Male parole
di Lorenzo Merlo - 11/08/2025
Fonte: Lorenzo Merlo
Se il pensiero crea il mondo le parole ne conformano la realtà.
Se è vero che il linguaggio dà forma alla realtà, se lo è anche che, tanto più alto è l’accredito che diamo alla fonte, tanto più la descrizione che essa esprime corrisponderà al vero, parimenti si può osservare quanto un linguaggio deterministico-scientista-logico tenda a imporre una realtà meccanicista.
È un processo che avviene nella piena inconsapevolezza di chi lo pronuncia e di chi lo riceve. Significa, allora, che siamo immersi in una cultura del tutto estranea alla conoscenza, se non in forma di un’obbligata, uniforme, irreggimentativa scala tecnica a gradini, assolutamente estranea alle stocastiche spirali delle consapevolezze esistenziali. La prima mantiene lo status quo della sofferenza, le seconde hanno il potere creativo di ridurne il potere velenoso.
Linguaggio a disposizione
Se le faccende piccole e grandi della vita occupano la maggioranza del tempo, contemporaneamente impongono un atteggiamento positivista in senso lato. Vale a dire che, tendenzialmente, più ci si dedica all’amministrazione della vita – e, così facendo, alla replicazione dell’esistente, in quanto concepito come sola condizione esistenziale, nei confronti del quale non c’è eventualità di riflessione critica alcuna – più, sempre tendenzialmente, si riducono gli spazi per dedicarsi a un’ecologia della mente (1). Un passo senza protocollo, che ognuno può compiere nel suo momento e nel suo modo, una cruna attraverso la quale vedere i limiti della concezione del mondo entro cui, come mosche nel barattolo, stavamo consumando la vita.
Con tali premesse, anche le escursioni dalle consuetudini di pensieri, saperi e conoscenze vengono, tendenzialmente, elaborate intellettualmente ed espresse verbalmente e per iscritto con le sole e medesime, deterministiche, modalità. Significa che, sia si voglia descrivere il funzionamento di un motore a scoppio o di una trottola, sia ci si addentri a narrare dimensioni non ordinarie, non consuetudinarie, dal carattere energetico, più che materico, la semantica del linguaggio non cambia, resta di natura deterministica, producendo così una specie di corto circuito tra quanto si vorrebbe sostenere e la modalità di linguaggio con cui lo si fa.
Un linguaggio non deterministico conterrebbe in sé, ogni tanto, ma regolarmente formule quali secondo le categorie della scienza questo punto luminoso è una nana bruna; questa pianta è chiamata pino loricato e quest’altra cembro, ma avrebbero potuto avere altri nomi, proprio come noi tutti.
Per semplificare, la modalità logico-deterministica non può fare a meno del principio di causa-effetto, un caposaldo della concezione meccanicistica del mondo, delle persone e della comunicazione, didattica inclusa. Una modalità della quale è opportuno – per chi desidera indagare la dimensione energetica della conoscenza e della coscienza – aver consapevolezza per, in questo modo, poterne prendere le distanze.
La ragione è piuttosto elementare.
Nella concezione meccanicistica tutti siamo identici e tutto è visto nello stesso modo da tutti. In essa troviamo un altro caposaldo, definibile come gerarchia. Una sorta di ordine castale, nel quale, apparentemente – ma qui si entra in politica, lasciamo perdere – è possibile migliorare il proprio livello a suon di accumulo di dati, a suon di averi crescenti. Penso si possa, quindi, riconoscere come, in un mondo siffatto, anche il linguaggio sia concepito come uno strumento di comunicazione universale, per di più neutro, senza l’odore del nostro fiato. Lo si impara ben bene a scuola – ma lo si ripasserà ovunque e per tutta la vita – quando il maestro, o chi per lui, non avrà difficoltà a puntare il dito verso di noi, dicendo “È la terza volta che te lo spiego e non l’hai ancora capito. L’hanno capito tutti!”. Il potere scagliato come vetriolo verso un indifeso senso di colpa. Terribile. Ma qui si entra in pedagogia, lasciamo perdere.
Come detto, in verità, oltre che a scuola, lo si impara dappertutto, sentendo il popolino e, alla pari, l’erudito, il competente, l’esperto, il giudice, sotto il cui scranno sta scritto che la legge è uguale per tutti, come se nel giudizio non ci fosse il mondo di chi lo pronuncia.
