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Lettera del Patriarca Latino di Gerusalemme

di Pierbattista Card. Pizzaballa - 02/11/2023

Lettera del Patriarca Latino di Gerusalemme

Fonte: thepostil

Cari fratelli e sorelle,
il Signore vi dia pace!
Stiamo attraversando uno dei periodi più difficili e dolorosi della nostra storia recente. Da oltre due settimane siamo inondati da immagini di orrori, che hanno risvegliato antichi traumi, riaperto nuove ferite e fatto esplodere in tutti noi dolore, frustrazione e rabbia. Molto sembra parlare di morte e di odio senza fine. Tanti "perché" si sovrappongono nella nostra mente, aumentando il nostro senso di smarrimento.
Il mondo intero vede questa nostra Terra Santa come un luogo che è causa costante di guerre e divisioni. Proprio per questo è stato un bene che pochi giorni fa il mondo intero si sia unito a noi con una giornata di preghiera e digiuno per la pace. E' stata una bella vista sulla Terra Santa e un momento importante di unità con la nostra Chiesa. E quella vista è ancora lì. Il prossimo 27 ottobre il Papa ha indetto una seconda giornata di preghiera e digiuno, perché la nostra intercessione continui. Sarà un giorno che celebreremo con convinzione. È forse la cosa principale che noi cristiani possiamo fare in questo momento: pregare, fare penitenza, intercedere. Per questo ringraziamo il Santo Padre dal profondo del cuore.
In tutto questo frastuono, dove il rumore assordante delle bombe si mescola alle tante voci di dolore e ai tanti sentimenti contrastanti, sento il bisogno di condividere con voi una parola che ha la sua origine nel Vangelo di Gesù. Questo è il punto di partenza da cui partiamo e a cui ritorniamo di volta in volta: una parola del Vangelo che ci aiuti a vivere questo momento tragico unendo i nostri sentimenti a quelli di Gesù.
Guardare a Gesù, naturalmente, non significa sentirsi esentati dal dovere di parlare, di denunciare, di chiamare, di consolare e incoraggiare. Come abbiamo ascoltato nel Vangelo di domenica scorsa, è necessario rendere "a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". (Matteo 22:21). Guardando a Dio, vogliamo dunque, prima di tutto, rendere a Cesare ciò che è suo.
La mia coscienza e il mio dovere morale mi impongono di affermare chiaramente che ciò che è accaduto il 7 ottobre nel sud di Israele non è in alcun modo ammissibile e non possiamo che condannarlo. Non c'è alcuna ragione per una tale atrocità. Sì, abbiamo il dovere di dirlo e di denunciarlo. L'uso della violenza non è compatibile con il Vangelo e non porta alla pace. La vita di ogni persona umana ha pari dignità davanti a Dio, che ci ha creati tutti a sua immagine.
La stessa coscienza, però, con un grande peso sul cuore, mi porta oggi con altrettanta chiarezza ad affermare che questo nuovo ciclo di violenze ha portato a Gaza oltre ottomila morti, tra cui molte donne e bambini, decine di migliaia di feriti, quartieri rasi al suolo, mancanza di medicine, mancanza di acqua e di beni di prima necessità per oltre due milioni di persone. Sono tragedie che non si possono comprendere e che abbiamo il dovere di denunciare e condannare senza riserve. I continui e pesanti bombardamenti che stanno martoriando Gaza da giorni causeranno solo più morte e distruzione e non faranno altro che aumentare l'odio e il risentimento. Non risolverà alcun problema, ma piuttosto ne creerà di nuovi. E' ora di fermare questa guerra, questa violenza insensata.
E' solo ponendo fine a decenni di occupazione e alle sue tragiche conseguenze, oltre a dare una prospettiva nazionale chiara e sicura al popolo palestinese, che può iniziare un serio processo di pace. A meno che questo problema non venga risolto alla radice, non ci sarà mai la stabilità che tutti auspichiamo. La tragedia di questi giorni deve indurre tutti noi, religiosi, politici, società civile, comunità internazionale, ad un impegno in tal senso più serio di quanto fatto finora. Questo è l'unico modo per evitare altre tragedie come quella che stiamo vivendo ora. Lo dobbiamo alle tante vittime di questi giorni e di quelle degli anni passati. Non abbiamo il diritto di lasciare questo compito ad altri.
Tuttavia, non posso vivere questo tempo così doloroso senza guardare in alto, senza guardare a Cristo, senza la fede che illumina il mio sguardo e il vostro su ciò che stiamo vivendo, senza rivolgere il nostro pensiero a Dio. Abbiamo bisogno di una Parola che ci accompagni, che ci conforti e ci incoraggi. Ne abbiamo bisogno come l'aria che respiriamo.
"Ti ho detto questo perché tu abbia pace in me. Nel mondo avrete tribolazioni, ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo". (Giov. 16:33).
