQUE STRATAGEMMI IDEOLOGICI, PER UN MONDO SENZA L’UOMO
La grande trasformazione si muove a partire da cinque grandi stratagemmi ideologico-narrativi:
a) trasformare il nichilismo, la precarietà e la fine del futuro generati dal capitalismo neoliberale, attraverso la narrazione pandemica, in paura della morte; in questo modo, una narrazione metafisica e “religiosa” (cioè avvolgente l’intera sfera dell’esistenza umana) s’impone sull’assenza di senso ch’è propria del sistema;
b) sussumere la tematica ambientalista entro un orizzonte apocalittico che generi nei poveri e nel ceto medio un senso di colpa facente sì ch’essi accettino la sottoproletarizzazione di massa in corso nelle società occidentali e accettino, soprattutto, di essere loro e soltanto loro a doversi sacrificare – e quindi ridurre i loro consumi – ai fini di “un mondo più sostenibile”;
c) il tema ambientalista pone inoltre un dato di ribaltamento teleologico: se l’uomo è diventato insostenibile rispetto alla sopravvivenza del pianeta, la soluzione proposta non consta di allentare il principio dell’accumulazione di profitto o di correggere l’urbanesimo o di riconnettere parzialmente l’uomo all’ambiente naturale; no, se l’uomo è fattore di instabilità, allora è necessario togliere l’uomo dal quadro, ovvero far sì che non sia più l’essere umano il tèlos – la finalità – del sistema sociale, bensì lo diventi la riproduzione tecnologico-macchinica del sistema in quanto tale;
d) affinché al centro della teleologia futura del mondo non vi sia più l’uomo, è dunque necessario che gli esseri umani cessino di percepirsi come tali; di conseguenza, l’imbozzolamento domestico-consumista generato dalla pandemia va a unirsi alla pregressa dissoluzione dei legami territoriali, tradizionali e generazionali non solo al fine di sciogliere il senso di appartenenza interno alle classi sociali povere ma, anche e soprattutto, per erodere alle fondamenta il senso di appartenenza di specie;
e) per eliminare il senso di appartenenza alla specie, è altresì necessario che scompaia il nucleo famigliare, in quanto troppo strettamente collegato a quella finalità basilare che accomuna tutte le specie viventi, ovvero la riproduzione; a tale scopo diviene dunque necessario sminuire e contestare la relazione uomo-donna, sia creando fattori di distanziamento progressivo come il rendere un crimine sessista il corteggiamento, sia negando una qualsivoglia relazione causale-naturale tra identità di genere e corpo biologico, sia avvolgendo la riproduzione sotto un dominio della tecnologia che, come nel caso della maternità surrogata, azzeri i principi ancestrali di specie quali padre e madre.

IL FUNZIONAMENTO CAOSMOTICO, CHE CONFUTA COMPLOTTISTI E ANTICOMPLOTTISTI
Gli stratagemmi ideologico-narrativi sopra descritti, si muovono in sinergia e conseguono l’egemonia, attraverso una modalità relazionale e funzionale di tipo caosmotico.
Diversamente da quanto pensano i complottisti, cioè, la trasformazione non si sviluppa a partire da un nucleo omogeneo di potere svolgente un ruolo direttivo o di controllo sui molteplici piani d’attuazione. Ma diversamente anche da quanto pensano gli anticomplottisti, va parimenti considerata come del tutto priva di logica e fondamento l’idea che i vari aspetti del sistema siano fra loro scollegati e che manchi una visione strategica unitaria.
L’assunzione del modello caosmotico ci dice invece che sì, gli strateghi ci sono e fanno parte delle èlite politico-economiche occidentali. Ma gli enunciati strategici di queste ultime, non vengono sospinti a forza e volontariamente in ogni anfratto delle istituzioni e dell’immaginario collettivo: gli enunciati vengono divulgati pubblicamente e subito dopo, per diventare indirizzi operativi, essi devono affidarsi a una propagazione spontanea e facente leva su meccanismi pregressi di egemonia ideologica e culturale. In altre parole, se Bill Gates annuncia che forme di distanziamento sociale sono destinare a diventare permanenti e poi, subito dopo, nelle scuole italiane si annuncia la riapertura fornendo a tutti i bambini un braccialetto elettronico controllante la distanza d’un metro, non siamo di fronte a un rapporto causale diretto, bensì di fronte a un processo certamente sinergico e unitario sul piano strategico, ma generato da un effetto-domino che consegue l’egemonia facendo sì che le idee si propaghino spontaneamente lungo una vettorialità caotica e parzialmente incontrollata.

