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“Omo e fa’ ciò che vuoi”. Storia di una guarigione

di Livio Cadè - 10/08/2020

“Omo e fa’ ciò che vuoi”. Storia di una guarigione

Fonte: Ereticamente

“Dilige et quod vis fac” (Sant’Agostino)

Fino a pochi decenni or sono la letteratura medica poneva l’omosessualità tra le cosiddette perversioni sessuali, insieme a pedofilia, sadismo, masochismo ecc. La considerava  un’incongruenza del desiderio, una devianza patologica, suscettibile, anche se con pochissime speranze, di trattamento terapeutico.  Nonostante ciò, oggi si può dire che l’omosessualità sia perfettamente guarita. Le ipotesi che vedono nell’omosessualità una malattia, un disturbo della personalità, un vizio morale, ipotesi sostenute un tempo  da psicologi o da religiosi, vanno oggi doverosamente escluse. In realtà pare sia stata la società, attraverso una vis medicatrix culturae, a dover guarire sé stessa da secolari pregiudizi. È bastato ridefinire il concetto di orientamento sessuale, stabilendo che non esistono bussole uguali per tutti, che segnino sempre il Nord, ma tanti aghi magnetici liberi di indicare il Sud, l’Est, il Nord-Ovest o qualsiasi altra direzione. Il desiderio, come lo spirito, soffia dove vuole. “Scuote l’anima mia Eros come vento sul monte che irrompe entro le querce e scioglie le membra e le agita…“. I mortali non possono sottoporre le azioni di un dio a diagnosi mediche o a giudizi morali. Perciò dobbiamo considerare l’omosessualità una sana espressione della libido. Forse anche più sana del normale. Su questo non possiamo avere dubbi. Non perché non esistano ragioni per dubitarne, ma perché la legge non lo consente. Assumere su tale argomento una posizione critica è proibito. Nell’attuale regime ideologico, ogni obiezione verrebbe perseguita in quanto reato di omofobia, parola senza senso ma cui ci dovremo abituare, nuovo epiteto dalle risonanze infamanti – come fascista, nazista, razzista, antisemita – entrato nel lessico delle ingiurie di cui il politicamente corretto fa abitualmente uso.
In realtà, omosessualità è una contraddizione in termini. La si potrebbe definire un ossimoro.  Omo infatti esclude la diversità anatomica e fisiologica, la dualità maschile-femminile senza cui il concetto di sesso è assurdo, come un sopra senza un sotto o un tu senza un io. Si assegna alla sessualità una natura non sessuale, negando una evidente necessità naturale e razionale. Sarebbe più sensato parlare di omofilia o di omogenitalità, cioè di una relazione affettiva e fisica priva di polarità sessuale. Omosessualità indica la pulsione sessuale negandola, ne afferma l’impossibilità. La si potrebbe chiamare eterofobia, cioè paura del diverso, della sua alterità sessuale. Oppure omotropia, tendenza a cercare l’uguale a sé, in un ideale rispecchiamento.
Che tale omosessualità sia un peccato orrendo o una banalissima copula dipende da variabili culturali. Religioni arcaiche la praticavano in riti orgiastici e promiscui. La religione giudaico-cristiana è invece unanime nel condannarla. Il Levitico afferma che “se un uomo giace con un maschio come fa con una donna, hanno commesso tutti e due un abominio: saranno messi a morte entrambi.” San Paolo, e la Chiesa dopo di lui, ne aborrisce le passioni infami, gli atti turpi. Ma non è solo la Bibbia a esecrarla. Benché l’amore pederastico fosse ad Atene ampiamente diffuso, secondo Platone lo Stato deve difendersi “da queste perversioni che sono responsabili di incalcolabili sciagure, non solo per la vita privata dei singoli, ma anche per l’intera società“. Nella Roma imperiale, i padroni abusano dei giovani schiavi, i poeti celebrano con identica passione le donne e gli efebi: “Se i tuoi occhi di miele, o Giovenzio, potessi liberamente baciare, migliaia di volte li bacerei, né mai mi parrebbe di essere sazio”. Marziale ironizza sui matrimoni gay: “il barbuto Callistrato ha sposato Afro, il duro, secondo il rito con cui la vergine suol prender marito”, e lo Ius connubii non riconosce  