Sempre nella concezione meccanicistica del mondo, si trovano altri capisaldi, paletti che sostengono la rete di recinzione entro cui è costretta l’immaginazione. Uno di questi è la santificata, anzi deificata dimostrazione. “Dimostramelo” ci dice il babbeo. E ce lo dice sempre, non solo quando ci chiede di sostenere perché la somma dei gradi degli angoli del triangolo fa sempre 180, o perché l’idrogeno si associa all’ossigeno, il babbeo vuole la dimostrazione sempre, anche sull’esistenza di Dio. Non sospetta che ci sia un mondo oltre a quello che si porta in giro nella sua scatoletta di cerini.
Un altro è il concetto di probabilità che, in un certo senso, meglio di altri suoi fratelli esprime l’efferatezza, la radicalità della dimensione da cui è generato. In verità, se il concetto di probabilità nasce mondo, diviene immediatamente immondo nel suo impiego e nel suo accredito. Così, a causa di questo, tutta la statistica che ne consegue assurge a informazione, sine qua non: la verità non emerge, non è indagabile. Effettivamente, è proprio così che il sistema può funzionare, ma solo ed esclusivamente entro l’aura nera della realtà in forma di macchina.
Linguaggio nella bottiglia
Dall’altro lato, quello non meccanicistico-deterministico-riduzionistico-materialistico, nell’uso di tutto il linguaggio che elaboriamo, e della semantica che lo fa pulsare, dovremmo avere consapevolezza di quanto detto finora, al fine di impiegare formule, descrizioni e narrazioni che ne siano emancipate, in quanto in quell’emancipazione troviamo la presenza degli universi diversi che siamo, di cui siamo latori e creatori. Troviamo la liberazione da quella mostruosa uniformizzazione implicita nel “fai questo per ottenere quello”.
Per esempio, non c’è modo di comunicare nel suo significato la verità di un’affermazione quale: “Così il pensiero diviene materia nel senso che la materia lo richiede, senza esso nulla è”, con modalità logico-razionali. E quando le si impiegano, ottenendo magari una comprensione intellettuale, si tratta un inganno e di un autoinganno: l’esperienza non è trasmissibile, ricreare è necessario. L’eventualità di comunicazione fondata su diagrammi logico-razionali si realizza, infatti, solo tra pari grado, ovvero quando le parti, disponendo delle consapevolezze incarnate, possono ricrearla e/o riconoscerla, a loro volta, in innumerevole forme e circostanze.
Nella dimensione energetica si avvertono le forze in cui siamo immersi e l’azione nella conformazione della realtà che poi esprimeremo. L’accredito ne è un esempio. Una pessima comunicazione da un punto di vista dialettico può avere un grande seguito in funzione dell’accredito che viene dato all’ente emittente. Torna utile richiamare “l’ha detto il telegiornale”, “Berlusconi”, “il partito”, “il papa”, “il papà” o “la mamma”.
Il senso di colpa, la fiducia o la sfiducia in sé, sono le formule verbali utili per esprimere le forze che ci muovono in un senso o in un altro. Tuttavia, per modificare la loro influenza, non basta la spiegazione razionale, tutti smetterebbero di fumare all’istante vedendo le offensive immagini riportate sui pacchetti di sigarette; è necessaria un’emozione, cioè una forza immensamente più forte e profonda di quanto possa esserlo una minaccia razionale, che più leggera e superficiale non è possibile. Alla bisogna, basterebbe l’invito ad avere fiducia in noi stessi, per ritrovarci ad avere a che fare non più con il depresso, l’ansioso, il demoralizzato, lo sconfitto che a volte siamo, ma con il Nembo Kid nascosto in noi.
L’emancipazione dal determinismo avviene quando diveniamo disponibili ad accreditare l’idea che ogni affermazione, più che a una martellata che conficca il chiodo, corrisponde a un messaggio nella bottiglia che qualcuno, forse, chissà dove, raccoglierà, cioè intenderà. Così facendo, viene a cadere un altro caposaldo del determinismo-meccanicismo: la pretesa. Al suo posto subentra il rispetto per colui che non ha inteso – cessa, infatti, anche l’attribuzione di responsabilità – e l’impegno a trovare altre formulazioni, visto il fallimento di quelle utilizzate fino a quel momento.
Dunque, ogni espressione sarebbe da intendere come una forza liberata nello spazio degli universi personali che la sentono o la leggono, sarebbe da abbinare al concetto di tendenza, ma non certo di probabilità. Un’affermazione può rimbalzare sulla superficie dell’universo altrui, può penetrarlo e trasformarsi o disperdersi. Un’affermazione è pregna di verità del latore, niente di più.
