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Libertà, questa sconosciuta

di Loris Falconi - 29/05/2019

Libertà, questa sconosciuta

Fonte: Revoluzione

“Rinunciare alla spontaneità e all’individualità significa soffocare la vita”.
(Erich Fromm, “Fuga dalla Libertà”)

Il bombardamento mediatico è continuo, con il consueto tentativo di manipolazione e il sempre efficientissimo auto-condizionamento mentale. Eppure, terminate le elezioni europee ci ricordano quanto dovremmo essere grati a questa Europa, secondo il trito e ritrito leitmotiv del “ci ha garantito 70 anni di pace, bla, bla…” (la Gabanelli ha persino pensato bene di creare un servizio-spot a dir poco fazioso e stucchevole sugli “innumerevoli benefici della UE” e mentre noi comuni cittadini dovremmo trovarci di fronte alla grande scelta caratterizzante questa tornata elettorale, ossia decidere di premiare i globalisti del +Europa oppure i sovranisti del +Nazione (sto semplificando, me ne rendo conto e chiedo venia al lettore), personalmente e da “inattuale” mi sto domandando con sospirata nostalgia e un certo sconforto, dove trovare uomini liberi.
Inizio subito con il dire, a scanso di equivoci, che dal mio punto di vista Libertà coincide con la capacità di auto-determinarsi, la quale a sua volta implica la capacità di sviluppare un pensiero critico, consapevole e autonomo. Libertà dovrebbe avere anche a che fare, inevitabilmente ed essenzialmente, con una certa capacità di essere auto-sufficienti a livello materiale ed economico, pena il ridurre la parola e il pensiero a puri flatus vocis. Libertà, inoltre, dovrebbe significare memoria del passato e delle nostre radici, il che significa non soltanto studiare la storia, ma comprenderla cercando di contestualizzare ciò che è avvenuto in altre epoche e in altre culture, evitando così l’orrore del cosiddetto “politically correct” che nella sua violenza delirante giunge a censurare persino la Tragedia Greca e la Divina Commedia per “razzismo” e “omofobia”. Libertà, infine, credo non possa non essere strettamente collegata con la Verità, poiché non può esistere nulla di autentico e reale se non abbiamo prima creato uno spazio comunitario di libertà. Detto questo, e proprio per questo, si apre il deserto del misero presente che abitiamo. Libertà questa sconosciuta. Libertà questa temuta.
Senza spendere troppe parole per illustrarvi la celebre distinzione, all’interno di un’ottica liberale, tra “Libertà Negativa” (Libertà da qualcosa/qualcuno) e “Libertà Positiva” (Libertà per qualcosa/qualcuno) proposta da Isaiah Berlin nel suo trattato “Due Concetti di Libertà” del 1958, mi soffermo maggiormente su un altro autore, Erich Fromm, il quale in tempi non sospetti scrisse un saggio tuttora attualissimo, dal titolo “Fuga dalla Libertà” (1941), che sostanzialmente sostiene quanto sia molto più facile per gli esseri umani “cosiddetti sani” accettare regimi e sistemi “democratici” all’interno dei quali poter delegare a qualcun altro la propria facoltà di scelta, in cambio di un certo confort e una sorta di illusoria sicurezza, finendo così per preferire un’autorità che dall’alto dispone cosa fare e cosa non fare, piuttosto che rischiare di assumersi la propria responsabilità e agire come donne e uomini liberi. Ecco perché la vera libertà spaventa tanto. Essa ci pone nudi di fronte a noi stessi.
Personalmente, cercando di perseguire il mio ideale di Libertà, il quale ha alla sua base un profondo e irriducibile sentire, non mi sento affatto rappresentato né da chi vuole imbrigliare la mia vita e quella dei miei concittadini in griglie pre-confezionate e spersonalizzanti, fabbricate tecnologicamente dall’alto, da parte di organi sovra-nazionali che hanno perso completamente il contatto con noi, uomini e donne in carne e ossa, e che proprio per questo si riempiono la bocca di parole come “Diritti Umani” e “Umanità” (la quale sfido chiunque a dirmi se l’ha mai vista passeggiare in centro, ma che di certo rappresenta il miglior viatico per qualsiasi forma di totalitarismo nel momento in cui si connota come pura idea astratta del cosiddetto “Uomo Ideale”); né d’altra parte da chi, sia in buona che cattiva fede, propugna il ritorno a forme di sovranità nazionale facendo esclusivamente leva sulla paura e sulla chiusura nei confronti dell’altro, evitando così di fare i conti con l’altro che lo abita da sempre (in pratica se prima, con l’ingenuo globalismo beota, avevamo incontrato l’“Uomo-Ideale” col sole in faccia, che diffonde la sua idea pestilenziale di democrazia in giro per il mondo, convalidando pienamente il proverbio “la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”, ora invece incontriamo il suo contraltare concreto in carne ed ossa, che potremmo definire “Uomo-Ombra”, talmente concreto e radicato alla terra che finisce per dissolversi nella sua nebbia materica, senza mai sentire quell’alito di vento che lo potrebbe spingere altrove, ancorato com’è ai suoi meschini bisogni auto-referenziali e alle sue effimere passioni).
