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La sovranità popolare

di Andrea Zhok - 18/08/2022

La sovranità popolare

Fonte: Andrea Zhok

Quando si parla di sovranità, grazie all’indefessa opera di demolizione dei nostri media a gettone, il pensiero del cittadino medio corre ad associazioni come “nazionalismo”, “stato etico”, finanche “fascismo”.
Dimentichi del primo articolo della costituzione, gli italiani sono stati addestrati come i cani di Pavlov, ad aggrottare le sopracciglia con ostilità e sospetto di fronte ad ogni espressione che presenti la radice “sovran-“.
Se fossimo in un contesto di filosofia politica potremmo facilmente dimostrare l’insensatezza tecnica di un atteggiamento denigratorio verso l'idea di 'sovranità', ma nel contesto presente, prevalentemente politico è meglio comprendere di che cosa ne va in concreto quando parliamo di “rivendicazioni di sovranità”.
La prima cosa da capire è che avere una sovranità soffocata e spezzata, come accade all’Italia - negli ultimi vent’anni in maniera iperbolica, ma variamente negli ultimi settant’anni – è qualcosa che ha costi enormi.
Per fare un esempio immediato, l’attuale esplosione dei prezzi dell’energia è il frutto diretto della nostra condizione di stato a sovranità limitata: i vertici delle istituzioni italiane sono, non da oggi, emanazioni più o meno dirette dei desiderata di altri potentati, USA in testa, e una politica estera prona ai desiderata statunitensi è precisamente ciò che ci ha condotto all’attuale situazione esplosiva. L’ennesima versione apparecchiata dai media della “guerra umanitaria del bene contro il male” ci ha portato a tagliare i ponti rispetto al nostro principale fornitore di energia.
Un’Italia che fosse dotata di appropriata sovranità avrebbe avuto l’opzione della neutralità – opzione che avrebbe unito giustizia internazionale (questa guerra non ha certo un solo colpevole) ed interesse nazionale. Un’Italia priva di sovranità è invece il trastullo dei desideri geopolitici americani, ed è pronta a divenire il primo agnello da sacrificare sull’altare della nuova strategia dell’impero americano.
Un altro esempio, altrettanto chiaro, può essere formulato pensando ai governi dell’austerity dopo la crisi subprime. Allora molti ed autorevoli analisti avevano detto immediatamente che la strategia di tagli orizzontali alla spesa corrente in un contesto come quello italiano – con un avanzo primario positivo da due decenni ed un grave problema di crescita – avrebbe condotto a recessione e disoccupazione, con un paradossale ulteriore aggravio del debito pubblico. E tuttavia, ora come allora, quelle voci sono state silenziate dai media e dalla classe politica, che a colpi di fuffa europeista, hanno chiesto – questa volta nell’interesse della Germania – che le strategia austeritarie venissero duramente implementate, per quanto letali.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare.
Una sovranità dimidiata costa, costa tanto, può costare tutto.
Ma formalmente anche le decisioni di politica estera fatte da Monti o da Draghi sono “esercizio di sovranità”. Formalmente la sovranità non si può estinguere, essendo prerogativa istituzionale dello stato. Ciò che può invece perfettamente estinguersi, e che è stata uccisa in Italia, è la “sovranità popolare”, cioè l’esercizio del potere statale nell’interesse del popolo italiano.
Rivendicare la sovranità (militare, monetaria, culturale) non significa, come gabellano quelli che ci hanno portato al presente disastro, promuovere una qualche forma di ottuso nazionalismo similfascista; significa rivendicare la possibilità di un “governo del popolo per il popolo” ( = democrazia). Ciò che i numerosissimi agenti dei poteri esteri in Italia propongono sotto nomi lusinghieri come “sogno europeista” o “lealtà atlantica” è semplicemente l’insediamento sistematico di governi telecomandati, possibilmente tecnici, solleciti a denunciare come “populismo” ogni traccia di interesse governativo per il popolo.
L'obiezione che "nessuno stato è completamente sovrano" è un gioco di prestigio verbale per evitare di vedere la specifica condizione di asservimento che coinvolge l'Italia e per nascondere il fatto che dal '45 ad oggi molti stati, anche minori, sono riusciti a mantenere una condizione di non-alineamento o neutralità.
Naturalmente, vista la profondità del degrado e dell’asservimento, vista l’esistenza di così tanti vincoli strutturatisi nel corso del tempo, dalle basi Nato sul territorio alla dipendenza finanziaria dall’eurozona, la richiesta di sovranità si deve presentare come una richiesta, perentoria nel definire una direzione, ma necessariamente graduale nella realizzazione.
Il primo passo in questa direzione è eminentemente culturale. Finché la maggior parte della popolazione rimarrà convinta che non c’è alternativa ad essere l’agnello sacrificale altrui, e che l’unica speranza sia che, comportandoci bene, i nostri padroni avranno misericordia, fino a che questo non cambia il nostro destino è segnato: deindustrializzazione terminale, emigrazione dei giovani, e un futuro da villaggio vacanze del terzo mondo.
Prima dei (o insieme ai) passi operativi necessari a reistituire sovranità ed autonomia bisogna svolgere i passi per rendere questo indirizzo una consapevolezza comune ed una missione popolare.