sposalizi così poco confacenti alla dignità del vir romano. L’effeminatezza dell’uomo suscita disprezzo. Svetonio dileggia Cesare per aver ceduto le sue giovani grazie a Nicomede, re di Bitinia: “Gallias Caesar subegit, Nicomedes Caesarem”, Cesare ha sottomesso le Gallie, Nicomede ha messo sotto lui. Tacito si indigna per i “mostruosi accoppiamenti” in uso alla corte. Nell’Islam, la shari’a prevede la pena di morte per gli atti contro natura, ma la poesia e la mistica fanno spesso ricorso a metafore omosessuali. Le democrazie moderne strizzano l’occhio all’omosessuale, che porta voti sempre più numerosi. Le dittature, custodi dei tradizionali ruoli sessuali, lo considerano un debosciato, asociale e malsano. Secondo Fidel Castro, l’omosessuale non sarà mai un vero rivoluzionario né un vero comunista. Escluso dalla lotta di classe, si consolerà tra poeti, artisti, filosofi, soldati tebani o nobili samurai. L’amore “che non osa dire il suo nome” scorre come un fiume carsico sotto la crosta delle convenzioni sociali, anche nelle società più puritane e bigotte. Wilde, processato per sodomia, cita in giudizio Davide e Gionata, Platone, i sonetti di Michelangelo e di Shakespeare. Quando afferma che “non c’è nulla di innaturale in ciò” il pubblico in aula lo applaude, come di fronte a una irrecusabile verità.
Ma cosa vuol dire naturale o contro natura? Per alcuni è naturale essere antropofagi. Stuprare e uccidere sono atti naturali. È naturale che il maschio cerchi la femmina e viceversa. Ma per alcuni è naturale la castità e per Wilde è naturale l’amore tra uomini.  Il punto è che manca una definizione chiara del concetto di natura. Nel pensiero tradizionale la natura fisica è la manifestazione di una realtà metafisica. Quindi anche la dialettica sessuale riflette un ordine divino che l’individuo e la società devono rispettare per potersi realizzare pienamente. Questo ordine coincide quindi col bene dell’uomo, è una trascendenza da cui è impossibile emanciparsi senza precipitare nel caos. Il pensiero moderno, anti-tradizionale, vede invece nella natura una serie di meccanismi ciechi, di istinti, di fenomeni che l’uomo cerca di controllare, creando da sé un sistema di valori, secondo criteri arbitrari, immanenti e relativi. L’omosessualismo si pone in quest’ultima prospettiva. Tuttavia attribuisce ai suoi teoremi natura dogmatica, indubitabile. Ottiene una sorta di immunità culturale stimolando il senso di colpa della società, facendo dell’omosessuale un’icona degli oppressi e dei perseguitati. Lo assimila così a quelle categorie che fondano i loro privilegi sul vittimismo, il risarcimento infinito, l’intangibilità morale. La Legge lo circonda di attenzioni materne, impone verso di lui particolari riguardi. Gli si riconoscono carismi di ordine psicologico, estetico, umano.  Di lui, come dei defunti, non si può dire nihil nisi bonum. Questa apologia dell’omosessuale porta alla creazione di nuovi tabù. Se un tempo era tabù dubitare della sessualità e della famiglia tradizionali, oggi è tabù difenderle. La nuova religione omosessualista si mostra tanto moralista e intollerante nel combattere la norma quanto un tempo la Chiesa nel difenderla. È il rovesciamento di un asse metafisico, un avvicendamento al potere, con le sue vendette, i regolamenti di conti di un secolare ressentiment. Per non cadere nelle maglie di una nuova Inquisizione, bisogna attenersi scrupolosamente alla dottrina di una metasessualità polimorfa. Se ce ne allontaniamo diventiamo eretici. Il benpensante, con la rapidità di un riflesso rotuleo, ci denuncerebbe come omofobi, procurandoci seri guai. Anche un omosessuale che non fosse felice della sua condizione potrebbe venir accusato di omofobia e incorrere nei rigori della legge.