Ovviamente sto estremizzando, ma a tempi estremi (quali stiamo vivendo) estremi pensieri. Per coloro che mi hanno seguito sino a qui e hanno avvertito una sensazione fastidiosa che si è manifestata con la scarsa propensione a prendere sul serio il sottoscritto, magari tacciandolo di “populismo”, “oltranzismo” o, ancor peggio, di puro “nichilismo”, vorrei rincarare la dose avvertendo codesti lettori che a breve avrete ulteriori motivi per pensarlo. Per tutti gli altri, vi prego di essere benevoli poiché questa volta non darò sfoggio di alcuna erudizione classica né di alcuna disquisizione filosofica per convalidare la tesi sinora proposta, ma vi parlerò di una canzone uscita nel 1981 dal titolo “La Mia Libertà” del cantautore Franco Califano. Essa fu scelta come colonna sonora del programma nazional-popolare per eccellenza di quegli anni, “Domenica In”, ma oggi rischierebbe seriamente di essere censurata dalla cesoia del “politically correct”.
Il testo non affronta tematiche esplicitamente politiche, ma è emblematico nell’illustrare un certo stile di vita che oggi sarebbe condannato sia da destra che da sinistra, sia dalla maggioranza di coloro che tendenzialmente abbracciano i temi sovranisti, sia dalla maggioranza di coloro che difendono a spada tratta i cosiddetti “diritti civili” più vicini al filone globalista. Il protagonista del pezzo potremmo definirlo una specie di cane sciolto che rispetta prima di tutto la sua libertà (dunque pericolosamente anarchico e anti-sociale, in ogni caso biecamente individualista), che ama le donne (dunque azzardatamente etero-sessuale, facilmente accusabile di machismo e perché no pure di omofobia), che si lascia sedurre dal richiamo di una “donna dai facili costumi” magari straniera con la quale passa un’ora (dunque tranquillamente tacciabile di razzismo e di immoralità) e che sostanzialmente non progetta nulla, semplicemente cerca di vivere al meglio momento per momento (e dunque potenzialmente facente parte di quella feccia anti-produttiva e anti-sistema da rinchiudere e sopprimere). A questo proposito ecco come recita il “pericoloso” ritornello: “vivo la vita così alla giornata per quello che da / sono un’artista e allora mi basta la mia libertà”. Vi invito ad ascoltarlo al di là dei propri gusti personali, personalmente mi nutre e accarezza l’anima e lo spirito, riportandomi a quella visione a me tanto cara del far della Vita un’opera d’Arte, poiché tutti potenzialmente possiamo essere artisti di noi stessi.
E invece no! Oggigiorno il carico di paranoia e violenza che assorbiamo dalla sempre più asfissiante grigia cappa uniformante nella quale siamo quotidianamente immersi, fa apparire persino questo innocente inno alla gioia, alla leggerezza e alla ricerca autentica di sé come pericoloso e deviante. Capite dove siamo arrivati! Non sto parlando di cantautori con una certa visione sociale e politica espressa intenzionalmente in musica e versi, come ad esempio un Rino Gaetano o un Fabrizio De André (e proprio per questo così faziosamente e vergognosamente manipolati e fraintesi), ma di un Franco Califano, uno che parlava sostanzialmente di donne e di amore e che potremmo caratterizzare come un sanguigno, vitale e passionale esistenzialista. Forse stiamo irrimediabilmente perdendo quell’innocenza e quella genuinità che ancora trapelano nella musica, nell’arte e nella cultura di soltanto qualche decennio fa. Quella spinta vitale che ci porta ad amare al di là del bene e del male, al di là del giudizio e del pre-giudizio indotti. Poiché un atto di amore è sempre al di là del bene e del male. Abbiamo ancora orecchie per intendere?
Credo che davvero, oggi più che mai, ciò che più ci spaventa sia rappresentato da una persona autenticamente libera di manifestarsi per quello che è, al di là delle maschere e delle pastoie che la società ci ha inculcato “per il nostro bene e la nostra sicurezza”. E sapete perché? Perché egli ci metterebbe di fronte al nostro “salto nel vuoto”, al di là delle finte e consolidate convinzioni e certezze fatte di “si dice” e “si fa”, che ci uccidono lentamente, giorno dopo giorno, esattamente come i mangimi transgenici che vanno ad ingrassare i polli d’allevamento destinati al macello e al nostro ventre. Oggi la vera questione è che nessuno vuole più rischiare quel salto, nessuno vuole più morire, nessuno sa più morire.
Per questo, come ben sapevano gli antichi filosofi greci, siamo destinati a vivere da morti, ossia da schiavi, oltretutto, e questa è la beffa suprema, illudendoci di essere liberi. L’uomo veramente libero ha vinto la paura della Morte, che non è ovviamente soltanto da intendersi come morte fisiologica del nostro corpo terreno, ma è anzitutto la morte del nostro spirito vitale, del nostro desiderio a realizzare chi siamo, accordandoci con la nostra vocazione e con il nostro Daimon. L’uomo libero ha il coraggio di guardarsi in faccia e riconoscersi.
L’uomo libero ha il coraggio di guardare in faccia e affrontare l’abnorme Leviatano rappresentato dall’attuale mortifera società tecno-finanziaria globale, mettendosi in gioco apertamente, sino al punto da rischiare tutto se stesso, poiché in fin dei conti preferisce morire da vivo, piuttosto che vivere da morto.