IL RITORNO DELLA “COSTELLAZIONE FASCISTA” (MA STAVOLTA A SINISTRA) E IL RUOLO SUBORDINATO DELLE DESTRE
Come descritto dallo storico Joachim Fest, tanto il fascismo quanto il nazismo, per ascendere al potere nella prima metà del secolo scorso, dovettero contare sul progressivo e lento formarsi di una “costellazione fascista”, ovvero di una variegata e disomogenea rete favorevole di relazioni di potere.
Oggi che la “rivoluzione” è promossa dalle stesse èlite al potere, la strategia di trasformazione conta appunto del formarsi d’una costellazione composta da media mainstream, produzione culturale, apparato industriale, istituzioni scientifiche, magistratura e, in ultimo, da masse fanatizzate nonché - come vediamo con gli attacchi alle statue e alle opere artistiche del passato - decisamente inclini alla violenza squadrista.
Da questo punto di vista, la presunta opposizione alla strategia neoliberale incarnata dalle formazioni populiste, appare risibile e velleitaria.
In primo luogo, nessuna forza populista ha fino a oggi elaborato qualcosa di anche lontanamente simile a una visione del mondo. C’è addirittura chi in questo campo teorizza la non utilità delle visioni del mondo in quanto tali – come in Italia il Movimento 5 Stelle – e che finisce, ovviamente, per ritrovarsi subordinato alla visione dominante. Ma anche le formazioni più specificamente di destra, o si limitano a capitalizzare elettoralmente il dissenso senza implicare visioni alternative (Lega di Salvini), oppure si limitano a un intervento correttivo e parziale che magari riesce pure a riportare una certa quota di protezionismo a favore dei mercati interni e a generare maggiore occupazione ma, senza una visione aggressiva e rivoluzionaria rispetto all’insieme della società, finisce per ritrovarsi accerchiata e sconfitta dagli attacchi liberal (asse Bannon-Trump).
Per quanto riguarda l’opposizione di stampo neo-socialista o marxista – di cui fa parte chi scrive – in tal caso andrebbe articolato un discorso parzialmente diverso ma che affronterò in altra sede.
Dunque, siamo dinanzi a un’assoluta irrilevanza storica delle destre e, al contempo, assistiamo al formarsi di una costellazione fascista a favore di quell’area che ha ereditato la denominazione di “sinistra”.

L’ASSOLUTISMO MORALE DELLA SINISTRA COME STRUMENTO DI VIOLENZA POLITICA, CHE AZZERA LA MEDIAZIONE DEMOCRATICA
Come dice il filosofo Jean-Claude Michea, oggi non siamo di fronte a una sinistra che ha rinnegato se stessa tramutandosi in destra, bensì dinanzi a una sinistra che, al contrario, ha riscoperto quelle radici borghesi e illuministe ch’erano state temporaneamente mitigate durante la parentesi – tutto sommato breve – della sua alleanza con la classe proletaria e col movimento operaio.
I dispositivi con cui la sinistra anti-proletaria di oggi mette in atto la propria egemonia al servizio della causa neoliberale e post-umanista, sono i seguenti:
a) innanzitutto, oggi più che mai la sinistra enuncia il determinismo storico come chiave di lettura dei fenomeni politici e sociali; tutto ciò che viene enunciato, cioè, è accompagnato dal crisma dell’ineluttabilità e dalla superstizione secondo cui la storia procederebbe lungo binari prefissati;
b) in secondo luogo, la sinistra attribuisce alla retorica un ruolo non già subordinato all’analisi, bensì autonomo; in altre parole, se un enunciato è retoricamente efficace, a tale efficacia viene attribuito un valore cognitivo ed epistemologico; assiomi completamente privi di fondamento storico e perfino di logica interna come “l’Unione Europea ci ha donato settant’anni di pace”, in questo modo, vengono interpretati come realtà in virtù del fatto che “suonano bene”;
c) l’autonomia della retorica consente di trasferire l’orizzonte motivazionale e valoriale della politica, dalla sfera dell’etica collettiva a quello dell’assolutismo morale; nella narrazione della sinistra odierna, un Bene assoluto si contrappone a un Male assoluto e quest’ultimo coincide con tutto ciò che esprime dissenso verso gli enunciati della sinistra; in questo modo, oltre a venir meno qualsiasi principio di mediazione e dunque a cessare di esistere – al netto del perdurare dei simulacri istituzionali – la democrazia come principio normativo, è possibile per la sinistra svolgere operazioni di frode ideologica come quella del promuovere una visione schiavista nei confronti dei lavoratori, tanto immigrati quanto autoctoni, in nome dell’opposizione al razzismo; di più: l’antirazzismo diviene il dispositivo strategicamente centrale perché, negando le differenze fra gli uomini, contribuisce al venir meno della percezione delle differenze di classe e, come vediamo in questi giorni con la rivolta dei proletari afroamericani, eleva un principio di assolutismo morale legato al colore della pelle al di sopra della questione sociale e degli assetti sistemici che l’hanno generata.

LA TECNICA, SUL TRONO CHE FU DI DIO
Così come l’imbozzolamento domestico-consumista ha reso gli individui incapaci anche solo d’immaginare un sistema sociale diverso da quello in cui sono immersi, allo stesso modo la totale scomparsa della religiosità e della cultualità collettiva hanno cancellato ogni ipotesi di ulteriorità sovrasensibile o metafisica.
Compiutasi la Morte di Dio e avviatasi la perdita del sacro finanche dalla memoria, con la pandemia abbiamo assistito a un’Apocalisse deprivata della promessa di redenzione.
L’unica prospettiva a cui l’essere umano separato – anche fisicamente – dagli altri della propria specie può oggi guardare, è quella del bozzolo tecnologico e protettivo predisposto dal sistema tecno-sanitario.
Tutto questo, entro una dimensione telematica dove l’uomo cessa di guardare le stelle e interrogarsi sulla propria finitezza nonché sull’infinito che lo circonda: ogni universo ulteriore è difatti esperibile virtualmente, ogni distinzione fra uomo e universo – come teorizzato dal filosofo del post-human Roberto Marchesini – viene inevitabilmente meno.
E l’apparato tecnico-macchinico che connette e fa funzionare tutto questo, si siede sul Trono che fu di Dio, relegando in infiniti interstizi di consumo individui soli e isolati, deprivati della propria luce interiore, verso l’ideale nichilista supremo di un mondo che esiste, persiste ma totalmente privo di vita.