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La scienza tiranna minaccia la democrazia

di Claudio Risé - 05/12/2018

La scienza tiranna minaccia la democrazia

Fonte: Claudio Risé


L'élite dei «tecnici» sta prendendo il potere e fa pressione sugli
Stati. Ma è formata da sapienti che si autonominano infallibili anche
se commettono errori dagli effetti tragici. Il vizio d'origine è cercare
di rinchiudere la realtà nella gabbia della matematica.

La Scienza chiede rispetto. Ce lo intimano in tanti: presidenti della
Repubblica di vecchio tipo, Presidenti di Accademie, membri autorevoli di
Chiese che fino a pochi secoli fa bruciavano alcuni di quelli che parlavano di
scienza. Però su cosa la scienza sia c'è una certa confusione; a parte
riconoscere, con Karl Popper, che è tale quella che accetta di essere messa
in discussione e verificata, altrimenti non è più scienza ma ciarlataneria. Oggi
però, se la discuti, sei subito un somaro (come si esprimono scienziati molto
televisivi, ignari della grandezza del simbolo della fatica raccontato in: Asino
caro o della denigrazione della fatica di Roberto Finzi, Bompiani).
A chiedere rispetto, anzi intimidire chi critica, più che la scienza sono però
quelli che parlano in suo nome, e si definiscono "scienziati". Un gruppo di
pressione studiato con attenzione fin dagli anni 60 da alcuni studiosi di
scienza politica, a cominciare dal francese Jean Meynaud, che nei suoi libri
sulla Tecnocrazia presentò con conoscenza di causa questa nuova elite del
potere, rappresentata appunto dagli scienziati dei saperi tecnoscientifici. Non
è sorprendente: nelle società militariste vogliono comandare i generali, in
quelle teocratiche i vescovi, e in quelle scientifiche gli scienziati e i tecnici. E
la nostra è una società industriale, fondata su un modello di produzione
tecnoscientifico, dove tecnici e "scienziati" vogliono comandare. Ciò non
significa però che vadano lasciati fare. Anzi, vanno assolutamente fermati
come la letteratura e la saggistica, anche scientifica - a partire appunto da
Meynaud- hanno abbondantemente dimostrato.
I veri grandi scienziati ci avevano spiegato da sempre, con Leonardo da Vinci
nei suoi Codici, che pochi sbagliano come gli scienziati, soprattutto i
matematici. Il loro guaio è la loro segreta competizione con la natura. Si
tratta di una debolezza comprensibile, perché è proprio la scienza stessa a
dimostrare la miseria dell'umano rispetto all'incredibile perfezione della
natura. Molti scienziati però nel loro delirio di grandezza non accettano che
sia la natura, e non l'uomo all'origine di tutti i fenomeni, anche più profondi,
sottili e meno visibili. Innamorati della sofisticata perfezione dei loro calcoli,
non vedono i limiti delle loro valutazioni e sbagliano. Tanto da generare oggi
un intero genere editoriale dedicato ai loro errori: tra gli ultimi: Astrobufale, di
Luca Perri (Rizzoli), già autore di: Errori galattici (De Agostini); e Cantonate.
Perché la scienza vive di errori. di Mario Livio, BUR. Dunque alla larga dalla
scienza, e viva il Selvadego leonardesco, che si salva.
Gli errori degli scienziati, però, non sono dovuti solo al fatto che per trovare la
cosa giusta bisogna prima sbagliare, come benevolmente spiegano le
fascette editoriali dei libri in questione. Leonardo faceva notare che nella
scienza asservita all'astrazione matematica c'è proprio un errore
fondamentale, epistemologico (come dicono i filosofi della scienza). Si tratta
della preferenza non innocente, già segnalata dall'autore dei Codici, degli
scienziati per le formule rispetto allo studio accurato dei fenomeni come si
danno in natura. Come invece faceva lui, che genio lo era davvero, ed anche
molto testardo. L'asservimento della scienza diverrà poi la regola nel secolo
successivo a Leonardo con Galileo Galilei, iniziatore della scienza moderna,
da lui definitivamente imbrigliata nella matematica attraverso la
"matematizzazione della natura", (come l'ha poi definita, il filosofo Husserl).
Privando così i fenomeni naturali del loro significato complessivo per la vita
