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La Sibilla, Demetra, Iside, ma è ridicolo, no?

di Etain Addey - 04/04/2020

La Sibilla, Demetra, Iside, ma è ridicolo, no?

Fonte: Lato selvatico

 

Dobbiamo credere allora che parlino ancora gli antichi oracoli? A che genere di fenomeno ci riferiamo richiamando alla mente questi tre episodi? Come è possibile che queste vecchie leggende europee abbiano qualcosa da dirci in questo momento difficile, ora nel 2020?

Per noi moderni gli incendi e i terremoti sono episodi senza significati oltre a quelli legati alle conseguenze materiali. Non abbiamo più, ma da molti secoli, l’idea che siano presagi o messaggi degli Dei, un’idea che ci sembra ora fantasiosa e superata.

Ma possiamo chiederci su quale visione del mondo fossero basate queste credenze. Mi sembra che in tutti i tempi e in tutte le società pre-moderne, il mondo fisico fu visto come un’entità vivente, prioritario rispetto agli organismi che contiene. Per poter meglio concepire la natura di questa entità contenitrice e nutrice, gli esseri umani hanno sempre personificato le sue parti.  Così i fiumi, le montagne, i mari, i deserti, le foreste sono stati rappresentati come Dei e Dee. Dalla molteplicità evidente del mondo emersero molte divinità con cui gli umani esprimevano il loro fondamentale legame con il mondo e questo perché l’unica soggettività che conosciamo in modo diretto è quella umana.

Demetra e Persefone furono chiamate le “sacre Dee nutrici” e qual è in realtà la nutrice di tutti noi? È il mondo fisico, le sue acque, le sue piante e animali. Sono Dee che rappresentano il mondo materiale nella sua interezza.  E Iside? La preghiera a Iside recitava,“Salute a te, o grande, o divina, la tua veste non è stata sciolta, non è stata sciolta! Salute a te, oh Nascosta, non c’è via che porti fino a te.”  E qual è questa veste? Non sarà un modo per parlare della natura verde e feconda dietro alla quale si intravedeva una soggettività invisibile ma sentita?

Nella nostra moderna società utilitaria, questo linguaggio di rispetto e venerazione suona eccessivo e primitivo.

Ma riflettiamo. Questo tradizionale modo di concepire la natura del mondo ha prodotto delle società che hanno prosperato per millenni. Noi invece abitiamo una società “globale” dove l’eventuale divinità è trascendentale e il mondo fisico è abbandonato all’ingordigia degli sfruttatori, una società precaria che ora sta sul lastrico.

Vogliamo per un momento sperimentare l’antica visione e vedere se ci aiuta?

Se il mondo fisico fosse vivo, presente a se stesso, una soggettività intelligente, comunicativa, con dei fini propri e dei tempi oltre-umani, in che modo potrebbe parlare con noi, le sue piccole parti dipendenti?

Per parlarsi bisogna avere una lingua comune, un linguaggio condiviso. Quale potrebbe essere il linguaggio dei mari, delle foreste, dei fiumi e delle montagne? Sarebbe per forza un linguaggio fisico, fatto degli elementi di questo mondo – acqua, fuoco, terra, pietre, piante, animali, fenomeni metereologici -  ma come faremmo noi umani a capirlo?

Credo che nei tempi lunghi della storia umana, ci siamo fatti suggerire dal mondo delle storie, e sono le grandi narrazioni mitologiche. Abbiamo creato, noi e il mondo insieme, una lingua.  Così, quando la montagna si spacca sotto la Corona della Sibilla,  invece di fare solo delle misurazioni Richter, potremmo ricordarci del suo ruolo di profetessa e chiederci cosa ci aspetta. Quando siamo davanti al fuoco spaventoso di Notre Dame e della Dea Iside, potremmo chiederci a quali avversari si oppongono queste Dee e perché. Quando vediamo la gente, ignara, che torna a correre per le strade di Eleusis, potremmo ripensare a quello che si celebrava nella notte sacra a Demetra e allora forse ci ricorderemmo l’inverno che calò sul mondo quando la Dea nutrice perse la figlia e lo sforzo che dovette fare Demetra per cercarla e far rinverdire il mondo.

Così forse capiremmo che il mondo fisico  ci parla nel linguaggio che insieme, noi e il mondo, abbiamo creato, quello dei miti della tradizione europea. Sicuramente in altre parti del mondo, antiche storie di luogo vengono rievocate per chi è in ascolto nei momenti di crisi, come potevano essere i recenti incendi spaventosi in Australia.

La posizione filosofica che vede l’intero cosmo fisico come dotato di un’interiorità psichica si chiama panpsichismo. Uno dei sostenitori di questa idea, Koch, dice, “Spesso incontro sguardi di incomprensione totale” e l’enciclopedia di filosofia Thomson-Gale (2006) inizia l’articolo sul panpsichismoo con queste parola: “Anche se il panpsichismo sembra ora incredibile alla maggior parte delle persone, è stato accolto in un modo o l’altro da molti pensatori eminenti sia nell’antichità che in tempi più recenti.”

La visione panpsichista è un’alternativa alla visione meccanicistica di Newton nella quale siamo tutti cresciuti. Personalmente, mi ha aperto gli occhi su queste possibilità il lavoro dell’ecofilofosa Freya Mathews, che fa un’indagine rigorosa e razionale della visione panpsichista e mostra la fragilità delle premesse della scienza moderna secondo cui il mondo è solo uno sfondo inerte per l’esistenza umana, invece di una presenza in sé comunicativa, capace di dialogare con noi.

Possiamo permetterci di rimanere ancora a lungo sordi ai richiami del mondo?