Benché siano evidentemente correlati, bisogna infatti distinguere il fenomeno dell’omosessualità da quello dell’omosessualismo. Il primo è espressione dell’individuo e delle sue dinamiche affettive e sessuali. Il secondo è parte di un disegno ideologico di vaste dimensioni, condotto con la complicità di propagande mediatiche, di ipotesi pseudo-scientifiche, di rivendicazioni civili, che intende creare specifici idola mentis nella teoria e nella prassi sociale. Mentre l’omosessualità esiste semper et ubique, l’omosessualismo compare nei periodi di decadenza di una civiltà e coincide con la perdita di prospettive e valori tradizionali. Nel nostro caso accompagna e incalza la crisi di una Weltanschauung cristiana, cui oppone rigurgiti e detriti neopagani, sfrenatezze paniche. Lo si può ingenuamente scambiare per il germinare di nuove idee e di nuovi valori umanistici, ma è clinicamente il rantolo di una società morente. È la liberazione di forze disgregatrici e dissolutorie, parte di una più ampia e generale entropia. Lo sprigionarsi di questi elementi inferi determina il declino di una civiltà e il suo progressivo inabissarsi nel caos. Caduto il tabù dell’omosessualità, un domani potrebbero caderne altri che oggi sembrano intoccabili, come l’incesto o la pedofilia. I nuovi eretici saranno allora i pedofobi e gli incestofobi. Infine, ogni orientamento sessuale potrà, o meglio dovrà, aspirare alla propria soddisfazione. Si potrebbe arrivare a metamatrimoni formati da un numero variabile di persone senza limiti di età e dal sesso aleatorio. Potremo infatti cambiare identità, anatomia, funzioni endocrine. Un Io onnipotente potrà trasfigurare il suo corpo mediante metamorfosi ormonali e chirurgiche, trasferire la sua psiche in nuovi soma, emancipandola dalla casualità biologica, quasi reincarnandosi. E perché vietare a un umano di sposare un gatto o una bambola? Non sarebbe coerente. Se il bene ultimo coincide con la soddisfazione del desiderio, Wilde ha ragione, “non c’è nulla di innaturale in ciò“. Il linguaggio del desiderio va liberato da ogni pastoia naturale o metafisica: cupio ergo sum, “bramo dunque esisto”. Filosofia che esprime l’antitesi violenta di una saggezza tradizionale, di una dimensione intellettuale che invece vede nel desiderio la possibilità di una degradazione, il sedimentarsi di una feccia spirituale. “Colpa non v’è più grande che secondar le brame“, direbbe Lao-Tzu.
Occorre infine tornare a quella assurdità lessicale – omosessualità – che contiene in sé la propria negazione, per comprendere le contraddizioni dell’omosessualismo. Non si tratta infatti di un movimento di liberazione ma di rimozione della sessualità, dagli intenti più distruttivi che costruttivi. Mentre esibisce gesti satanici di orgoglio e di ribellione contro i vecchi schemi sessuofobici, l’omosessualismo ne mantiene di fatto i caratteri ipocriti e repressivi. E paradossalmente giunge a una sorta di autocastrazione. Converte l’omosessualità in una rassicurante prassi sociale, piatta normalità di sentimenti. Schedata, sterilizzata, privata di aspetti perturbanti, l’omosessualità diventa forza moralizzatrice. I tratti sovversivi, segreti e clandestini, che l’omosessualità poteva condividere con l’amour fou, l’adulterio o il libertinaggio, vengono esorcizzati e addomesticati. La rivoluzione sessuale si fa accomodante restaurazione, il conflitto lascia il posto a una pacificazione quasi comica. La relazione omosessuale diventa caricatura di riti coniugali, parodia di odiate famiglie tradizionali, di cui condividere miserie e stereotipi. L’omosessualismo inanella così una lunga serie di incoerenze. Dichiara aneliti libertari, ma esige misure che puniscano pesantemente la libertà di pensiero e di espressione. Nel contrapporre l’odio buono, il suo, all’odio cattivo degli altri, alimenta nuove violente discriminazioni. Nella sua lotta al conformismo, combatte una battaglia borghese e perbenista, retta da nuovi e inviolabili pregiudizi. L’omosessuale si trasforma in omologato. Non potrà più dire, come Verlaine, “smerdavamo quei coglioni dall’aria bonaria, i loro amori normali e la loro falsa morale”. Il suo erotismo si atrofizzerà un poco, assumerà forme più prosaiche e burocratiche. Ma è il prezzo che deve pagare per essere guarito.