reale dell'uomo (oltre che della loro bellezza), come noteranno appunto
buona parte dei filosofi della scienza. Compreso grandi matematici del '900,
come Gaston Bachelard, che per consolarsi dell'astrattezza delle formule in
cui ci ha rinchiusi questo pervertimento scientifico ci ha poi lasciato le sue
splendide e profonde meditazioni sulle Immagini dell'aria, della terra,
dell'acqua, del fuoco ( Red edizioni).
Il separare nella natura e nell'uomo i "fatti", riducibili a formule matematiche,
da tutto il resto (gli aspetti psichici. i sentimenti, le forze spirituali), ha creato
una scienza di fatti privi di senso sul piano umano, come ha messo poi in
luce Edmund Husserl, il maggior filosofo della scienza del 1900, fondatore
della Fenomenologia. Nella sua opera Crisi delle Scienze europee egli
mostra il carattere autoritario e parziale della scienza dei "fatti" e la necessità
che essa esca dal recinto matematico in cui si è chiusa negando ad ogni altra
disciplina diritto di parola.
La preferenza dei tecnoscienziati per le formule matematiche e le loro
osservazioni parziali, che interessano soprattutto i grandi produttori di beni e
servizi, ha anche destinato gli "scienziati dei fatti" a preferire il mondo
inorganico, dei materiali senza vita o artificiali, a quelli del mondo organico,
vivente. Il perché l'ha spiegato bene (tra gli altri) l'antropologo Arnold Gehlen:
la natura inorganica è più facile tra trattare e trasformare di quella biologica
"infinitamente più irrazionale", anche se molto più ricca. E la "scienza dei fatti"
quando c'è odore di ciò che non rientra nelle formule, e quindi secondo lei è
irrazionale, gira al largo. Peccato che questa caratteristica ce l'abbiano la
libertà, e la vita.
I "fatti" della scienza ridotta a formule matematiche costringono così
progressivamente l'uomo dentro una gabbia di comportamenti programmati
dei quali non riesce a vedere il senso e non può assumersi la responsabilità.
Quale è il senso di stroncare le infezioni con farmaci cui i batteri si abituano
diventando nel giro di poco invincibili, come succede ora agli antibiotici
distribuiti generosamente fino a ieri per i disturbi più banali, e oggi merenda
preferita di batteri e virus? O assumere vaccini contro malattie quando i paesi
che danno la copertura più alta alle corrispondenti infezioni registrano anche
il maggior numero di ammalati? L'uomo ipercurato è oggi un individuo debole,
e insicuro.
Il fatto è che la tecnocrazia ha sposato questa scienza matematicizzata e
astratta proprio perché è quella che non ha rapporti con il mondo dell'uomo,
vivente, libero e imprevedibile, in quanto impegnata a livello economico e
produttivo a costruire il "mondo nuovo" degli incubi novecenteschi. Popolato
non da esseri umani liberamente pensanti e accesi dalla passione dell'amore,
ma individui programmati e a volte concepiti in laboratorio e quindi liberi da
appartenenze familiari, nazionali, territoriali, religiose, artistiche, spirituali.
Quando avevo poco più di vent'anni, e Jean Meynaud, allora professore di
Scienza politica alle Università di Losanna, Ginevra e all'Ecole Pratique de
Hautes Etudes a Science Po, a Parigi, mi coinvolse tra queste varie città nei
suoi studi sulla Tecnocrazia, vidi e studiai direttamente la tendenza sempre
più evidente dei tecnici e scienziati di riunirsi in un'elite, per sostituire
gradualmente i poteri politici nazionali. Già allora (i primi anni 60 del '900)
grazie alla forte presenza della maggiori agenzie nell'ONU, si vedeva assai
bene, soprattutto da Ginevra, che i tecnoscienziati tendevano a scavalcare le
istituzioni politiche locali, premendo direttamente sulle decisioni delle
Organizzazioni sovranazionali, meno condizionate dai territori locali.
Più di mezzo secolo è passato in un soffio: nel frattempo le élite, compreso
quella degli "scienziati", hanno conquistato e organizzato le nostre vite. Ma,
come avevano previsto veri scienziati tra i quali Spengler e Toynbee, il mondo
è a disagio, e non ci sta. Leonardo ci aveva avvisati: la vita non si lascia
chiudere in formule. Gli "scienziati" se ne facciano una ragione.