Tendenza, in quanto implica un intento che non si può sapere con quali altre forze avrà a che fare. Il monito dei genitori nei confronti dell’adolescente, che sta scoprendo il mondo extra-familiare, ne è un esempio. Spesso è un monito razionale-impositivo – “non bigiare”, “non fumare”, “non tornare tardi” – il cui successo tende a ridursi in modo direttamente proporzionale alla soddisfazione (emozione) che il ragazzo sente esplorando il mondo attraverso nuove relazioni.
L’esempio autorevole
Per quanto il professor Federico Faggin chiami “scientismo” la fisica classica, meccanicista, e non la credenza fideistica nella medesima, la sua opera di divulgazione dei limiti della corrente concezione della realtà e della cultura che la contiene è autorevole, quindi importante (scritti in corsivo per tentare di prendere le distanze dalle categorie della tassonomia che in contesto olistico non hanno residenza).
“La fisica quantistica ci dice solo le probabilità di ciò che potrebbe succedere”. Faggin (2).
Diversamente da quanto è implicato nelle parole del professore, la fisica quantistica può rappresentare come la realtà non sia unica e già presente, ma accada al cospetto di chi la pensa, sempre. Non ci sono, come sostiene il professor Faggin nel video linkato alla nota 2, altre possibilità, se non col senno di poi, e solo sul piano teorico-meccanicistico – quindi in contraddizione con quello quantistico – nel quale il concetto di probabilità torna effettivamente valido in funzione degli studi statistici. Studi che hanno come base il concetto del finito, del chiuso, e non dell’aperto, dell’infinito, che è invece relativo alla fisica quantistica.
Sempre il professore si chiede “chi è che ha ragione?” L’’attribuzione della ragione riguarda e sussiste sul piano cartesiano, ma si disperde in quello olografico o quantistico. È in questo modo, con l’attrito provocato dal linguaggio determinista, che viene impedito il decollo verso una concezione del mondo che ci mostri la relatività delle idee e il limite del mondo oggettivo.
Ciò che si può evincere dalla filosofia emersa con la fisica dei quanti è che la realtà è una decantazione finita tratta da un infinito eterno e informe. Nel momento in cui descriviamo tale decantazione, riflettiamo noi stessi. A credito di tale ipotesi, c’è il potere del pensiero in quanto sorgente del mondo; del sentimento, in quanto infinito legame di tutte le cose – sebbene per noi selezioni di volta in volta con chi e con cosa – delle emozioni, in quanto contenitori-tunnel del mondo che vediamo-narriamo, incluso ciò che crediamo di essere.
Così come l’osservatore trova la particella ora qui ora là, imprevedibilmente, e non trova mai contemporaneamente la posizione e la velocità, ma solo una delle due – come è invece ordinario nella meccanica classica –altrettanto noi osserviamo una o un’altra realtà in funzione nostra, ovvero secondo esigenza, stato, sentimento, emozione. Dunque, il pensiero corrisponde al mondo, nel momento in cui l’energia che lo connatura diviene un certo corpo materiale.
Penso lo possano osservare tutti coloro che riescono a vedere l’insorgere dei pensieri rispettosi delle esigenze del proprio io, e anche constatando la varietà di posizioni, opinioni, pensieri in generale e nei confronti di un presunto oggetto oggettivo. Come sarebbe possibile altrimenti dare dignità di esistenza a chi sostiene questa Unione Europea, a chi, vedendo la Von der Leyen, Mattaralla, la Meloni e soci, non gira immediatamente pagina, per ridurre il senso di offesa che istantaneamente hanno avvertito tutti gli altri?
Riconoscere il potere oracolare delle parole può essere un progetto interessante per tutti, ma certamente non lo è per il babbeo.
Chi sono io per giudicare? Ho capito tutto? Per niente! Si tratta di riconoscere in che termini un’affermazione è vera, esprime un contenuto autentico della visione del mondo di chi la pronuncia, e in quali non lo è. Di riconoscere in che termini vediamo la verità e in quali, puff, sparisce. Di constare il potere delle esigenze e delle circostanze.
Le parole hanno il senso che diamo loro, la semantica – salvo limitati contesti tecnici – è sempre nostra.
Note
1. Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1990.
2. https://www.youtube.com/live/BNf7Mj1GJh4