Ci troviamo alla vigilia della Passione di Gesù. Egli rivolge queste parole ai suoi discepoli, che tra poco saranno sballottati, come in una tempesta, prima della sua morte. Si faranno prendere dal panico, si disperderanno e fuggiranno, come pecore senza pastore.
Eppure, quest'ultima parola di Gesù è un incoraggiamento. Non dice che vincerà, ma che ha già vinto. Anche nel tumulto a venire, i discepoli potranno avere pace. Non si tratta di una pace teorica irenica, né di rassegnazione al fatto che il mondo è malvagio e che non possiamo fare nulla per cambiarlo. Si tratta invece di avere la certezza che proprio in mezzo a tutto questo male, Gesù ha già vinto. Nonostante il male che devasta il mondo, Gesù ha ottenuto una vittoria, e ha stabilito una nuova realtà, un nuovo ordine, che dopo la risurrezione sarà assunto dai discepoli che sono rinati nello Spirito.
È sulla croce che Gesù ha vinto: non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi. La pace di cui parla non ha nulla a che fare con la vittoria sugli altri. Ha conquistato il mondo amandolo. È vero che una nuova realtà e un nuovo ordine cominciano sulla croce. L'ordine e la realtà di chi dà la vita per amore. Con la Risurrezione e il dono dello Spirito, quella realtà e quell'ordine appartengono ai suoi discepoli. A noi. La risposta di Dio alla domanda sul perché i giusti soffrono, non è una spiegazione, ma una Presenza. È Cristo sulla croce.
È su questo che oggi scommettiamo la nostra fede. Gesù in quel versetto parla giustamente di coraggio. Questa pace, questo amore, richiedono un grande coraggio.
Avere il coraggio dell'amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che l'odio, la vendetta, la rabbia e il dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, della nostra parola, del nostro pensiero. Significa impegnarsi in prima persona per la giustizia, essere in grado di affermare e denunciare la dolorosa verità dell'ingiustizia e del male che ci circonda, senza lasciare che inquini le nostre relazioni. Significa impegnarsi, essere convinti che vale ancora la pena fare tutto il possibile per la pace, la giustizia, l'uguaglianza e la riconciliazione. Il nostro discorso non deve riguardare la morte e le porte chiuse. Al contrario, le nostre parole devono essere creative, vivificanti, devono dare prospettiva e aprire orizzonti.
Ci vuole coraggio per poter chiedere giustizia senza diffondere odio. Ci vuole coraggio per chiedere misericordia, per rifiutare l'oppressione, per promuovere l'uguaglianza senza pretendere uniformità, pur rimanendo liberi. Ci vuole coraggio oggi, anche nella nostra diocesi e nelle nostre comunità, per mantenere l'unità, per sentirci uniti gli uni agli altri, pur nella diversità delle nostre opinioni, sensibilità e visioni.
Io voglio, e vogliamo, far parte di questo nuovo ordine inaugurato da Cristo. Vogliamo chiedere a Dio questo coraggio. Vogliamo essere vittoriosi sul mondo, prendendo su di noi quella stessa Croce, che è anche la nostra, fatta di dolore e di amore, di verità e di paura, di ingiustizia e di dono, di grida e di perdono.
Prego per tutti noi, e in particolare per la piccola comunità di Gaza, che soffre più di tutte. In particolare, il nostro pensiero va ai 18 fratelli e sorelle che sono morti di recente, e alle loro famiglie, che conosciamo personalmente. Il loro dolore è grande, eppure ogni giorno che passa mi rendo conto che sono in pace. Sono spaventati, scossi, sconvolti, ma con la pace nei loro cuori. Siamo tutti con loro, nella preghiera e nella solidarietà concreta, ringraziandoli per la loro bella testimonianza.
Infine, preghiamo per tutte le vittime innocenti. La sofferenza degli innocenti davanti a Dio ha un valore prezioso e redentore perché si unisce alla sofferenza redentrice di Cristo. Che la loro sofferenza avvicini sempre di più la pace!
Ci avviciniamo alla solennità della Regina di Palestina, patrona della nostra diocesi. Il santuario è stato eretto durante un altro periodo di guerra, ed è stato scelto come luogo speciale per pregare per la pace. In questi giorni riconsacreremo ancora una volta la nostra Chiesa e la nostra terra alla Regina di Palestina! Chiedo a tutte le Chiese del mondo di unirsi al Santo Padre e di unirsi a noi nella preghiera e nella ricerca della giustizia e della pace.
Quest'anno non potremo riunirci tutti insieme, perché la situazione non lo consente. Ma sono certo che tutta la diocesi sarà unita in quel giorno nella preghiera e nella solidarietà per la pace, non la pace mondana, ma la pace che Cristo ci dona.
Con preghiere sincere per tutti,

+Pierbattista Card. Pizzaballa
Patriarca latino di Gerusalemme